Robin delle stelle

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Aprile 1978: nel n° 15 della IV annata di Lanciostory debutta una serie davvero particolare, intitolata Robin delle stelle. Entrambi gli autori sono argentini e una loro serie – Alvar Mayor – ha già debuttato, l’anno precedente, su Skorpio: si tratta di Carlos Trillo ai testi ed Enrique Breccia ai disegni.

Come accennavo nell’articolo su Savarese, in un ipotetico podio degli sceneggiatori più prolifici sulle testate Eura Trillo sarebbe preceduto soltanto dall’inarrivabile Robin Wood: tra le sue serie più famose, oltre a quelle in coppia con Enrique Breccia, meritano di essere segnalate Loco Chavez e Uscita di sicurezza disegnate da Horacio Altuna, Custer e Chiara di notte disegnate da Jordi Bernet, e poi ancora Spaghetti Bros, Cybersix, Bruno Bianco… Per quanto riguarda Enrique Breccia, figlio d’arte di Alberto (che aveva disegnato numerose serie di Hector G. Oesterheld, tra cui la seconda versione dell’Eternauta), il suo tratto peculiarissimo riscuote grande successo, tanto che pochi anni dopo Lanciostory gli dedicherà due corposi inserti che raccolgono le serie scritte da Trillo insieme a numerosi “liberi”. Nel nuovo millennio Breccia approderà anche alla Sergio Bonelli Editore, disegnando in particolare il Texone Capitan Jack su testi di Tino Faraci.

Ma torniamo a Robin delle stelle. All’inizio del XVIII secolo, una goletta sta per affondare in una misteriosa voragine: l’equipaggio si ammutina e abbandona la nave, su cui restano soltanto il capitano Robin Conrad, il massiccio e burbero Jonah e il giovane O’Flagherty (aspetta, aspetta… una nave, un capitano, un marinaio robusto e scorbutico, un giovane mozzo… dov’è che ho già trovato una situazione simile? Ah, sì, in Bernard Prince). La nave precipita nella voragine e si ritrova a vagare nello spazio infinito, passando da un pianeta sconosciuto all’altro e incrociando creature fiabesche e grottesche, in un’atmosfera spesso fantasy con venature horror, con suggestioni di tutti i tipi: scimmioni che imparano a usare le armi come in 2001 odissea nello spazio, alieni che prendono l’aspetto di persone care come in un episodio delle Cronache marziane di Ray Bradbury, creature che sembrano rendere omaggio all’arte visionaria del Sidney Jordan di Jeff Hawke, il mago O’Rock rappresentato come Merlino… e su tutto aleggia il ricordo dei viaggi straordinari di Jules Verne.

Gli undici episodi della serie (pubblicati, ahimè, a singhiozzo) terminano nel n° 12 del 1979 ma il successo della serie è notevole, tanto che verrà ristampata nel primo degli inserti dedicati a Breccia di cui parlavamo in precedenza, nell’Euracomix Tuttocolore n° 8 e nel n° 4 della collana fantacomiX-day, in bianco e nero. Gran parte di questo successo è merito di Breccia, tanto è vero che Robin e i suoi amici appaiono sulla copertina di Lanciostory ben cinque volte. Anche se ho sempre preferito i disegnatori realistici, devo ammettere che non riuscirei a immaginarmi le avventure di Robin illustrate da un altro autore: immagini poetiche che spesso concludono un episodio a tutta pagina… Zoom su piccoli dettagli rivelatori… Bocche ghignanti e sdentate… Alieni fortemente caratterizzati… Personaggi sporchi e laceri… Orchi, fate, streghe… E chi più ne ha, più ne metta.

Come dicevo, “soltanto” undici episodi nonostante possibilità narrative potenzialmente infinite per nuove avventure. Gli autori hanno fatto bene a fermarsi all’apice del successo, senza diventare ripetitivi, oppure è stata un’occasione sprecata, visto che Trillo ha dimostrato negli anni successivi di saper gestire serie ben più lunghe? Personalmente propendo per la prima ipotesi e rileggo ancora oggi con piacere questo fumetto così speciale.

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Marco Gremignai

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