Possono Topolino e Pippo fare esperienza di un evento del genere? Lo sceneggiatore Carlo Panaro, che per diventare autore Disney ha abbandonato una carriera da ragioniere e che fu definito da Romano Scarpa uno dei migliori autori degli anni novanta, lo ha reso possibile nella sua storia di 38 tavole, dal titolo “Topolino e il Sole nel Buio“, avventura del 1999, uscita il 26 ottobre sul numero di Topolino 2291 e ripubblicata come prima storia nella racconta <<Grandi Classici Disney>> numero 47 del novembre 2019. Lo schema dell’avventura è il seguente: Pippo con la sua solita ingenuità, trova una borsa piena di nastri registrati e un registratore, ma anziché ascoltare subito i nastri per farsi un’idea del proprietario così da identificarlo, consegna la borsa in un fantomatico ufficio oggetti smarriti (evidentemente a Topolinia ce ne sono come se tutto il paese fosse un immenso aeroporto) dove nessuno va a reclamarla e quindi Pippo viene ricontattato per riconsegnargli la borsa che quindi risulta diventata di sua proprietà dato che nessuno l’ha reclamata. Possiamo presumere che la storia essendo diretta ad un target prevalentemente di bambini, la dinamica si possa spiegare col fatto che è meglio far capire ai bambini che un oggetto trovato non diventa subito di sua proprietà se c’è una sia pur labile possibilità di ritrovare il legittimo proprietario e che può diventare di proprietà della persona che lo ha trovato solo se si è tentato tutto per rintracciarlo. Comunque a parte questa dietrologia didattica, accade che Topolino rimasto sotto la pioggia battente, ed essendo lontano da casa, chiede ospitalità all’amico Pippo, che lo fa svestire per far asciugare gli abiti e gli offre la sua lunga vestaglia. Troppo lunga per Topolino, che infatti continua ad inciampare rovinando sul pavimento dell’abitazione dell’amico più di una volta, sicuramente per stimolare l’ilarità dei piccoli lettori a cui piacciono questi giochetti clowneschi. A quel punto Pippo vuole intrattenere ancora l’amico con della musica e pensa di farlo facendogli ascoltare quei nastri trovati, che lui crede abbiano registrate delle composizioni musicali. Invece vi troveranno degli appunti audio di uno scrittore di romanzi, che anziché usare dei taccuini, utilizza dei nastri.
Ora vorrei fare un’altra piccola digressione, su questo espediente di cui ho già sentito fare riferimento in altre occasioni e contesti. Io stesso ho provato ad usarlo molti anni fa per appurare se fosse funzionale. Ebbene, la mia opinione è che non sia per nulla pratico. Infatti le registrazioni audio sono spesso lunghe e discontinue. Se l’autore stesso deve recuperare in breve tempo un’informazione che vi ha registrato settimane prima, per trovarla sul nastro giusto, deve o riascoltare ore ed ore di registrazione (cosa secondo me improponibile) oppure avere una memoria eccezionale nel riuscire a ricordare in che punto approssimativamente di uno specifico nastro, aveva parlato di quella ispirazione avuta e a cui vuole risalire. Insomma, per ricordare una cosa simile ci vuole una memoria cento volte superiore che non semplicemente per ricordare l’informazione stessa che serviva senza perdere tempo a registrarla. Cosa diversa se tale scrittore di romanzi disponesse di una segretaria pagata solo per sbobinare tutti i suoi nastri mettendo appunto tutto per iscritto parola per parola. Ma può uno scrittore permettersi di pagare una assistente che svolga questo compito? Solitamente è improbabile e indubbiamente antieconomico. Personalmente ritengo che il taccuino e la penna continuino ad essere il metodo più adatto per segnarsi nero su bianco un’idea da poter utilizzare per un futuro romanzo. Ma dobbiamo pensare che all’epoca in cui fu scritta la storia, il 1999, era comunque importante aiutare i piccoli lettori ad imparare a vedere come usuali degli strumenti che di li a poco si sarebbero ulteriormente evoluti con internet, prima, e di li a pochi anni gli smartphone con i messaggi audio da inviare agli amici. E detto francamente anche oggi, gli amici non amano ricevere (al posto di un sms che si può leggere comodamente) degli audio troppo lunghi da gestire per moltissime ragioni (per esempio il consumo inutile di gigabyte di traffico di memoria che ha dei costi nella bolletta telefonica). Ricordo di come per esempio alla fine del millennio scorso un libro cartaceo costava magari 20 mila lire e la valigetta contenente tutte le audiocassette con la registrazione dell’audiolibro recitato da attori di fama nazionale (ricordo Vittorio Gassman e Virna Lisi tanto per fare un paio di nomi altisonanti per la registrazioni degli audiolibri) veniva a costare non meno di 60 mila lire. Costava insomma circa il triplo del libro cartaceo ed occupava in libreria uno spazio che era almeno il quintuplo del libro stesso.
Fortuna che oggi abbiamo i podcast come quelli della trasmissione radiofonica di <<Ad Alta Voce>> che viene prima trasmessa su Radio 3 e poi messa accessibile in rete gratuitamente sul loro sito e in forma di podcast scaricabile su cellulare. Ma certamente quelle valigette contenenti decine di audiocassette, hanno anche loro fatto la storia del mercato della narrativa, quindi chiaramente non le possiamo criticare più di tanto, e comunque vale la pena averne nostalgia. Teniamo conto che in America l’audiolibro registrato non da attori, ma dagli stessi autori che lo hanno scritto, ha avuto negli anni precedenti un discreto successo, più di quanto non sia accaduto da noi in Italia. Per esempio in <<Quoziente 1000>> di Paul Anderson del 1954, l’idea dell’audiolibro viene sfruttata fantascientificamente con l’ipotesi di un’umanità intellettualmente più evoluta in cui gli esseri umani ascoltavano trasmissioni con lezioni o testi registrati intanto che erano costretti a svolgere a turni, lavori di manovalanza che in qualunque realtà sia pur tecnologicamente avanzata, sono ovviamente sempre necessari.
Ma torniamo all’avventura di Topolino e Pippo. Finalmente con l’entrata in scena di Topolino scoprono che il proprietario della valigetta è un certo Omero Stroll la cui moglie si chiama Penny, che accoglie in casa propria i nostri due eroi che l’hanno rintracciata. Un paio di note sui nomi della coppia di coniugi. Omero è notoriamente l’autore dell’Odissea e dell’Iliade. Il cognome Stroll in inglese è un verbo che vuol dire “andare a zonzo” o appunto “vagabondare”. La moglie chiamata Penny, si può presumere che fosse il diminutivo di Penelope, che nei testi omerici era la moglie di Ulisse che ne attendeva a casa il ritorno. Carlo Panaro si è indubbiamente divertito ad inserire una serie di citazioni colte che in qualche modo forniscono ai piccoli lettori dei riferimenti culturali che in futuro saranno molto utili durante gli studi scolastici.
Comunque è stato molto carino da parte di Topolino e Pippo decidere di investire di tasca propria del denaro per prendere un aereo e andare a cercare lo scrittore disperso. Anche questa scelta è molto antieconomica dato che non era certo Penny a pagarli. Questo Omero “vagabondo” che lascia la moglie Penelope a casa a tessere e disfare le fila di una vita domestica con un figlio (di nome Billy, non Telamaco), senza sapere che fine abbia fatto il marito…. e tutto questo affinché lui potesse avere degli spunti per un prossimo romanzo. Insomma, Topolino e Pippo sono più che degli eroi, sono dei filantropi. Comunque giunti sull’isola di Kratoa (non Krakatoa, quindi tranquilli, nessuna eruzione vulcanica) Topolino e Pippo vanno in cerca di Manui (che è il nome di un’isola della Polinesia, ma qui usato come nome proprio di persona) che conosceva lo scrittore Omero Stroll. Trovano fra gli abitanti del luogo un muro di omertà al solo fare il nome di Omero. Tutti hanno paura, ma è una paura legata alla superstizione non al fatto che ci sia dietro l’incombere di una mente criminale e minacciosa. Ebbene alla fine un certo Kanoo si fa avanti e mette i due eroi sulla pista giusta indirizzandoli all’isola di Dogo. Un piccolo accenno di toponomastica: in realtà i due eroi non si trovano su un’isola della Polinesia (dal greco “poli” tante, “nesia” isole, quindi “tante isole”), ma si trovano nella Poconesia (“poche isole”?). Quindi la ricerca non si è rivelata troppo lunga e laboriosa. Con un idrovolante, cercano di raggiungere l’isola di Dogo e ad un certo punto trovano una barriera ipnotica che rischia di condurli a morte certa facendoli precipitare. Pippo non viene influenzato dalle onde sonore perché indossava delle cuffie con un walkman. Topolino comprende che se l’amico non era stato ipnotizzato mentre lui si, era proprio a causa di questo evento fortuito. Non hanno a disposizione dei tappi di cera come per Ulisse che si fece legare all’albero maestro per poter udire le voci delle sirene senza uccidersi gettandosi a mare per raggiungerle, però nel kit medico trovano dei batuffoli di cotone che a quanto pare consentono di proteggere dall’influenza ipnotica del suono misterioso ma non impedisce ai due eroi di comunicare fra loro liberamente parlandosi come se non avessero le orecchie ostruite del tutto.
Grazie a questo trovano Stroll che, con un gruppo di pescatori indigeni e la guida Manui, sono diventati tutti degli invasati guidati da una volontà non loro. Un misterioso “sole nel buio” è la causa di tutto. Un evento inspiegabile che si rivelerà essere un Diapason Fluorescente di dimensioni simili al Monolito Nero di 2001 Odissea nello Spazio (neanche farlo apposta). Ma questo Diapason enorme è anche luminoso come il sole e ricoperto di … e qui non mi è molto chiaro … Topolino li definisce “ideogrammi” anziché “geroglifici”, ciò a cui in effetti assomigliano maggiormente. Che i geroglifici abbiano delle attinenze notevoli con gli ideogrammi, mi sembra ovvio, ma forse la scelta del termine è dovuta al fatto che non si voleva per forza far collegare la scrittura “aliena” sul diapason con gli egizi, ma con altre culture non per forza mediorientali. Sta di fatto che in realtà i due eroi non decifreranno tali “ideogrammi” e la grotta in cui è conservato il diapason fluorescente crollerà facendolo tornare occultato come in origine. Quindi questo “mistero luminoso” resta inspiegabile, proprio come negli episodi di X-Files, serial televisivo molto noto fra il 1993 e il 2002, quando andrò in onda sulle televisioni di tutto il mondo e che in qualche modo deve aver ispirato, in quanto a stile della trama, questa idea narrativa del 1999, di Carlo Panaro. Tale riferimento al serial di X-Files di Cris Carter è in effetti citato anche nel redazionale del volume pubblicato da Panini Comics di cui ho messo in questo articolo l’immagine di copertina. Tale redazionale dal titolo “Può un mistero essere luminoso?” è di Lidia Cannatella e lei stessa punta l’attenzione sul finale aperto che viene lasciato intendere in questa avventura del Topo.
Topolino e Pippo tornano infatti a casa e Omero, ritornato dalla famiglia, scopriamo che negli anni racconterà al figlio Billy dei suoi viaggi come fiabe della buonanotte, in cui Topolino e Pippo sono gli eroi che hanno salvato il padre e che popoleranno da quel momento in poi i suoi sogni di bambino. Questa trama di fondo è raccontata in stile sandwich con un prologo ed un epilogo alla storia stessa che in qualche modo serve a tranquillizzare i piccoli lettori fin dal principio che tutti i rischi corsi dai nostri eroi avrebbero per forza avuto un lieto fine.
Rischi non da poco visto che in aereo hanno sfiorato la tragedia di vedersi precipitare con l’idrovolante e poi, durante la vicenda, catturati da Stroll, Manui e il gruppo di pescatori locali, tutti soggiogati da questa forza superiore, Topolino e Pippo sono pure stati gettati giù da un dirupo. Si sono salvati anche in quel caso, certo, ma è stato indubbiamente un bello spavento vivere un frangente narrativo di quel tipo.