<<Non vale la pena avere la libertà se questo non implica avere la libertà di sbagliare.>> Mahatma Gandhi
<<La libertà non è ribellione, ma piuttosto la pratica di una fantasia senza limiti all’interno delle restrizioni dal potere.>> Alejandro Jodorowsky.
<<E’ proprio vero: alcuni uccelli non sono fatti per stare in gabbia, sono nati liberi e quando volano liberi ti si riempie il cuore di gioia.>> Morgan Freeman – Ellis Boyd “Red” Redding.
Siamo in un epoca di guerra in cui una milizia di soldati addestrati gettano nel panico la popolazione civile, provocando morti innocenti. Il governo per far fronte a questo flagello prende dei provvedimenti. Cattura un neonato con la capacità di volare fin dalla nascita e lo chiude in una enorme voliera tenendo all’oscuro tutto il mondo di questo progetto di ricerca sperimentale volta a consentire alla comunità scientifica di trarre delle scoperte che consentano alla nazione di poter trovare delle soluzioni innovative che conferiscano ai militari l’autorità di poterle sfruttare come armi alternative contro questo gruppo di terroristi kamikaze che versano l’intera comunità civile nel panico. Il bimbo cresce in cattività inizialmente ignaro di tutto ma che poco alla volta comprende la propria condizione di recluso finché i suoi bisogni umani anche di tipo ormonale ed emotivo non lo portano ad innamorarsi di una delle ricercatrici che lavora per la stessa struttura che lo tiene prigioniero. Il suo nome? Icaro.
Questa all’incirca la trama di una delle fantasiose opere che hanno permesso a due grandi autori del fumetto di collaborare per un progetto comune. Stiamo parlando del fumettista francese Jean Giraud, noto anche con lo pseudonimo di Gir e di Mœbius; quest’ultimo il nome con cui ha firmato l’opera; e con lui stiamo parlando del mangaka giapponese Jiro Taniguchi e del loro <<ICARO>> (2001). L’opera ha anche la firma, come collaboratore di Mœbius, di Jean Annestay per la sceneggiatura. Da notare che Taniguchi in alcune parti del volume è visibilmente ispirato all’opera <<Akira>> di Katsuhiro Ōtomo, altro autore giapponese che nel suo percorso artistico fu di rimando molto ispirato dai lavori di Mœbius. Quasi quindi una sorta di chiusura del cerchio in cui Jean Giraud ha raccolto in un proprio progetto i frutti derivati dai semi che aveva gettato nel corso della sua carriera artistica nel terreno fertile di altri suoi ispirati colleghi che lo hanno ammirato da tutto il mondo.
L’arte che vola libera in tutto il Creato, lasciandone traccia e contribuendo a renderlo ancor più bello. Aggiungiamo che la trama originariamente concepita dalla mente di Gir, uno dei padri artistici del ciclo di avventure dell’INCAL, insieme al drammaturgo, regista, attore, compositore, e scrittore cileno naturalizzato francese, Alejandro Jodorowsky (oggi 93 enne ed ancora artisticamente attivo); tale trama era originariamente costituita, come dicevamo, da una corposa lunga avventura di 10 mila pagine. Non dimentichiamo che l’autore che era anche in prima persona disegnatore: questo ci fa pensare che nella sua testa l’aveva già visualizzata in quella modalità, come avventura di ampio respiro … come se l’avesse dovuta disegnare interamente lui. Ma forse per quello strano processo di trasformazione che avviene fra la lingua giapponese, che nella parte scritta è fatta di ideogrammi e la lingua occidentale fatta invece di fonemi che consentono ad un lungo testo in lingua occidentale di diventare un conciso testo di poche righe in giapponese, ecco che presa in mano l’idea originaria di Jean Giraud, da Jiro Taniguchi, il tutto si è brillantemente espresso in tutta la sua vastità in un’opera di meno di 300 tavole che oggi sono reperibili in volume unico.
Se lo cercate in rete, scoprirete che l’opera in italiano con copertina flessibile è esaurita, ma la potete acquistare su Amazon, nell’usato, proveniente dall’Inghilterra al prezzo di 90,74 €.
L’usato di alcuni venditori addirittura si alza di prezzo fino a costare anche 10€ in più, si presume a seconda dello stato di conservazione del volume. Tale opera però contiene solo 160 pagine. Al contrario il volume nuovo di edizione belga in lingua francese per la Kana Edizioni nel novembre 2020, che conta 330 pagine e pubblicato con copertina cartonata, la si può trovare al modico prezzo di 18€. Beh, diamine, siamo in Europa no? Ci guardiamo le serie televisive su Netflix in polacco o brasiliano e ci scomponiamo nell’avere in libreria un volume originale di un’opera, in lingua francese, che poi è la lingua madre dello sceneggiatore stesso? Come potrete immaginare è quella la copia che mi sono fatto consegnare dai collaboratori automuniti di Mister Bezos.
La vicenda della prigionia di ICARO ci pone davanti ad un dilemma etico. Perché tengono questo essere umano chiuso in una sorta di gigantesca gabbia per uccellini fin dall’infanzia alla maturità? Perché lo sottopongono a trattamenti medici a cui lui, se avesse potuto scegliere fin dall’inizio, si sarebbe opposto? Perché filtrano le informazioni che riguardano il mondo esterno tenendogli nascosto ciò che avviene nel mondo esterno alla sua gabbia dorata? Lo fanno per il bene della nazione. Tutta questa violenza che parte dalla privazione di tutte le libertà basilari del singolo individuo viene legittimata dalla convinzione che sia per il bene della collettività. L’assunto secondo cui la libertà del singolo finisce quando inizia la libertà degli altri, viene applicata in senso estremamente stringente e così si trasforma nell’assunto che la libertà del singolo può essere privata in qualsiasi momento al punto dal poterla sacrificare sull’altare dell’ipotetica sopravvivenza e qualità di vita della collettività.
Ma tutto questo è “giusto”? Cosa è la qualità della vita della collettività se non la sommatoria della qualità della vita di ogni singolo individuo? Due anni fa avremmo detto di no, che non è giusto, ma oggi, dopo la pandemia, rispondere di no ed essere convincenti, è diventato magicamente più complesso.
Proviamo a ragionarci facendo degli esempi presi dalla narrativa e di cui io sia memore. Il primo esempio che mi viene da sottoporre è quello di Star Trek, in cui Mister Spock sacrifica la sua vita per la salvezza dei suoi amici e quando Kirk lo raggiunge, separati da un vetro che protegge Kirk dalle radiazioni che stanno uccidendo Spock, lui gli pronuncia la famosa frase “le esigenze dei molti contano di più di quelle di uno” e detto questo, con le due mani (quella di Kirk e quella di Spock) che stanno virtualmente in contatto separate dal vetro di schermatura, spira al cospetto della sofferenza e costernazione dell’amico e comandante James T. Kirk che al funerale di Spock ne pronuncerà un bellissimo elogio funebre.
Ma ricordo anche che nel film seguente, Kirk e i suoi amici si lanciano nell’impresa di riportare in vita il loro compagno di avventure Mister Spock, mettendo a rischio le proprie vite e contro quella stessa logica suddetta dei grandi numeri che si impongono sui piccoli numeri; e quando Spock chiede spiegazioni, Kirk gli risponde con una massima di vita altrettanto straordinaria della precedente: “lo abbiamo fatto perché le esigenze dei pochi, o di uno, contano di più di quelle dei molti“.
Esistono quindi circostanze per cui la regola si può ribaltare. Innanzitutto notiamo che quando Spock sacrifica la propria vita per la salvezza dei suoi amici, lo fa di sua spontanea volontà e non sottoposto a coercizione, con la forza bruta, l’imposizione dietrologica o una sorta di ricatto (economico od emotivo che sia). Allo stesso modo i suoi amici rischiano la loro vita anche loro perchè scelgono di farlo. Nessuno ve li obbliga. A nessuno può essere chiesto forzatamente di mettere a rischio anche sia pure ipoteticamente la propria vita per un fantomatico e ancor più ipotetico bene collettivo. Questo è infatti ciò che veniva fatto ad Icaro senza che lui, potesse prenderne atto se non una volta divenuto un giovane più maturo.
Oltre alla vicenda di Spock, che per alcuni potrebbe non essere sentita nelle proprie corde dato che innestata in una trama fantascientifica che potrebbe far pensare che sia solo una logica rilegabile alla fantascienza e non alla vita reale di tutti i giorni, pensiamo invece alla vicenda descritta allora nel famoso film, regia di Stephen Spielberg, “Salvate il Soldato Ryan“, che fu tratto da una storia vera.
In questo film ci troviamo nella situazione in cui durante la Seconda Guerra Mondiale ad una donna americana che ha 4 figli in guerra stanziati in differenti battaglioni, devono essere consegnate le lettere della avvenuta scomparsa di 3 dei suoi figli maschi morti più o meno nello stesso periodo in 3 luoghi differenti del conflitto mondiale. Il quarto figlio, un paracadutista, si trova disperso in Normandia, ma si presume che sia ancora vivo.
Una segretaria si accorge del fatto che a questa madre americana arriveranno contemporaneamente queste 3 ferali notizie e avverte il suo superiore. Risalendo la catena di comando, la notizia arriva a chi può prendere una decisione militare e la decisione è di incaricare una squadra di soldati capitanati da un ufficiale (interpretato da un eccellente Tom Hanks) di rintracciare il soldato James Francis Ryan (interpretato da un giovanissimo Matt Damon) e di ricondurlo a casa dalla madre sano e salvo.
Della squadra di soldati inviati a salvare il soldato Ryan, ne sopravvive solo uno o due (non ricordo bene). Ma fra questi non c’è l’ufficiale John H. Miller, interpretato da Hanks, e che si scopre nel corso della vicenda, essere stato un insegnante delle scuole elementari e che vede i suoi sottoposti con lo stesso affetto con cui guardava i suoi allievi che a scuola erano i più difficili da instradare nella direzione della maturità. Uno dei sopravvissuti è un promettente giornalista che quindi noi possiamo presumere che sarà colui che farà una relazione dettagliata dei fatti accaduti. Tutti gli altri muoiono nell’impresa e Ryan viene salvato. La missione ha avuto quindi successo. La domanda che gli stessi soldati ponevano durante la missione era “Ma perché per salvare lui, dobbiamo mettere a rischio la nostra vita, la vita di tutti noi? Non abbiamo anche noi a casa delle madri che aspettano di vederci tornare a casa vivi? Per quale ragione la sua vita che è una sola, è più preziosa della nostre vite che sono le vite di molti?” I soldati incaricati della missione di salvataggio, arrivano addirittura a sperare che Ryan sia già morto così che loro non debbano sentirsi in dovere di portare a compimento la missione. La scena in cui tutti insieme, divertiti, giocano con le piastrine degli altri loro commilitoni morti, cercando nel mucchio la medaglietta che riporta sopra il nome di Ryan, è alquanto truce ed emblematica.
Il film è stato di grande successo e solleva un problema etico importante che per gli spettatori è fonte di entusiasmo nella visione di questo prodotto artistico cinematografico. Cioè che dietro la vita di un essere umano non ci debba essere solo un mero calcolo matematico e statistico. Dev’esserci anche una dimensione emotiva. I dieci soldati morti hanno fatto soffrire con la loro scomparsa, 10 madri, ma tali 10 madri hanno patito la perdita di un solo figlio. La madre di Ryan, se avesse perso quel suo ultimo figlio, avrebbe patito la perdita non di uno ma di 4 dei suoi figli. Una donna che ha messo al mondo 4 figli di cui già 3 sono stati sacrificati alla nazione, deve ricevere più considerazione di 10 donne che di figli in guerra ne hanno perso solo uno, anche se è il loro unico figlio maschio. L’interesse del singolo prevale quindi sull’interesse dei molti. Solo in questo modo noi dimostriamo di essere umani e non delle macchine calcolatrici che ragionano solo sulla base dei numeri.
Questa dimensione di umanità chi ha visto il film l’ha capita molto bene. Se però tale dinamica la applichiamo a noi stessi ecco che improvvisamente diventiamo incapaci di comprenderla affiancandola ai casi della vita in cui ci imbattiamo.
Se aderiamo a quanto sopra, dobbiamo accettare che ciò a cui viene sottoposto Icaro non è lecito. Come ha detto il filosofo contemporaneo Hans Jonas (1903-1993), nel suo libro “Tecnica, medicina ed etica” il confine tra mondo esterno, comune e condiviso con tutti e l’interno del corpo mio personale, si rende manifesto mediante quella pellicola divisoria che è “la nostra pelle”, ed é da quel confine in poi che ogni diritto pubblico di imporsi sull’interiorità del singolo, cessa di esistere. Non è lecito sottoporre un individuo a sperimentazione medica dentro il proprio corpo se non è consenziente. Un dedalo di leggi che incarcerano gli individui in una sorta di labirinto di impossibilità di agire secondo coscienza e autodeterminazione, non è lecito. Non è lecito farlo per un fantomatico bene della collettività. Non è lecito neppure se prima di lui c’è stata una maggioranza che ha acconsentito a farsi sottoporre a tale sperimentazione. Non è lecito neppure se si sta sbagliando nel rifiutarsi. Perché se si priva Icaro, individuo singolo, della sua libertà di scelta, non si sta attaccando in questo labirinto di convinzioni, solo Icaro, ma si sta attaccando l’integrità stessa della Libertà in quanto ideale etico che sovrasta tutto, impedendoci di volare al di sopra di qualsiasi architettura di Creta in cui ci si vuole chiudere dentro. Ed è così che siamo felici e ci si riempie il cuore di gioia nel veder Icaro sfuggire alle stringenti maglie della gabbia che lo imprigiona. Siamo felici di vederlo spezzare i cavi che lo tengono legato alle apparecchiature che ne analizzano il proprio dono che possiede dalla nascita. Siamo felici di vederlo volare libero in cielo reggendo fra le braccia Yukiko la donna che ama.
Tutto sta nel prendere ciò che ci rende felici e gioiosi di leggere per il protagonista di un prodotto narrativo, trasportarlo nella realtà ed essere anche in questo caso felici di vederlo accadere per tutte le persone che ci circondano nella vita di tutti i giorni, senza usare due metri e due misure.
L’Icaro di Mœbius e Taniguchi ha così un destino più gioioso, un lieto fine assente nell’Icaro della tradizione ellenistica. Perché l’amore e la libertà sono dei collanti più forti della cera che si scioglie avvicinandosi al sole. Ed Icaro termina la sua avventura tuffandosi consenziente con Yukiko in quel mare di possibilità che gli offre la libertà di scelta.