Cari lettori di uBC Magazine, col presente pezzo vorrei esplorare la possibilità di proporvi una visione trasversale delle mie recenti letture fumettistiche. Lo farò con due albi che ho letto consecutivamente. Il primo è l’avventura del Commissario Luigi Alfredo Ricciardi, al servizio della Questura Regia di Napoli, nato dalla penna dello scrittore di romanzi Maurizio de Giovanni, pubblicata in veste fumettistica dalla casa editrice Bonelli, dal titolo “Per Mano Mia“, per l’occasione sceneggiato da Claudio Falco e coi disegni di Daniele Bigliardo. Il secondo è l’avventura disneyana in due puntate, “1999 mila leghe sotto i mari“, evidente parodia del noto romanzo dello scrittore francese Jules Verne: “Ventimila leghe sotto i mari” del 1870.
Il Commissario Ricciardi, lasciatecelo dire, pur essendo nato inizialmente come personaggio ricorrente in un ciclo di romanzi che oltre ad aver ottenuto una fortunata risonanza di pubblico, si è poi imposto anche a livello televisivo con una serie di 6 episodi della prima stagione apparsa nel 2021 sulla RAI in cui il protagonista è impersonato dall’attore italiano Lino Guanciale. La trasposizione fumettistica è di qualità tale da poter affermare che pur essendo il personaggio ideato prima per la narrativa poliziesca, si rivela essere una delle migliori produzioni a fumetti pubblicate dalla Casa Editrice Bonelli negli ultimi due anni.
La qualità dei disegni di Bigliardo è insindacabile. L’ambientazione temporale e geografica, è interessante: i fatti di questa avventura si svolgono in prossimità del Natale del 1931 a Napoli. Quindi in un momento storico di fragile pace in Italia e che fa da fulcro fra quei due piatti della bilancia di sofferenza che sono state le due Guerre Mondiali e dove quindi il protagonista si trova spesso a svolgere il suo lavoro di uomo di legge invischiato nel dover districare matasse spesso ulteriormente ingarbugliate da uomini di intelligence al servizio di interessi politici del fascismo di quell’epoca storica. Ricciardi ha però un appeal “paranormale” tutto suo per gli appassionati delle narrativa a fumetti del fantastico: lui vede e sente parlare i morti. Ma è un segreto che non condivide con nessuno e che proprio per questo gli rende difficile il rapporto emotivo senza barriere, con i viventi che gli vogliono bene. Ci sono infatti due donne che lo vorrebbero poter amare pubblicamente: Livia Iansiti, una giovane ma ricca vedova con molti agganci nel panorama politico italiano degli anni 30 ed Enrica, una timida maestra ben voluta dalla tata di Ricciardi (che li vorrebbe veder sposati).
Ma, per quel che riguarda per esempio questa avventura incentrata sul duplice omicidio di un Centurione della Portuaria e di sua moglie, in realtà i morti che lui vede e di cui sente pronunciare le parole che condensano i loro ultimi pensieri prima della morti violente che li ha colti, non avranno nessun ruolo, perché in realtà arriverà alla risoluzione del caso grazie a due eventi fortuiti concomitanti: la fuga di un’anguilla dal banco del pesce sulla bancarella del mercato e la statuina di San Giuseppe del presepe che sfugge di mano dall’anziana Rosa, la sua tata e governante che lo accudisce fin da quando era bambino.
Nonostante tutto quei morti intorno a lui ovunque lui vada, hanno un significato ed è quel significato che spero di poter riuscire ad analizzare in questo articolo.
Nel maggio del 2021, nonostante questi terribili momenti che hanno gravato sui nostri cuori durante questi accadimenti mondiali dovuti alla pandemia, ho avuto la fortunata occasione di andare in Francia per far visita a dei parenti. In un’edicola sono stato attratto da un albo a fumetti intitolato “Michey Parade Géant” numero 382 della Disney (a lato la copertina dell’albo <<Mickey Parade Géant>> edito da Unique Heritage Media per la Disney in Francia). In copertina si vede un buffo Pippo con in testa un cappello a turbante indiano, un Topolino con bombetta stile Dottor Watson e un Paperino con … e come potrebbe non essere così, in una storia picaresca come questa? … con la sua divisa da marinaretto. Dietro di loro un mezzo di trasporto acquatico che per forma e dimensione ricorda le grandi balene che popolano i sette mari. Titolo dell’avventura? “A bord du Nautilus – 1999 lieves sous les mers“: soggetto e sceneggiatura di Francesco Artibani e disegni di Lorenzo Pastrovicchio.
In questa pubblicazione francese, le due puntate che in Italia sono apparse sue due albi consecutivi del settimanale di Topolino (il numero 3355 e il numero 3356, dalla Panini Comics), qui sono invece raccolte insieme (fatto piuttosto comodo e congeniale per me visto che non sarei potuto ritornare in Francia a prendermi la seconda puntata). Il personaggio del Capitano Nemo è qui impersonato in questa parodia disney, da un pippide spilungone. Sicuramente il turbante è stato scelto come capo di abbigliamento in quanto nella successiva avventura dell’italianizzato Giulio Verne, il Capitano Nemo (in latino “nessuno“) è in realtà uno pseudonimo del Principe Dakkar, di origine indiana e che ha in odio il popolo inglese per aver colonizzato il suo paese provocando la morte dei suoi congiunti. Andando però a scavare nella vicenda che orbita intorno a questa fortunata serie di pubblicazioni avventurose, si scopre che l’editore Pierre-Jules Hetzel, impose una variazione sulle origini del Capitano Nemo, rendendole nel primo romanzo, oscure, per paura che tale romanzo non venisse pubblicato sul mercato dell’Impero Russo che in quel momento nel 1870 era un potente alleato della Francia. Nelle prime intenzioni di Jules Verne, il misterioso scienziato poliglotta dall’anima cosmopolita, avrebbe infatti dovuto essere un signore di origine polacca e il suo odio dover essere rivolto prevalentemente nei confronti dei russi, che occuparono la sua nazione, uccisero il padre sotto lo knut, la moglie fu uccisa con un’ascia, le figlie erano state violentate e tutti gli amici erano morti in Siberia.
Vediamo quindi come per degli interessi di armonia e pace legati a vicende storiche contingenti, l’arte della scrittura dell’autore si è dovuta inchinare per un bene superiore. Un tema piuttosto complicato anche ai nostri giorni, proprio a causa di quanto sta avvenendo in Ucraina, dove spesso l’informazione e la veritas giornalistica rischia, senza essere mediata dalla caritas, di fare molti danni. Non si può quindi che apprezzare l’intervento di allora di quell’editore francese, anche perché così, avendo Nemo due origini differenti, solletica la fantasia degli appassionati di fantascienza che amano districarsi nei meandri del possibilismo narrativo e di questi suoi aneddoti storici legati alla nascita di ogni mito letterario. Nella avventura Disney a bordo del Nautilus scopriremo che Topolino interpreta il Professeur Michel Miquet (in italiano Michel de Topolin) che nel romanzo di Verne era il Professor Pierre Aronnax. Il noto criminale Macchia Nera (Phantom Blot in inglese e Tache Fantôm in francese) impersona invece il Comandante Farragut di Verne (Capitaine McLandrin nella parodia pubblicato in Francia, Capitano Faraboot in quella pubblicata in italiano), capitano dell’Abraham Lincoln (la fregata Alabama nella versione Disney), la nave che partirà alla ricerca del mostro che terrorizza tutti i mari. Pietro Gambadilegno (Peg Leg Pete in inglese e Pat Hibulaire in Francia), interpreta invece Ned Land, il fiocinere (Ned Gamb nella parodia in italiano). Simpatiche le gag di quest’ultimo con O’Quack (Paperino) in cui il ramponiere canadese del Quebec, questo Monsieur Land (nella parodia in francese) gli infilza il cappello col suo rampone. Ma ecco anche un’interessante variante fra parodia e romanzo.
I marinai che lavorano al soldo del Capitano Nemo, sono tutti uomini di differente nazionalità come accade nel romanzo (uno di loro, un francese, morirà per esempio a causa di un calamaro gigante). Tali uomini nel romanzo parlano con Nemo una lingua segreta di sua invenzione che ha insegnato loro allo scopo di far sentire uniti uomini dalle origini così diverse fra tutti loro. Quello che mise quindi in atto Nemo, col suo veicolo costruito da mani umane che affonda nelle profondità marine, è guarda caso l’opposto di quanto ci narrano le Scritture con la costruzione della Torre di Babele, anch’essa costruita da mani umane, ma proiettata verso il Cielo. Quest’ultimo “manufatto architettonico” confuse le lingue di un popolo che parlava una sola lingua. Gli uomini, invece, riuniti in questo viaggio nelle oscurità marine; tutti uomini dalle differenti lingue, grazie al genio di Nemo e la sua volontà di pace fra tutte genti, si riscoprono uniti da una sola lingua. Nella versione Disney, questa omologazione fra i marinai al soldo di Nemo, viene ottenuta graficamente rendendoli tutti una sorta creaturine robotiche, tutti di forma ovale. Tali creature, i mécanimatelots in Francia (i <<meccanimati>> nella versione italiana), non parlano, ma emettono suoni meccanici che evidentemente vengono capiti da Nemo e a loro volta capiscono il linguaggio di Nemo. L’idea è buona anche allo scopo di avvolgere il mistero di Nemo di un ulteriore mantello di fascino: lui è l’unico essere vivente sul Nautilus e i suoi marinai, sono tutti delle macchine create dalla sua intelligenza proprio come il Nautilus stesso. Certo, si perde la componente cosmopolitica di questo microcosmo sociale che è il Nautilus come era visto da Verne (che sicuramente ha ispirato lo scrittore e sceneggiatore televisivo Gene Rodenberry nella sua visione dell’astro”nave” Star Trek con membri dell’equipaggio, tutti con differenti nazionalità), ma per le dinamiche della Disney si aggiunge un elemento caricaturale utile a catturare le simpatie dei bambini che vedono in queste creaturine dei giocattoli divertenti (e non escludiamo che il merchandaising della Disney, dopo il Nautilus stesso messo in regalo con l’albo di Topolino numero 3355, ci farà un pensierino). Non si può ovviamente non vedere in questa tribù di personaggini tutti uguali, una correlazione con i Minions di Cattivissimo Me, se non addirittura una ancor maggiore affinità con gli infaticabili Umpa Lumpa di Willy Wonka nel suo “La Fabbrica di Cioccolato“.
Ecco, e qui sta per concludersi la mai osservazione e correlazione fra queste due storie così diverse di genere e direzionate ad un pubblico del tutto diverso. Vedo personalmente una similarità fra i morti che orbitano intorno alla figura di Luigi Ricciardi, e i meccanimati, questa sorta di droidi ovaleggianti che fanno compagnia al pippide Capitano Nemo della Disney. Di fatto Ricciardi non può parlare con queste entità ectoplasmatiche. Non pone loro domande, non gli danno risposte. Sono quella sorta di “ultima immagine fotografica impressa sulla retina della vittima” che in un certa letteratura gialla del passato, cercava di fornire agli investigatori uno strumento in più per consentire loro di arrivare a scoprire chi è l’assassino. Questi uomini morti che si presentano alla sua vista e che si palesano in una triade di colori nigredo rubedo albedo come accade sulla testata di Morgan Lost (si legga a proposito di questo, l’articolo analitico di Michela Morgana <<Cosa hai perso, Morgan?>> per l’albo numero 1 e 2 di questa testata: “Incubi e serial killer” e “Londra in rosso e grigio“), sono di fatto l’eruzione magmatica della psiche del Commissario Ricciardi, in un luogo come Napoli, dove a causa del Vesuvio di morti se ne sono avuti parecchi nel tempo e quindi se ci dovessero essere strati e sovrastrati infiniti di anime sofferenti che vogliono raccontare a Ricciardi il loro ultimo pensiero inciso col mangianastri del paranormale, quale luogo migliore di Napoli.
Ricciardi, come il Capitano Nemo, sono due uomini soli. Il secondo alla ricerca di senso nelle bellezze sconosciute della natura e il primo nella ricerca di senso nell’amare e nel vivere, quando è così circondato da sofferenza e morte.
Alla fine di “Per mano mia” Ricciardi scoprirà l’assassino della coppia. “Mai una volta che arresti un delinquente che sembra un delinquente” commenterà il suo Vicequestore. Un delinquente sui generis che sente la voce della Madonna e che gli dice cosa fare e che da più importanza alle immagini scolpite nel legno fatte con le sue proprie mani, che non alla vita umana che non è certo “manufatta”. Un epilogo che non ci fa pentire di sapere che Ricciardi non si fa strumentalizzare dalle voci dei morti che sente, perdendo in questo modo, di vista, la differenza fra bene e male. Una vicenda che fa riflettere.
Esiste il paranormale come per Ricciardi? Esistono ancora misteri sconosciuti in cui non ci siamo ancora imbattuti nel nostro universo e che possano affascinarci e dare senso alla nostra vita come per il Capitano Nemo? Personalmente lo credo. Ed è la mia risposta ad entrambe le domande, purché non diventi un pretesto per emarginarsi dai propri simili. Pertanto faccio il tifo per il Commissario Ricciardi e la timida Enrica e mi auguro che il mito del Capitano Nemo in cui tutto ciò che ha fatto con le sue mani è al servizio della vita in tutte le sue diversità e delle meraviglie della Natura (non a loro danno) possa spingerci a non smetter mai di aspirare ad un mondo migliore finalmente senza più orfani di guerra.