Dororo & Hyakkimaru: Satoshi Shiki come Chef Tony

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Io con il signor Satoshi Shiki ho un problema. E lo so che questa frase l’ho giù usata per Hiro Mashima, ma qui il problema è pure più grave.

Satoshi Shiki lo conobbi ancora prima che con Kamikaze pubblicato in Italia ormai 16 anni fa dalla Star Comics, tramite Riot arrivato in fascicoli pubblicati da Viz o Dark Horse (non ricordo), e comprati sovrapprezzati dalla prima fumetteria di Torino, ora da tempo scomparsa, che in tempi in cui “fumetteria” non era ancora un termine riconosciuto dalla Treccani, integrava un catalogo inesistente con comics d’importazione USA prima e manga, avendo il canale già aperto, poi.
Grazie a loro, pagando per un singolo volume poco meno di quello che i miei coetanei pagavano per un videogioco per Game Boy o PlayStation, conobbi AppleseedOutlander, Silent Mobius e, infine, Riot.

Cover affilata!!

Al tempo Satoshi Shiki era uno degli autori che mi parevano più interessanti: della “New Wave” manga era probabilmente il più integralista. Se i big del movimento, Masaomi Kanzaki e Kia Asamiya, disegnavano i personaggi spigolosi, lui li disegnava ANCORA più spigolosi. Se gli ideologi del movimento come Yoshihisa Tagami prediligevano ambientazioni distopiche e personaggi amorali, lui li immergeva in una ambientazione priva di speranza e valori e li faceva ANCORA più amorali. Se i geni sregolati del movimento come Masamune Shirow costruivano trame complesse intrecciate di accordi occulti tra poteri e caricate di mumbo jumbo tecnomistico, lui si accertava che, perdonatemi il francese, manco i personaggi capissero un cazzo di quello che stavano facendo. Figuriamoci il lettore.
Sempre a quel tempo, nonostante fossi già universitario, ragionavo ancora come un sedicenne (non che ora…), e quindi le sue storie mi parevano una figata pazzesca. Quando qualche anno dopo arrivò Kamikaze in Italia, ero letteralmente estatico, peccato che… peccato che…

Peccato che continuassi a non capire un ca…

Figo il personaggio spigolosissimo sia come aspetto, praticamente una Lamborghini in forma umana, che come carattere: indifferente, antipatico e misogino al punto da far sembrare Ken il Guerriero, Casanova. Fighe (er… ok, passatemela, dai) le donzelle che come canone variavano dalla principessa in pericolo buona, ingenua e pura ma prontissima a smollarla al tenebroso protagonista, alle guerriere sanguinarie, indomabili e invincibili-ma-non-al-livello-del-tenebroso-protagonista a cui in tempo brevissimo diventavano pronte a smollarla. Fighi gli antagonisti, ambigui, titanici e letali-ma-non-al-livello-del-tenebroso-protagonista a cui, nei casi più ambigui, sembrava proprio che… insomma, ci siamo capiti.

Tutto molto bello, bravi tutti, ma dopo un po’ diventava evidente che nessuno si era ricordato di portare una storia, una trama, una sceneggiatura.

Un personaggio spigolosissimo!

Quando poi Satoshi Shiki scrisse e poi si trovò a riscrivere la sua nuova, spigolosa, opera X-Blade, senza riuscire a quagliare nulla, finalmente capii che la “affilatezza” delle sue opere era la stessa dei coltelli “Miracle Blade”: evidente in mano a Chef Tony che affetta pomodori di fronte a telecamere, in uno studio illuminato ad arte e con opportuni effetti di montaggio, impercettibile alla fine della pubblicità, dimenticata pochi minuti dopo.
Paccottiglia degli anni ’90 replicata con convinzione fino a questo 2020.

Questo 2020 in cui Satoshi Shiki ci ritorna tramite Planet Manga e con un soggetto firmato da nientedimenoche Osamu “Dio del Manga” Tezuka: Dororo e Yakkimaru – La leggenda.

Non credo nessun lettore rimarrà molto sorpreso se ripeto: “paccottiglia anni ’90 replicata con convinzione fino a questo 2020”. Il tratto spigoloso di Shiki si rivela ormai come puro “accademismo”, una scelta estetica affinata parossisticamente ma senza nessuna personalità, che mostra di essere invecchiata malissimo laddove il Dororo di Tezuka (1967) pare, sopratutto in questo periodo di “shonen morbidi” (Demon Slayer, Boku no Hero Academia e altri), essere stato pubblicato l’altro ieri.
La sua costruzione di tavola continua ad essere confusa e tesa a privilegiare l’effetto rispetto alla leggibilità, cosa che in un panorama ancora “povero” come quello alla fine degli anni ’90 poteva passare inosservata ma che ora, con centinaia di shonen fruiti e digeriti e con la lezione data da Eichiro Oda, Masaru Kishimoto e, come dissi, Hiro Mashima, diventa imperdonabile quanto un Film Di Menare che ignaro di tutta la storia che porta da “Hard Boiled” a “The Raid” ancora coreografa le scazzottate con campi, controcampi e stacchi di montaggio datati a “Il Ragazzo dal Kimono d’Oro”.

Che si ammorbidisce nello spazio di un volume…

Infine, la trama e la sceneggiatura… non so, devo infierire? Tezuka scrisse la storia di Dororo per il suo tratto ed il suo tempo, forgiando personaggi e situazioni che sarebbero stati reinterpretati da decine di autori: pensiamo al Jintetsu di Kurogane, figlio putativo di Hyakkimaru o a quante storie di “villaggio rurale con demone” abbiamo letto tra Rumiko TakahashiKoyoharu Gotoge (Demon Slayer).
La base è solida, i personaggi archetipi, cosa è allora questa pigrizia che ricalca le situazioni pari-pari semplicemente con il tratto di 30 anni dopo? Potrebbe essere un rispettoso omaggio, ma il risultato è paragonabile a quello che ottengo io mentre cerco di imitare il piemontese parlato da mio nonno (no, non volete sentirlo).

La conclusione è impietosa e quasi triste: come Chef Tony, Satoshi Shiki continua a promuovere i suoi personaggi affilatissimi e inossidabili sotto le luci asettiche e false di uno studio, con una retorica che non è mai cambiata da più di venti anni, ma mentre Chef Tony nella sua ciarlatanaggine rimane simpatico e riesce quasi a convincerti, Satoshi Shiki, mancando completamente di ironia e autoironia, è solo fuori tempo massimo.

Luca Cerutti

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