Che, poi, intendiamoci: alla fine sono probabilmente solo io, abbastanza vecchio da aver letto l’action Kamiyadori a continuare ad avere l’immagine di Kei Sanbe come autore shonen “eroico”, nonostante titoli come La culla dei demoni e L’isola dei bambini dimenticati (e, perché no, anche Erased: La città in cui io non ci sono ) testimonino una predilezione per il genere thriller-horror. Per cui, di cosa stiamo parlando?
In questo caso stiamo parlando di un buon thriller che inizia bello secco prendendo a pugni in faccia la fiducia nell’umanità in generale e nei protagonisti “normali studenti giapponesi” in particolare: entra Senri Nakajo, taciturno liceale orfano che ha perso genitori e fratello gemello quando ancora era alle elementari a causa di un feroce killer mai arrestato. E se dei genitori, un padre alcoolista e manesco ed una madre succube, gli importa decisamente poco, per vendicare la morte del fratello Kazuto con cui condivideva una simbiosi quasi sovrannaturale, Senri è determinato a fare qualsiasi cosa. Dai lavori part-time alle truffe ai compagni di scuola, dalle alleanze con teppisti al confrontarsi con Yakuza, qualsiasi cosa pur di acquisire sufficiente denaro e potere da scovare l’assassino. Ed ammazzarlo.
L’unica ad avere una precisa coscienza di ciò è Enan Kotokawa, una coetanea con cui ha condiviso parte dell’infanzia in una struttura per orfani vittime di traumi prima di essere affidato ai nonni, dotata a sua volta della ferrea determinazione ad impedire a Senri di autodistruggersi nella ricerca della vendetta.

Questo il soggetto di Echoes il più recente manga di Sanbe edito da Star Comics ed in cui è un piacere vedere come vengano confermati i punti di forza di questo autore.
Da una parte abbiamo la sua solida scrittura che non si dilunga in spiegoni né si consente troppi arzigogoli. In maniera asciutta e quasi sgradevole Kei Sanbe mette in scena i personaggi e lascia che siano le loro azioni e le loro parole a presentarceli, i flashback, inevitabili essendo una storia che si muove alla ricerca di vendetta, sono funzionali e mirati ad aumentare la sensazione di ansia contenuta e compressa, quasi claustrofobica, che pesa sul protagonista perennemente impegnato o a dissimulare l’ossessione che lo pervade o a lasciarla trasparire con una smorfia perennemente sprezzante e cattiva.
Per bilanciare questo carico di negatività, altro tratto caratteristico di Sanbe, abbiamo Enan: l’ennesima “solida” eroina positiva. Pratica e determinata e capace di tirare una netta linea di demarcazione tra giusto e sbagliato non in virtù di qualche precetto astratto, ma di una esperienza di vita che la ha segnata e che lei ha trasformato nelle fondamenta del suo carattere. Come la super-mamma di Satoru Fujinuma o la prodiga Airi (Erased), Enan è una figura femminile che subito si impone al lettore non in virtù della sua estetica (comunque meritevole di apprezzamento) ma per il carisma, diciamo proprio, “eroico”.

Per il resto cosa devo dire: il tratto di disegno di Sanbe ha ormai un equilibrio e una personalità consolidata quasi unica nel manga. I suoi personaggi, pur rispettando gli stilemi dei “grandi occhioni in volti semplificati” hanno sempre linee oblique ed aggressive che incrociano rotondità marcate: “pesanti” e “affilati” contemporaneamente. L’impressione di tridimensionalità viene poi potenziata dal ricorso a chine spesse ma marcate (a volte pare quasi pennarello a punta fine) e campiture larghe ed uniformi che staccano i bianchi ed i neri e non lasciano quasi mai spazi a mezzi toni e retini.
Il taglio di tavola e la scansione delle vignette conferma poi l’abilità da regista di thriller classici, con inquadrature “regolari” che progressivamente, ossessivamente, calano in toni oscuri e campi sempre più ristretti. Anche quando la trama richiede “azione”, questa è sempre soffocata o frammentata. Campi larghi per i dialoghi, anche in situazioni estreme, larghissimi per silenzi carichi di emozioni e stretti per altri silenzi. Angosciati.
Kei Sanbe, insomma, al suo meglio.