Tempo fa avevo giocosamente inaugurato la rubrica “Dallo scaffale” dedicata a quei fumetti che periodicamente ti “ricascano in mano” in periodi in cui, per pigrizia tua o del mercato, sembra non esca nulla di interessante.
Il manga di cui parlo questa volta è però, non uso la definizione con leggerezza, una gemma sufficientemente rara da meritare maggiore attenzione nella sua cura. Per cui, benvenuti alla rubrica “Dal Forziere“: i fumetti che non “vi capita” di rileggere ma che “volete”, se non “DOVETE” rileggere.
Claymore è esattamente questo e nei suoi 27 volumi e dieci anni esatti di serializzazione italiana (giugno 2005 – giugno 2015) è passato da manga per cui avevo una completa indifferenza a manga che tutte le volte che riprendo in mano DEVO rileggere fino alla fine, pagina dopo pagina, senza saltare nessun arco o capitolo, non importa quanto marginale.
Perchè, sì, l’ho confessato e lo ripeto: il primo numero di Claymore mi fu completamente indifferente, il secondo persino peggio ed il terzo si salvava appena ai miei occhi.
Nonostante la mia dichiarata e certificata passione per le “Donne di Menare”, ai loro esordi Claire e le sue compagne albine mandate in una generica isola continente medievaleggiante a caccia di demoni antropomorfi da una organizzazione che, per unicità o mancanza di fantasia (propendo per entrambe), si faceva chiamare “organizzazione” (mi ricorda una battuta di PK), non mi dissero proprio niente.

Saranno stati gli anonimi spadoni a due mani (claymore, appunto) tutti uguali che brandivano, la divisa a metà tra una marinaretta da Sailor-guerriera e un’armatura leggera, o la voluta inespressività.
Tutti artifici, mi rendo perfettamente conto, mirati proprio a descrivercele come poco più che automi con una missione suicida in mano a burattinai senza scrupoli e ad esaltare l’anomalia della più debole di loro, la “Guerriera numero 47” su 47 guerriere, animata invece da una feroce ed individuale volontà di vendetta; ma, appunto, piuttosto penalizzanti per un manga indirizzato ad un target adolescenziale o appena post-adolescenziale.

[I più maligni sostengono che sia anche dipeso dal fatto che erano, senza quasi eccezione, tutte piatte come tavole (secondo i sacri standard del manga d’azione, almeno) e vestite per la quasi totalità del tempo. Si tratta perlopiù di persone orrende (ciao amici, vi voglio bene) a cui non prestare orecchio.]
Poi, quasi sicuramente (ho ricordi un po’ vaghi), qualcuno tra le sopradette persone orrende mi prestò più numeri in blocco e mi resi conto del mio errore: Claymore, come la sua protagonista, non voleva “starmi simpatico per forza”, aveva una storia da svolgere, una strada da percorrere, persone da incontrare e sopratutto in queste ultime Claymore trovo buona parte della sua forza.
La storia di Claire, ma anche del trovatello Raki, è sopratutto una storia di incontri con personaggi che evolvono ciascuno secondo il suo carattere ed il suo destino.
Una rara storia “corale” nel campo dello shonen, dominato per sua natura da un protagonista carismatico e pochi comprimari di rilievo (e, di nuovo, qui si capisce quanto inespressività e anonimità siano state una componente voluta): quasi ogni personaggio che i due “protagonisti iniziali” incontrano è destinato a dimostrare al lettore uno spessore di gran lunga superiore al suo “screen-time”, mutando spesso in maniere sorprendenti.
Tra gli antagonisti, ad esempio, tranne la “carne da macello” (inevitabile data l’ambientazione) ogni “villain”, non importa se intermedio, apicale o finale, inizierà “stereotipo” e terminerà grandioso e tragico.
Le protagoniste da parte loro potranno avere evoluzioni “lineari”, come Millia “la caposquadra troppo buona per comandare” perennemente divisa tra la missione che si è imposta ed il desiderio disperato che nessuna di coloro che si affidano a lei debba soffrire, la rissaiola Helen sempre eccessiva e offensiva per mascherare la sua paura e la sua gentilezza, l’altezzosa ma nobile Galatea, la sorridente ed inscalfibile Tabasa. Altre invece faranno vedere pagina dopo pagina al lettore cosa sanno fare ribaltando completamente la prima impressione.
Qui il mio pensiero va sopratutto a Denew: inizialmente presentata come “l’amica fredda di Helen”, caratterizzata abilmente con i capelli cortissimi ed un volto quasi sempre atteggiato ad un mezzo sorriso indifferente, azione dopo azione mostrerà un carattere ferreo ed una determinazione ardente fino a diventare la vera “bassista carismatica” [(c) e ™ DocManhattan] della squadra, capace tanto di “rimettere al loro posto” protagonista e caposquadra quando le loro debolezze diventano un pericolo per sè stesse o le altre, quanto di assumere il comando di fatto delle compagne (e della narrazione) quando protagonista e caposquadra sono assenti.
Le parole hanno sempre il limite di non essere esperienza reale, per cui mi creda il lettore che ancora non conosce Claymore, se dico che “Quando Denew parla, anche chi legge tace.”.

La peculiarità dell’opera di Yagi, l’ho detto, ma lo ripeto è che questa capacità di avvincere il lettore viene data persino a personaggi che hanno vita brevissima (alcuni di coloro che parteciperanno unicamente alla “battaglia finale” fanno venire al lettore voglia di uno spin-off solo sulle loro storie personali) e ruoli marginali (indimenticabile l’etica e l’orgoglio della “numero 10” posta a guardia dell’Organizzazione) e ulteriore peculiarità è che in tutto questo, Claire è e resta la protagonista.
Infatti non avrebbe stupito, è anzi la media di molti prodotti di questo tipo, scoprire che tutto ciò va a detrimento del protagonista: i comprimari sono a tal punto carismatici che la primadonna diventa nient’altro che un artificio di trama utile a portare la narrazione dal punto A al punto B e a cui l’autore finisce per essere obbligato a dare rilievo con riconoscimenti artefatti e vittorie a tavolino (qualcuno ha detto: “Pegasus”? ).
Claire no: Claire è protagonista in quanto tale. In forza di un carattere fondato su debolezze enormi e mancanze tragiche e forgiato incontro dopo incontro, sfida dopo sfida. Incessabilmente il lettore la segue mentre guarda in faccia la morte in decine di modi diversi e si arrovella per non schiattare con le unghie e con i denti (in alcuni casi: letteralmente) solo per ottenere vendetta e per lavare una colpa di cui si è accusata da sola. In alcuni momenti, diciamocelo, Claire arriva persino a stare pesantemente sulle balle (sopratutto, appunto, all’inizio) ed è la dinamica tra personaggi realistica e ben costruita che fa sì che i calci nel sedere (in alcuni casi: letteralmente) che le vengono rifilati dalle compagne non siano pretestuosi ma sentiti, non siano moraleggianti ma salvifici.
E diano comunque gran soddisfazione al lettore.

Dal punto di vista grafico arriviamo a quello che è il punteggio “nè infamia nè lode”: Yagi è un solido professionista e bisogna certamente encomiare come riesca, in una scuola fumettistica già normalmente penalizzata sotto il profilo della riconoscibilità dei personaggi, a fare sì che le guerriere albine siano distinguibili l’una dall’altra (incespicando un po’, se dobbiamo essere onesti, quando vengono mostrate squadre da più di 10 Claymore), la sua capacità di gestire l’azione è nella media ed è indubbio che quando si mette di buzzo buono a costruire la sequenza FOMENTO questo gli riesce nel 90% dei casi. Fa un pochettino male che il 10% rimanente sia lo Scontro Finale: un vero e proprio colpo di scena (e di genio) che però scorre abbastanza banale.
Infine, se vogliamo proprio trovare il punto debole che rende Claymore un po’ meno del miglior manga fantasy di sempre (di quello ho deciso di parlarvene a breve) è probabilmente il fatto che l’ambientazione è abbastanza anonima. Paragonandolo ad un altro “revenge fantasy” di grande pregio quale Berserk, su cui Claymore ha il vantaggio non da poco di essersi concluso senza andare completamente in vacca (ma porca…), a fronte di un medioevo fantasy dettagliato con tanto di reami in guerra, intrighi feudali e razziatori inarrestabili venuti da lontano, tutto quello che Claymore riesce ad opporre è una generica “isola continente” divisa in quattro zone di cui una sola è caratterizzata dal fatto di essere “il nord” ed in cui la più organizzata autorità che vediamo oltre all’Organizzazione è la Guardia della teocratica città di Rabona. Per tutto il resto, a quanto pare, vige l’auto-organizzazione e la democrazia diretta (o, almeno, questa è l’impressione che si ha).
Ma, devo ammetterlo, questa critica “ex-post” suona credibile come criticare il fatto che Mad Max: Fury Road non dedicasse abbastanza tempo a sviluppare la gerarchia interna della Cittadella ed i rapporti economici con Bullet Farm e Gas Town.
Claymore è un buon fumetto, e questo è quanto.