
Chi ha letto i miei articoli avrà notato che raramente recensisco opere che non mi sono piaciute; e sì che, considerando il mio volume di “new entry” mensili, normalmente queste costituiscono un buon 50% del totale.
Non si tratta né di una posa (“Oh, come odio gli haters, signora mia! A criticare sono bravi tutti!”, sì, ma alcuni sanno farlo BENE e fanno BENE!), né di una concessione (“Si è impegnato così tanto, poverino, chi sono io per giudicare il suo lavoro?”, semplice: uno che lo avrebbe fatto MEGLIO). E’ puro e semplice risparmio di tempo.
A volte però capita di incappare nell’eccezione. E’ come quando esci dal cinema dopo aver visto un film che ti ha proprio “urtato” e non ce la fai al punto che, se non sei andato al cinema con amici, cerchi nel pubblico uscente qualcuno che abbia il tuo stesso sguardo.
Signori: Perfect Crime.
Leviamoci il dente in fretta, protagonista di quest’opera è Tadashi Usobuki, un probabile fan giapponese di Dylan Dog (se dobbiamo giudicare la camicia rossa sotto giacca nera, l’acconciatura scarmigliata e le occhiaie appena accennate) che però di professione non indaga ma “crea” gli incubi. Assoldato da varia umanità per eliminare altre persone, porta a termine il suo compito lavorando sull’autosuggestione delle vittime e, contemporaneamente, dei committenti. Senza sporcarsi le mani si lascia dietro una spirale di morti per il puro piacere intellettuale.
Insomma, è ESATTAMENTE il personaggio di fronte al quale il nostro “Old Boy” urlerebbe “Groucho! La pistola!”.
Non vorrei però che ci fossero fraintendimenti: non è il fatto che il protagonista sia uno spregevole serial killer a rendere Perfect Crime un’opera irritante. Solo pochi mesi fa recensivo mio cugino recensiva un manga la cui protagonista era una serial killer lesbica riciclata come giustiziera che, comunque, non disdegnava di indulgere in ogni suo vizio. Non vorrei inoltre che fraintendeste ulteriormente pensando che per me per mio cugino gli psicopatici sono accettabili se in confezioni corredate di cromosoma doppio X. Potreste non essere lontani dal vero, ma non in questo caso.

Perché ciò che differenzia Kuroko e, ancora di più, Yumeko da Mr. Usobuki è che almeno la loro personalità viene adeguatamente definita nello spazio del primo volume delle rispettive testate, tanto negli aspetti palesi quanto in quelli profondi: Kuroko non è solo una serial killer ma è perfettamente conscia (e deliziata) di essere un vero e proprio “monstrum” separato dai comuni umani, Yumeko non è solo una superumana giocatrice compulsiva ma è, come si diceva, un vero e proprio “castigo karmico” che colpisce infallibilmente gli arroganti ed i profittatori.
Tadashi Usobuki, invece, alla fine del primo volume è un perfetto niente. Dopo il primo episodio abbiamo capito il metodo che usa, dopo il secondo episodio ci basta leggere le prime 2-3 pagine degli episodi successivi per sapere già come finiranno.
Ciononostante, alla fine del volume del protagonista sappiamo solo che è più che disponibile ad usare ed abusare di un potere di persuasione che fa sembrare i “mentalisti” dei grandi serial televisivi dei venditori di pentole, al solo fine di “vedere gli stupidi esseri umani autodistruggersi”.
E lo sappiamo perché si premura di ripetercelo alla fine di ogni episodio.
Ogni. Singolo. Episodio.

Praticamente seguiamo le vicende di qualcuno un gradino sotto quelli che si fermano a guardare gli incidenti mortali. Divertendosi.
La sceneggiatura da parte sua non è che compensi l’assenza di un protagonista in possesso di un qualsivoglia carisma con intrecci intricati o coprotagonisti ad effetto.
Sarà per i suoi peculiari gusti, ma certo T.U. non va a rischiare contro chissà quali “antagonisti”. Le “tragedie” che innescano l’azione di Tadashi e si risolvono con una carneficina suicida sono la fiera del piattume quotidiano. Una dietro l’altra vengono infilate le storie che trovate nella sezione “cronaca” di un giornale locale, solo con l’autosuggestione come spezia esotica.
Ma davvero il fatto che prima o dopo venga coinvolto un serial-killer che usa un mumbo-jumbo psicologico (con forse, e forse no, un super-potere ipnotico) può rendere automaticamente interessanti la vendetta di un padre, l’invidia feroce tra fratelli, le perversioni nascoste dietro le facce rispettabili di un condominio, il bullismo?
Magari sì, ma probabilmente NO, se ogni diversa situazione si svolge su un canovaccio uguale alla precedente.
E non sarà certamente il tratto di disegno a risollevare la situazione. Adeguato sicuramente al narrato, con dettagli, inquadrature traverse, flashback e campiture nere, ma comunque privo di guizzi o individualità.
Paragonato alle ricercate soluzioni “squilibrate” di Il Diario Oscuro o alla professionale regia di Another, Perfect Crime subisce pesantemente il distacco.
Chiudiamola qui: l’opera di Arata Miyatsuki e Yuya Kanzaki mandata in libreria da Planet Manga lascia una certa sensazione di fastidio e, purtroppo, non quel fastidio “riflessivo” che poteva lasciare Visione, ma proprio più quel fastidio da “meno male che è finito”.
Se però non vi fidate, questo è il momento per verificare: almeno per Aprile il primo volume sarà in libreria in offerta lancio (1.99 euri), nella peggiore delle ipotesi non avrete dilapidato chissà quale patrimonio.