Con l’occasione natalizia sono stati riuniti in Francia, in un elegante cofanetto, i cinque volumi (di cui gli ultimi tre ancora rintracciabili in Italia nel mercato dell’usato) delle storie brevi di Rumiko Takahashi. L’autrice non ha certo bisogno di presentazioni: la Principessa del manga è entrata nel 2018 nella Hall of Fame Will Eisner ed è stata consacrata anche in Europa l’anno successivo con il Grand Prix d’Angoulême.
Per gli appassionati si tratta della classica ciliegina sulla torta che permette l’accesso all’integralità della produzione della Takahashi. Ma per i neofiti scoraggiati dalla serialità imposta dalle opere più conosciute – come Ranma ½, Inuyasha o Maison Ikkoku e Urusei Yatsura (Cara dolce Kyoko e Lamù per i nostalgici) – l’occasione si rivela più che una piacevole lettura: la chiave d’accesso a un mondo sconosciuto come resta quello nipponico e a un’autrice principale del fumetto tout court.
Da un lato perché l’arco cronologico, dal 1994 al 2019, mostra la maturità di una narratrice in pieno possesso di tutti i suoi mezzi tecnici, sia in termini di sceneggiatura che di vocabolario grafico, la cui irriducibilità e continuità impongono l’ammirazione. Dall’altro perché, al pari di un’entomologa, Rumiko Takahashi – con un umorismo apparentemente leggero e in realtà dissacrante – disseziona in appena dieci pagine la società giapponese in quel che le è più caratteristico: la natura dei legami familiari e professionali, erosi con l’esplosione della bolla speculativa degli anni Ottanta.
Il tutto attraverso una cifra stilistica che al giudizio sostituisce l’empatia – e sono lodevoli sia l’approccio, sia il risultato.
