Dal Forziere: Kurogane

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Forse è un destino comune a tutti i miei manga del “Forziere” (spoiler: in realtà, no), ma inizialmente non mi rimangono veramente impressi.

E’ successo così anche a Kurogane, di Kei Tome, pubblicato ormai qualche decennio fa da Star Comics su Storie di Kappa e da me seguito con una certa discontinuità: prendevo un volume, lo leggevo, lo accantonavo, saltavo qualche uscita poi, complice un mese particolarmente parco di uscite, magari prendevo altri due volumi. Così via fino al numero 5, poi la serie si interruppe per volontà dell’autrice, che evidentemente venne distratta da altre idee e fino al 2016 non riprese in mano la sua serie di esordio.

Nel frattempo, i cinque volumi continuarono a spostarsi in diversi angoli della mia libreria: li prendevo in mano pigramente, li rileggevo, li posavo. Un paio di volte finirono pure nelle scatole destinate alla rivendita. Da cui li presi, li rilessi e li posai di nuovo in libreria.

Ad ogni rilettura veloce, qualcosa succedeva, per accumulo. Fino a che non ho realizzato quante volte ho riletto questi cinque benedetti volumi ed il fatto che ogni volta sono arrivato sempre fino all’ultimo, e mi son trovato a chiedermi il motivo.

Le donne: Makoto

E, sorpresa, sorpresa, il motivo alla fine è semplice: Kurogane di Kei Tome è proprio bello.

Il soggetto è di fatto un canovaccio Chambara (termine di derivazione onomatopeica che indica i film d’azione a tema samurai) da discount: il tetro Jintetsu dopo aver ucciso un funzionario corrotto e le sue guardie del corpo, tra cui un suo amico d’infanzia, per vendicare l’omicidio del padre che aveva tentato di denunciare le malefatte del funzionario, diviene un ricercato costretto ad uccidere uomini di legge e cacciatori di taglie inviati sulle sue tracce, fino a che in un ultimo duello rimane ferito a morte. Uno strambo samurai fallito con una abilità praticamente necromantica nel costruire bambole ad orologeria lo fa rinascere come il misterioso vagabondo Jintetsu d’Acciaio dal corpo metallico e dalla maschera di ferro perennemente atteggiata ad una smorfia accigliata e dubbiosa. A compensare la sua scarsa espressività, dovuta anche al fatto che tra le parti “perdute” risultano laringe e corde vocali, lo omaggia della spada senziente Haganemaru anche essa costruita recuperando i resti di un samurai morto e capace di parlare (non si sa come) e sintonizzarsi con i pensieri di Jintetsu.
Da qui in poi, sulla strada per regolare i conti rimasti in sospeso, questo bizzarro “cyborg” ante-litteram impegnato come guardia del corpo o assassino prezzolato, incontrerà i più vari personaggi e verrà coinvolto in storie tragiche, comiche o malinconiche di un Giappone tumultuoso.

Le donne: En

Abbiamo quindi un soggetto “da discount” in cui persino le parti apparentemente originali sono in realtà già sentite: uno spadaccino praticamente immortale costruito partendo da un corpo umano smembrato e riassemblato usando pezzi di varia provenienza era infatti il soggetto di Dororo (Dororo to Hyakkimaru) uscito dalla penna nientedimeno di Osamu Tezuka nel 1967 e la citazione diventa praticamente esplicita se si pensa che come Hyakkimaru anche Jintetsu sorprende gli avversari con una lama innestata direttamente nel braccio.
Su questo soggetto si innesta una sceneggiatura che è la firma tipica dell’autrice giapponese ed è, probabilmente, il motivo per cui ci vuole tempo per farsi prendere. Kei Tome infatti è una narratrice “sommessa” ed il lettore resta in effetti estraniato da questo manga presumibilmente d’azione che si prende tutto il tempo per immergerti nella situazione ed in cui i personaggi sono estremamente laconici e, esattamente come in una conversazione, lasciano aleggiare frasi incomplete, troncano la discussione con un gesto pacato o stizzito o, al contrario, trovandosi alla resa dei conti non stanno a menare il can per l’aia e dicono quello che ormai era evidente a tutti con parsimonia di parole. Un manga presunto d’azione in cui i proclami sono assenti, le dichiarazioni altisonanti e gli one-liner nulle e l’azione stessa si risolve in fretta e spesso in maniera inaspettata, conseguenza e non climax di tutta una serie di gesti, parole, ambienti distesi con placida maestria dall’autrice. Dopo di che il protagonista si rimette per strada e forse incontrerà nuovamente, e forse no, i personaggi incrociati nell’episodio.

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Diventa evidente che per rendere interessante, lettura dopo lettura, questa narrazione stringata, il tratto grafico deve avere una grande personalità ed è ovviamente così.
Contorni tracciati con matite grasse, campiture a chine e pennelli, obliquo ed in alcuni momenti volutamente grezzo, il tratto di Kei Tome è unico ed inconfondibile. In questa sua opera prima ancora si colgono qua e là incertezze che verranno corrette nelle sue opere successive quali Sing Yesterday for me (di cui proprio quest’anno è arrivata la riduzione animata) o il bellissimo Fuguruma Memories ma tutte le sue caratteristiche migliori sono già lampanti.
E’ sopratutto lampante la capacità di Kei Tome di creare quelle che sono probabilmente le più affascinanti figure femminili del panorama manga. Mai “bellissime” (anzi, nel caso di Makoto il passero rosso persino acerbe e tendenti al “maschiaccio”) ma sempre cariche di un fascino che è specchio immediato della loro personalità grazie anche al modo con cui l’autrice riesce sempre ad inserire un che di “animalesco” nel taglio dei loro occhi. Occhi con un taglio da tigre ferita per una donna matura che sfrutta un giovane e promettente giocatore d’azzardo (coloro che comunemente ora vengono definiti Yakuza) per avere una vendetta in cui non crede nemmeno lei, occhi tondi e quasi ovini per una giovane ingenua determinata a vivere una nuova vita, occhi da saggia gatta per la allegra truffatrice con il sogno di una vita da donna onesta, da volpe indecifrabile per la misteriosa trafficante di droghe e da lupa senza branco per la spadaccina prodigio priva di radici.

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Affascinanti, determinate, imperfette, ciascuna di loro ruba la scena ai maschi perennemente indecisi (tranne un’eccezione) e legati da mille pastoie che esprimono con parole imbarazzate ed occhi sfuggenti ed al protagonista stesso che con la sua maschera fissa ed il suo unico occhio perennemente accigliato alla fine è quasi sempre più spettatore delle loro storie che non attore.

Anomalo, lento, sommesso, sottratto al protagonismo ed al protagonista per sottomettersi ad un’estetica femminea, per tutti questi motivi i cinque volumi di Kurogane compongono un’opera che a poco a poco sedimenta negli affetti del lettore ed entra, a pieno titolo, nel suo forziere.

Luca Cerutti

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