Destroy all Humankind ti scomba in faccia

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Dati i numeri che si può permettere, che arrivano a milioni di copie vendute per volume, il fumetto giapponese è forse uno dei più “mirati” al mondo: solo in Giappone vedrete pubblicare fumetti per bambini in età prescolare, per bimbi delle elementari, delle medie, del liceo, universitari e poi adulti di ogni ceto e qualifica professionale, dagli informatici delusi licenziati da un management ignorante ai salarymen tabagisti, dai topi da ufficio che scoprono il mondo inaspettato del telelavoro alle casalinghe passando (ovviamente) per i mangaka di più o meno successo.

E, per essere chiari, non stiamo parlando di “maturità” della narrazione. Stiamo parlando proprio del soggetto della narrazione stessa.

Destroy all Humankind, they cannot be regenerated – il recente manga pubblicato da Planet Manga per testi di Katsura Ise  e pennini di Takuma Yokota – ha come soggetto, e quindi target preciso ed inequivocabile, coloro che erano adolescenti (o poco oltre) quando Magic The Gathering entrò di forza bruta nelle vite dei “nerd” di tutto il mondo benestante, mixando le suggestioni del gioco di ruolo fantasy con il piacere di elaborare strategie di gestione risorse e unità contro un avversario umano tipica dei wargames, con il brivido dell’aleatorietà dei giochi d’azzardo a carte coperte e il fascino ossessivo/compulsivo del collezionismo di figurine. Il tutto concentrato in mazzi di 60 carte facili da portare ovunque ed estrarre appena trovato uno sfidante, si fosse in un negozio specializzato, al parco, in vacanza, presso un’affollata sala tornei o, non diciamolo troppo forte, in un’aula universitaria o nella saletta caffè del posto di lavoro.

L’esperienza di fronteggiare un mazzo archetipo al tuo primo torneo

Per chi c’era (io) è davvero difficile non apprezzare come la coppia di autori riesca a far vivere esperienze che sono un patrimonio comune di una generazione ai due giovani studenti delle medie suoi protagonisti: Hajime Kano, otaku incallito ancora con un piede dentro il periodo “chuunibyou” (termine con cui si indicano i ragazzini che persistono a portare avanti fantasie di potenza tipiche della preadolescenza) e la sua “nemesi” Emi Sawatari, studentessa perfetta che non riesce a scalzare dal primo posto della classifica di rendimento scolastico (sì, per una volta il protagonista maschile non è un “normale studente giapponese” dal rendimento medio/mediocre, ma un “ottimo studente giapponese” che riesce a conciliare studio e divertimento in maniera ragionevole).
La scoperta che anche “la principessa” indulga in un passatempo così poco elitario sarà il ponte che permetterà ai due “avversari” di conoscersi e fare esperienze che sembrano essere state identiche indipendentemente dalla latitudine (sebbene, ad essere onesti, in Italia “la prima generazione” di giocatori di Magic era composta quasi unicamente da maggiorenni): le carte ricercate e idolatrate non tanto per la loro effettiva giocabilità ma perché “fighe”; il passaparola carbonaro che portava alla scoperta di un esercizio commerciale che metteva a disposizione dei giocatori spazi per sfidarsi, scambiare, acquistare; i primi, durissimi, scontri con il concetto di “distribuzione statistica” e i suoi esotici derivati quale il severissimo “mana ramp” (ovvero la curva ideale di distribuzione delle risorse secondo la strategia scelta per il mazzo).

Poi tutto il mondo del gioco “competitivo” con il suo carico di emozioni: entrare per la prima volta sul luogo di un torneo sanzionato da centinaia di giocatori e sentirsi immediatamente piccolo e intimorito (e, posso giurarlo, questo valeva tanto per i ragazzi delle medie protagonisti, quanto per me, che stavo completando il biennio universitario); scoprire l’esistenza dei “pro-player” e di un livello di padronanza del gioco che non solo consumava “mana ramp” per colazione ma combinava “tempo” (gestione del ritmo partita), “board control” (gestione della presenza di risorse e unità in campo) e “permission” (gestione dell’alternanza delle fasi di gioco proprie e dell’avversario) con la naturalezza di una valanga che si stacca dalla cima e ti viene a travolgere, nella forma di un terrificante e inarrestabile “aggro” (vittoria ottenuta tramite semplice forza soverchiante), oppure un odioso “control” abile ad impedire, nullificare, rimandare ogni tua giocata o, infine, “scombandoti in faccia” una sequenza non interrompibile (combo) di carte apparentemente slegate e, fino al secondo prima, ritenute uno scherzo inutile e che ora rivelavano una diabolica sinergia capace di azzerare i tuoi punti vita in un singolo colpo o eliminare dal gioco il tuo mazzo o ponendo il tuo avversario così lontano dalla tua portata da obbligarti alla resa.

Forse l’unico punto che richiede una pesante sospensione di incredulità è l’abbondanza di giocatrici carine che viene messa in scena fin dai primi due numeri.
Magari in Giappone fu diverso, ma posso testimoniare personalmente che di giocatrici donne ai tornei (carine o meno) io non ne vidi fino a nuovo millennio ampiamente iniziato.

Due future rivali si fronteggiano

In questa rappresentazione emozionalmente perfetta di una nicchia del vastissimo mondo delle “passioni nerd”, la sceneggiatura mescola i topoi classici della romcom scolastica: Hajime ed Emi iniziano come feroci rivali scolastici, si scoprono adepti di uno svago “da reietti” (al tempo) e – tramite l’intercessione di varie figure che gravitano intorno alla loro passione – cominciano a costruire una relazione, con tanto di triangolo classico. La sceneggiatura è estremamente competente nel fare emergere le peculiarità di protagonisti e comprimari senza adagiarsi completamente negli stereotipi. È ad esempio interessante notare la disparità “accademica” tra i due protagonisti, che ha poi conseguenze dirette sui loro comportamenti: Emi è sì l’eterna prima della scuola, ma lo è grazie ad un impegno spasmodico imposto da una madre severissima, laddove “l’eterno secondo” Hajime è uno di quei “naturali” che ottengono risultati eccezionali impegnandosi appena. Conseguentemente, nel gioco Emi è già una stratega matura che ha affrontato Magic con lo stesso puntiglio con cui affronta ore e ore di studio, Hajime invece è ancora un immaturo che si aspetta che le sue strategie basate su carte “fighe” semplicemente “funzionino” e, laddove la scuola non è riuscita a fargli capire che non sempre le cose vanno come uno si aspetta, da un innocuo gioco strategico cominciano ad arrivare le prime, cocenti, sconfitte.

Una menzione particolare va al disegno che, pur non avendo particolari punti di forza (siamo in un design da shonen “standard”), si inserisce nella tradizione dei manga con giochi di carte iniziata da Yu-Gi-Ho e non perde occasione di accompagnare le scene con la visione delle carte di Magic, tanto nelle sfide in cui i personaggi si immaginano gli scontri tra creature e gli effetti dirompenti delle magie, quanto come siparietto comico quando un modo di fare, un taglio di capelli, una postura assunta dai personaggi, richiama una carta ben precisa. Gestire questo continuo inserto “meta” senza rompere la sospensione dell’incredulità ma anzi agevolandola merita sicuramente una lode.

Concludendo, consigliare Destroy All Humankind, they cannot be regenerated è estremamente facile: se avete incrociato Magic nella vostra vita lo adorerete, in caso contrario difficilmente vi dirà qualcosa.

Luca Cerutti

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