La controversa epopea di Authority ha lasciato (giustamente) il segno nel panorama supereroistico a cavallo del terzo millennio, e già prima di essa Stormwatch aveva settato e dettato livelli ritmici e narrativi di altissimo livello, ad opera principalmente di Warren Ellis e Mark Millar (quest’ultimo ben prima di dare origine al proprio MillarWorld).
Come era logico supporre, data la caratura completamente fuori da ogni schema dei componenti di Authority, ulteriori saghe “a solo” sui singoli personaggi hanno tenuto banco negli anni successivi, e tra queste una maliziosa menzione va fatta all’indirizzo di Midnighter.
A metà strada tra Batman, the Punisher e Wolverine, compagno d’armi e di vita con il collega Apollo (a sua volta epigono di Superman), la sua struttura potenziata lo rende un meta-umano capace di visualizzare qualsiasi scontro nei minimi dettagli ancor prima che questo abbia luogo. La sua (abbastanza lunga) catchphrase richiama infatti proprio questo aspetto, tant’è vero che a un certo punto decide di stamparla su dei bigliettini per evitare l’effetto tormentone.
Diverse sono le run incentrate su Midnighter nei primi anni ‘10 del XXI secolo, che hanno visto alternarsi firme di spicco del comicdom USA e non solo, da Garth Ennis a Keith Giffen, passando per Brian K. Vaughan, Christos N. Gage e Jimmy Palmiotti.
Le peculiarità del personaggio, pur se legate a precisi vincoli, lo rendono comunque estremamente malleabile: Midnighter non è solo un vigilante (il più letale al mondo, ovviamente) o il marito di Apollo, ma anche il padre adottivo di Jenny Quantum (lo spirito del XXI secolo) e il mentore della nerd Mindy. Ancora, Midnighter è Lucas Trent, e il casino che chi lo ha potenziato ha fatto con la sua memoria fa sì che il rapporto tra l’uomo e la maschera possa essere giocato su molteplici livelli, mixando in maniera opportuna i rimandi agli (anti)eroi di cui si è detto prima.
Dal punto di vista stilistico, il registro vira sempre sul brillante, inteso come serie di sequenze di scambi di battute al fulmicotone: in questo, l’operato di Giffen spicca particolarmente, mentre Ennis sembra mordere a volte il freno, probabilmente per evitare di scrivere “semplicemente” un clone di Frank Castle.
Nomi di spicco si affastellano anche sul versante grafico. Ennis si accompagna anche qui ai ben noti sodali Chris Sprouse e Glenn Fabry, ma non mancano all’appello Darick Robertson, Karl Story o Brian Stelfreeze. Ciascuno, da par suo, si esalta in particolare nelle scene di lotta, cercando di imprimere sulla tavola la velocità e la crudezza del nostro nerovestito agente della giustizia – della SUA giustizia, ovviamente.