I suoi fumetti sono diventati un punto di riferimento nel panorama fumettistico italiano e non solo. Igor Tuveri, alias Igort, è un autore poliedrico: fumettista, scrittore, musicista e regista, artista stakanovista che riesce ad attrarre con la sua carismatica influenza generazioni di lettori. Sono da ricordare le sue Lezioni di fumetto su YouTube e, soprattutto, il nuovo fumetto per Oblomov Edizioni. In questa nostra conversazione, dialoghiamo proprio sulla sua nuova opera: Numbers.
Benvenuto sul Magazine uBC Fumetti, Igort. Iniziamo l’intervista e andiamo subito al sodo chiedendo: c’è stato un momento specifico della tua vita in cui è scaturita l’idea per Numbers o è stata una lenta progressione nel corso del tempo?
Ho cominciato a prendere appunti nove anni fa. Ho decine di quaderni e block notes nei quali ipotizzo situazioni, dialoghi o scene che mi piacerebbe disegnare. Poi ci sono i momenti in cui questi appunti devono riposare, il subconscio fa il suo lavoro per qualche tempo. Quando si arriva a maturazione, la storia torna sul tavolo da lavoro e comincia a prendere il suo aspetto.
Scrivo i dialoghi, spesso come se fosse un film, e poi comincio a disegnare uno storyboard. Quello è il momento in cui si capisce che volto avrà la storia, anche se poi la tecnica precisa sarà definita in un secondo momento. È un lungo processo artigianale che mi piace molto.
Arrivi a questo fumetto di ‘fiction’ dopo 15 anni. Chi ti segue, sa che in questo tempo hai pubblicato diversi reportage, quali Quaderni Ucraini, Quaderni Russi e Quaderni Giapponesi per citarne qualcuno. Come ti sei approcciato alla scrittura dopo così tanto tempo e cosa ti mancava di questo metodo di narrazione?
Nel frattempo ho scritto diversi libri per altri disegnatori, scritto per il cinema e lavorato ad altre mie sceneggiature. Dunque non è stato difficile riprendere in mano il mio mondo e pensare a delle traiettorie narrative di invenzione. Il metodo di scrittura è differente, nel documentario disegnato non hai diritto a modificare le cose che hai visto o registrato. Mentre nella fiction puoi fare quel che vuoi del destino dei personaggi. Ma la fiction, come sosteneva Flaubert, è solo uno specchio per riflettere il reale. Che non è il realismo (quello è un genere): la realtà è fatta di cose più impalpabili, anche dei nostri sogni e dell’invisibile.
In alcune tue dichiarazioni hai spesso detto che alcuni personaggi sono stati ideati molto tempo prima di concepire Numbers. Tra questi, Lyn Lyn è invece uno nuovo. Ci racconti la sua genesi?
La genesi dei personaggi non è mai qualcosa di chiaro, si concatenano delle scene. Lyn Lyn è emersa da alcune suggestioni visive, da alcuni bozzetti. E poi è affiorato il suo ruolo, la figlia del capo delle triadi. Mi intriga la traiettoria narrativa che intravedo.
Come poteva una giovane donna ritagliarsi uno spazio in un mondo, come quello, fatto di traffici e azioni violente, in cui tutti i personaggi chiave erano uomini? Lei aveva studiato all’estero e fin da ragazzina aveva mostrato tenacia e determinazione. Poi il resto si è costruito man mano. I personaggi, se suonano giusti nella testa dell’autore, prendono il loro spazio, definiscono i loro percorsi. Un buon autore, a mio avviso, deve solo stare all’ascolto e assecondare. È come un giardiniere che pulisce il vialetto che i personaggi attraversano. Il vialetto è la storia e dove porta lo sa solo lei.
Personalmente sono molto legato al concetto di “documentazione” nel mondo dell’Arte. Ma anche nel fumetto c’è un genere che fa di questo procedimento un linguaggio specifico, penso al Graphic Memoir (vedi ad esempio le opere di Nora Krug).
Tu utilizzi spesso il “documento” nei tuoi lavori, che siano di reportage o fiction. Cosa c’è di importante nel documentarsi e nel riportare questo tipo di documentazione ai lettori e, soprattutto, quanto è importante per te ai fini della narratologia?
La documentazione è importantissima perché consente ai personaggi di uscire dal ruolo di una maschera o di un cliché per diventare qualcosa di tridimensionale e di credibile. Se prendi Il Padrino (1972), per esempio, la vicenda della famiglia Corleone non sarebbe così precisa se non sapessimo che la storia si svolge in una data epoca – anno 1945 – che Michael indossa la divisa perché è stato in guerra, che l’America di quel tempo è un’America in cui gli immigrati dovevano farsi strada con metodi leciti e illeciti. Che cercavano il loro posto nella nuova società. Il racconto dell’arrivo del giovane Vito a Ellis Island è già un film da solo. Racconta moltissimo.
Con Jacques Tardi si è molto parlato della ricerca, del fatto che il divertimento stia anche nel ricostruire gli ambienti, attraverso gli oggetti, le carte da parati, i veicoli, l’abbigliamento. Questa è parte fondante della scrittura fumettistica. Certo, costa tempo e fatica, ma è anche qualcosa che rende unico il lavoro. La precisione è importante per rendere credibile tutto il racconto.
La struttura grafica di Numbers segue per certi versi quella delle BD francesi con tanto di formato e impaginazione. Al primo impatto si ha questa percezione, ma nel leggerlo si nota che hai un po’ giocato, sperimentato e sei andato oltre. Ci parli di questa evoluzione?
L’impostazione a quattro strisce è quella classica del fumetto franco-belga. Mi interessava perché quattro strisce significa raccontare. Hai una sintassi che consente anche le pause. E io, da 5 è il numero perfetto in poi, ho bisogno di lavorare sul ritmo del racconto.
Sono successe tante cose da quando anche lo stesso Hugo Pratt prese quel formato per raccontare il suo Corto Maltese. Oggi abbiamo visto come l’avventura possa essere rigenerata, anche attraverso lo sguardo degli autori asiatici, che ripropongono saghe interminabili. I lettori, oggi, hanno fame di narrazione e sta a noi autori creare nuovi affreschi. Il fumetto a mio avviso ha esplorato solo il 5% delle sue potenzialità.
Abbiamo praterie intere da percorrere con le macchine a vapore dei nostri racconti.
Sei molto legato al mondo del Cinema. Il rapporto con esso ti ha portato a fare la tua prima regia cinematografica realizzando 5 è il numero perfetto (2019) tratto dall’omonimo fumetto. In Numbers ho notato questa visione in cinemascope (o, come scrivi tu stesso, in ‘comicscope’), sia il taglio di alcune inquadrature, sia la fotografie di altre vignette.
Quanto questo sguardo è stato pregnante nel fumetto?
Il mio modo di vedere le inquadrature deve molto a tantissimi fattori: al cinema, alla fotografia, al fumetto stesso. Sul tavolo si accumulano decine di fogli, perché nella mia piccola fucina, il racconto lo si affronta con generosità, alla ricerca della maniera migliore di rappresentare quella determinata scena. Non sono un autore che si concede il “buona la prima”. Se la prima non mi convince continuo a lavorare la scena sin quando non ritengo di aver trovato l’inquadratura, le proporzioni, le torsioni del corpo, adeguate a cosa la vignetta dice.
Numbers l’hai dedicato a Milton Caniff e Hugo Pratt – noi di uBC ci accodiamo metaforicamente a questo omaggio, doveroso. Quanto c’è di entrambi gli autori nel tuo percorso professionale?
Io vengo dalle avanguardie. Mi sono sempre appassionato al lavoro degli altri, anche di autori più “classici”, c’è sempre da imparare. Mi piaceva la sintesi con le macchie di Caniff, che avrebbe poi influenzato il giovane Pratt, il quale poi avrebbe fatto sua quella lezione per elaborare uno stile elegantissimo. Ormai sono tanti anni che racconto le mie storie a fumetti. Mi era saltata in mente, da una decina di anni, l’idea di riprendere alcuni miei vecchi personaggi e metterli in scena. Erano figure familiari, delle quali supponevo di conoscere il carattere, la storia, un po’ come puoi fare con un amico d’infanzia. Mr. Pholon era stato uno dei miei primi personaggi. E il suo percorso mi piaceva. Ma non sapevo molto della sua giovinezza, di chi erano i suoi genitori.
In un quaderno ho cominciato a disegnarlo bimbo, adolescente, ragazzo e a scrivere dei suoi, delle dinamiche della sua vita, il rapporto con la madre scrittrice inglese, con il padre commerciante francese con evidenti difficoltà finanziarie. Sono cose il cui riflesso aleggia nella storia, in Numbers, ma che probabilmente non vedremo mai direttamente.
“Conoscere 10 per dire 2”, questo il motto che ho imparato nella mia collaborazione con gli editor giapponesi. Un buon metodo per dare profondità ai personaggi, mi pare.
Un’ultima domanda – o forse una curiosità. Quando usciranno il secondo e il terzo volume?
Uno all’anno, questo è il progetto.
Come disse Vittorio Giardino durante il vostro incontro a Bologna <<ora c’è la voglia di leggerne il seguito…>>.
Mi fa piacere, spero di non deludervi e che possiate divertirvi a leggere almeno quanto mi sono divertito io a scriverlo e disegnarlo.
Questa intervista, per i lettori che hanno goduto della storia in questione, può essere un ulteriore approfondimento. Per chi invece non lo ha ancora letto, potrebbe instillare quel briciolo di curiosità…
Ringraziamo Igort per il tempo dedicato alla nostra chiacchierata. Magari con l’auspicio di poterci sentire nuovamente nel momento in cui uscirà il secondo volume di Numbers.