Dylan Dog n.458
“Sette vite”

La recensione del Dylan Dog di Marco Nucci e Paolo Martinello

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6/10

Marco Nucci esordisce sulla serie regolare di Dylan Dog con l’albo n. 458 Sette vite, giocando abilmente con la ciclicità temporale e traendo ispirazione da opere come Ricomincio da capo, Russian Doll, Auguri per la tua morte ecc.

Sebbene il tema dei loop temporali, che costituisce la base (abusata) del racconto, sia particolarmente appesantito da una sceneggiatura verbosa e prevedibile, il risultato è comunque un’opera a tratti interessante (ma a volte anche noiosa).

Come spesso accade per gli autori al debutto con l’Indagatore dell’Incubo, Nucci avverte la necessità atavica di inserire numerosi rimandi e citazioni al mondo di Dylan Dog. Lungi dal risultare una colpa, questi tributi testimoniano il rispetto dell’autore per il personaggio e diventano piacevoli per come sono inseriti nella narrazione, in maniera simpatica e non forzata.

Abbiamo così, in ordine sparso, Cagliostro, Madame Trelkovski, pizza e cinema, il galeone da completare, l’assassino in impermeabile con coltellaccio in bella vista, il clarinetto, la barba lunga sinonimo di tristezza, la pistola Bodeo, Llanfairpwllgwyngyllgogerychwyrndrobwllllantysiliogogogoch e ovviamente la liaison con la bella cliente di turno.

Pur presentando una trama già piuttosto sfruttata, un susseguirsi di cliché, un assassino facilmente intuibile e un’eccessiva prolissità del tutto, la storia riesce – pur senza sorprendere – a essere a tratti godibile.
Il merito è della scrittura di Nucci, appassionata e misurata, che (nonostante qualche eccesso, come la citazione finale di Buzzati e infiniti e talvolta inutili dialoghi) trova equilibrio nei dettagli: l’ironia contagiosa di Groucho, la femme fatale sempre con sigaretta o vino in mano e il fascino noir che si mescola alla malinconia. Una misura intelligente che permette all’albo di risultare anche piacevole nonostante tutte le difficoltà appena elencate.

Sul lato disegni, il talento di Paolo Martinello arricchisce l’opera: il suo tratto espressivo e le inquadrature suggestive amplificano sia il tono riflessivo della storia, sia le digressioni splatter. Se la storia, pur rimanendo lenta e prevedibile, raggiunge la sufficienza è anche grazie alla sua maestria grafica.

VOTO
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Pasquale Laricchia

Cominciai a correre. Finché i muscoli non mi bruciarono e le vene non pomparono acido da batteria. Poi continuai a correre.

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