Prima di entrare a far parte della scuderia degli autori Bonelli, il nome di Antonio Segura non era certo sconosciuto agli appassionati di comics.
Sin dall’inizio degli anni ‘80, infatti, si era imposto come uno dei massimi esponenti della scuola valenciana, parte attiva del movimento fumettistico spagnolo di rinascita dopo i lunghi anni di oscurantismo del regime franchista.
Opere dal taglio fantascientifico come Bogey e Hombre, per i disegni rispettivamente di Leopoldo Sanchez e José Ortiz, avevano poi dato fama a questo autore anche fuori dai confini spagnoli.
Un’ulteriore consacrazione del suo talento si ebbe quando si mise alla prova con il cupo futuro di Kraken, per la realizzazione grafica di Jordi Bernet e, in coppia col fedele Ortiz, con Morgan, Burton & Cyb e la serie ecologica Ozono.
Il primo incontro con Sergio Bonelli ebbe luogo nell’ottobre 1992, in occasione del Salone Internazionale dei Comics tenutosi a Lucca.
Segura, desideroso di mettersi alla prova con il famoso Ranger, propose la sua candidatura per entrare a far parte del team di sceneggiatori di Tex… ma la risposta dell’editore milanese non fu subito positiva, come racconta lo stesso Segura in una bella intervista apparsa su Fumo di China nel numero di marzo/aprile 1994:
“La sua reazione fu di perplessità e mi espresse molto bene le difficoltà intrinseche per un soggettista non italiano nel descrivere ambienti e avventure rispettando una tradizione consolidatasi in anni e anni di pubblicazione. In altre parole, ho recepito da Bonelli, in quel momento, un’incertezza più che logica ad accettare la mia proposta.”
Sergio Bonelli concesse comunque a Segura di scrivere un soggetto di prova, in modo da valutare se lo stile dell’autore spagnolo fosse appropriato o meno al personaggio principe della casa editrice.
Evidentemente la valutazione ebbe esito positivo in quanto, pochi mesi dopo l’incontro di Lucca, il soggetto venne approvato e Segura entrò così nello staff di Tex.
Per realizzare questa sua prima storia gli fu affiancato il fido José Ortiz, fresco reduce dalle fatiche del suo Texone, in modo da fornire allo sceneggiatore un volto ben conosciuto e facilitando così il suo lavoro d’esordio.
La gestazione dell’opera iniziò quindi sotto i migliori auspici e proseguì decisamente spedita. Tuttavia – malgrado le buone intenzioni – una volta arrivata in redazione la sceneggiatura non convinse né nella sua struttura né, soprattutto, nei dialoghi, dimostrandosi lontana dai canoni texiani. Fu quindi approntata una revisione – principalmente ad opera di Decio Canzio – con cui vennero introdotte le necessarie modifiche per rendere la storia pubblicabile.
Così, nel novembre 1997, venne alla luce Il cacciatore di fossili, prima opera di Antonio Segura per Tex. Sergio Bonelli, molto attento a non turbare gli equilibri della serie regolare e gli umori dei lettori, decise di dirottare il volume in una collana collaterale: con questo albo vide infatti la luce la serie dei Maxi Tex che, idealmente, seguiva nel formato il primo balenottero Oklahoma di Giancarlo Berardi e Guglielmo Letteri, uscito in edicola sei anni prima semplicemente come numero fuori serie.
Nonostante gli interventi redazionali, l’impronta di Segura resta ben evidente, con personaggi decisamente sopra le righe quali, ad esempio, il sanguinario indiano ribelle Four Bears e il paleontologo Charles Sutter, la cui collera sfocia spesso in un’incontrollabile e cieca violenza.
Il lavoro di Segura si rivela particolarmente soddisfacente e colpisce per la ricchezza dell’intreccio, con tanti filoni narrativi che si amalgamano alla perfezione, una rappresentazione convincente dell’ambiente in cui si muovono i protagonisti (ottimo il lavoro ai disegni di Ortiz) e una bella caratterizzazione dei comprimari – tra i quali spicca il malinconico pistolero Red Barnum, reso eroico nel suo emozionante ed estremo sacrificio.
Lo sviluppo della trama segue ottimamente un soggetto originale come quello dello sfruttamento dei giacimenti di fossili del Wyoming e del Montana, mai visto in precedenza sulle pagine di Tex.
Quello che stona è il trattamento riservato a Carson, troppo sopra le righe e troppo spesso accostato al whisky; che il vecchio cammello non disdegni il classico bicchierino è cosa nota, che si attacchi così spesso alla bottiglia e pure al barilotto è decisamente esagerato e sfiora più volte la macchietta.
Ma in fondo si può considerare un peccato veniale rispetto ad una prova nel suo complesso più che convincente.
Due anni dopo, l’ormai consolidata coppia Segura-Ortiz ritorna con un nuovo Maxi, L’oro del sud.
A fronte di un soggetto meno originale rispetto a quello del debutto, l’autore spagnolo confeziona una sceneggiatura perfetta per costruzione della storia, ritmo narrativo, pathos e – più in generale – per coinvolgimento del lettore.
Troviamo anche un Tex più consono al canone bonelliano e, soprattutto, un Carson caratterizzato decisamente meglio: brillante, sempre divertente nei suoi siparietti con l’inseparabile pard, senza mai scadere nel caricaturale, ritagliandosi anche alcune parti da protagonista.
Gli elementi fondamentali della storia sono contenuti già nel titolo: l’oro – a cui dà la caccia un manipolo di ex combattenti confederati guidati dall’idealista Buchanan e dal razzista Portman – e il profondo Sud americano, immerso in un dopoguerra intriso di dolore, paura e miseria.
Magistrale il lavoro di Segura, che riesce a costruire un’atmosfera malsana e mefitica come la palude rappresentata più che efficacemente da Ortiz. Al di là della retorica del Sud che, nonostante la sconfitta, non si piega ai vincitori nordisti, c’è un sentimento comune di rivalsa e mal riposto orgoglio ben esplicitato nelle esternazioni di Buchanan e soci.
Fa da sfondo alla caccia di Tex e Carson un variopinto universo composto – tranne qualche eccezione – da uomini deboli e avidi, famiglie disperate ed emarginate, interi villaggi ridotti alla fame (strascico inevitabile di una folle guerra che ha generato solo morte e dolore) e una natura inospitale e piena di pericoli.
Per la bellezza della storia, i disegni sempre più convincenti del bravissimo Ortiz e la perfetta sintonia con il personaggio creato da Gianluigi Bonelli, questo episodio può essere considerato il vero capolavoro di Segura su Tex.
Di tutt’altro spessore l’uscita successiva firmata dall’autore spagnolo, che vede la luce sempre nell’ormai consolidata collana Maxi nell’ottobre 2000.
Il volume presenta due storie distinte, La collera di Tex e Odio implacabile, entrambe disegnate da Miguel Angel Repetto, artista argentino che aveva esordito in Bonelli con una storia breve sull’Almanacco del West 1999.
Decisamente tormentata la genesi di questo Maxi. La prima storia risale addirittura al 1995, probabilmente per essere inserita nella serie regolare; presentando gli stessi difetti di sceneggiatura de Il cacciatore di fossili, Sergio Bonelli l’aveva conservata nel fatidico cassetto per cinque lunghi anni. Quando decise di pubblicarla nella collana Maxi si pose il problema di aggiungere un nuovo breve episodio, in quanto il primo aveva un numero di pagine che non copriva quello necessario per i “balenotteri”.
Nasceva così questo I due volti della vendetta, albo che include i due titoli precedentemente citati.
Probabilmente la difficile gestazione del volume e la divisione in due separate storie – che nulla hanno in comune l’una con l’altra – contribuiscono a rendere questa terza fatica di Segura decisamente deludente.
Il primo episodio, La collera di Tex (titolo generico per nulla rappresentativo della storia), sembra un po’ un collage di alcuni pezzi slegati tra loro e tenuti insieme a forza. Sono soprattutto i personaggi che funzionano poco e male, a partire dall’eterogenea combriccola del folle invasato Don Luis Toledo.
Odio implacabile risulta più centrata e meglio sceneggiata. In questo caso la brevità dell’episodio ha aiutato Segura, che imbastisce una trama scorrevole con tanta azione. Sorvolando su alcune forzature, la storia non presenta grandi difetti e, seppur tutt’altro che memorabile, si fa leggere senza fatica.
Il difetto che permea entrambi gli episodi è l’eccessiva violenza di un West raffigurato in modo crudo e macabro, con alcune punte di splatter vero e proprio. Segura non ci risparmia proprio nulla: morti a go-go ammazzati in tutti i modi possibili, torture ben illustrate, linciaggio con dovizia di particolari, donne e bambini crivellati di colpi. Va bene essere realistici, ma qui c’è troppo e – spesso – in modo del tutto gratuito.
Una prova da dimenticare, in cui il giudizio migliore lo dà proprio Tex nel finale della seconda storia: “Troppi morti per i miei gusti“.
La quarta prova di Segura vede la luce nell’ottobre 2004 con un altro Maxi, Il treno blindato. Evidentemente Sergio Bonelli continuava a considerare Segura – non a torto – autore troppo distante dal canone texiano per concedergli il debutto sulla serie regolare, considerando i Maxi annuali come il contenitore ideale per le sue storie. Affiancato alle matite dal fido Ortiz, l’autore spagnolo confeziona una sceneggiatura che si ispira in modo palese a “Un esercito di 5 uomini”, spaghetti western di fine anni ‘60 a firma Italo Zingarelli.
Questa volta Segura dosa meglio gli ingredienti, azzerando o quasi la violenza cieca del precedente lavoro con una trama molto articolata in cui la tanta azione si sposa con siparietti comici e numerosi colpi di scena. Fa da sfondo quel Messico perennemente lacerato dalle guerre, diviso tra spietati gruppi para-militari con sogni di rivalsa contro l’odiato vicino americano e la povera gente stanca della violenza e della prepotenza che regola la vita di tutti i giorni.
Purtroppo la sceneggiatura non è priva di evidenti difetti, come una certa confusione in alcuni passaggi e talune soluzioni cervellotiche. Basti pensare all’armata Brancaleone allestita da Tex per accompagnarlo nella difficile missione in territorio messicano: quando mai il nostro Ranger ha avuto bisogno di una compagnia così scalcinata per affrontare un’avventura tanto pericolosa?
Lo stesso famigerato generale Contreras, dipinto come un criminale della peggior specie, alla luce dei fatti narrati risulta quasi una macchietta, scomparendo di scena in modo totalmente anonimo. Anche il finale pare tirato via, con una soluzione troppo sbrigativa e poco in linea con il resto della storia.
Tirando le somme si tratta comunque di un lavoro non disprezzabile, che si lascia leggere senza troppe difficoltà anche se la magia dei primi due lavori pare distante.
Giusto sottolineare invece l’ottimo lavoro di Ortiz: nonostante in alcune tavole pecchi di un eccesso di sintesi e alcuni primi piani di Tex siano obiettivamente poco riusciti, il suo tratto trasmette perfettamente l’atmosfera di quel West sporco e polveroso immaginato da Segura.
Passano ben cinque anni prima di poter leggere un’altra storia dell’autore spagnolo. Nell’ottobre 2009 fa capolino in edicola Lungo i sentieri del West, probabilmente il suo lavoro più ambizioso e, allo stesso tempo, quello più lontano dalle atmosfere texiane cui il lettore è abituato.
Il Ranger bonelliano viene inserito in una trama che è un lungo, lunghissimo viaggio attraverso una serie infinita di topoi western, affrontati sempre a ritmo forsennato senza lasciare il minimo respiro al lettore.
Tex ne passa davvero di tutti i colori, con situazioni che si susseguono senza sosta: pericolosi banditi affrontati su un treno in corsa, indiani che assaltano la diligenza, carovane di coloni disperse oppure abbandonate da avventurieri senza scrupoli, la cupidigia di una folle corsa all’oro e persino un pauroso e distruttivo tornado.
L’inseguimento di una pericolosa banda di fuorilegge è il sottile filo che lega le varie avventure presenti nella storia, anche se spesso alcune situazioni sembrano messe forzatamente per inserire scenari e personaggi diversi, come ad esempio la ghost town dei minatori e del loro pittoresco capo sull’orlo della pazzia.
Diversi dettagli possono far storcere il naso al lettore più tradizionalista: banalissima la trovata con cui viene messo fuori gioco Carson all’inizio dell’albo, oppure Tex che fissa un cane per un’intera giornata per conquistare la sua fiducia e utilizzarlo come segugio per ritrovare i cattivi di turno… Per non parlare del massacro di botte cui viene sottoposto da cinque pionieri di una carovana e che, solo poche pagine prima, sembravano tutt’altro che irresistibili.
Nonostante questi e altri scivoloni, la trama imbastita da Segura resta assolutamente godibile proprio per l’ampio respiro di un’avventura dai toni epici dove conta il viaggio, non la meta. Un percorso irto di ostacoli ma anche di incontri piacevoli come il bizzarro apache Cane Custer e il buffo rappresentante di armi Don Dunlevy. Non mancano violenza e brutalità ma c’è anche tanto coraggio ed umanità, ben rappresentati dal sacrificio della donna del capo carovana che salva la vita a Tex.
Nota dolente le matite di Ortiz, che iniziano a mostrare in modo preoccupante i segni del tempo. L’esagerato tratto sporco cammuffa imprecisioni abbastanza evidenti, specie nei primi piani e nelle scene di interni. Molto meglio quando può lavorare a briglia sciolta sui deserti polverosi o sulle sconfinate praterie, così come nei paesaggi innevati e nella furia di una tempesta.
Il Maxi numero 15 intitolato L’ora del massacro è l’ultima produzione di Segura per la Sergio Bonelli Editore.
Anche in questo caso la sceneggiatura presenta incongruenze e lungaggini, che devono essere limate in redazione da Decio Canzio e Mauro Boselli per apportare i giusti correttivi affinché l’albo sia pubblicabile, oltre al taglio di una ventina di pagine ritenute superflue.
La trama riprende lo stesso canovaccio del precedente Lungo i sentieri del West, ovvero una serie di avventure slegate tra loro e tenute artificiosamente unite dall’ennesima caccia di Tex che, questa volta, deve catturare cinque fuggiaschi evasi durante il trasferimento dalla prigione al luogo del processo.
Il massacro del titolo è proprio relativo all’evasione, nella quale l’intera scorta ai prigionieri – guidata proprio da Tex – viene annientata dai complici di uno dei cinque reclusi.
Da qui partirà la lunga avventura del nostro Ranger – questa volta totalmente in solitaria – in cui dovrà affrontare un nutrito ed eterogeneo gruppo di avversari nelle situazioni più disparate.
Rispetto al precedente volume manca l’ampio respiro della narrazione, dato che viene enfatizzato il galoppare infinito di Tex attraverso scenari differenti tra loro (deserti assolati, lunghissime piogge torrenziali, stretti e angusti canyon ecc.) e lo scontro con avversari sulla carta pericolosissimi – ma che alla fine si rivelano inconsistenti.
Nonostante gli interventi redazionali, permangono le solite incongruenze con il Tex di bonelliana memoria: per ben due volte rimane inopinatamente senz’acqua nel deserto, dorme come un sasso a pochi metri dalla casa dell’avversario che lo vuole morto, sbaglia continuamente valutazioni sugli avversari.
Se queste situazioni possono, al limite, essere considerate peccati minori, non lo sono alcune discutibili decisioni (o omissioni) di Tex che procureranno la morte di alcuni comprimari: in primis il linciaggio di Puma Nero e consorte, il massacro degli uomini dello sceriffo lanciati all’inseguimento di Dekker, per non parlare dei frati e dei coloni che stanno per essere attaccati dagli indiani e abbandonati incredibilmente da Tex al loro destino.
Una storia poco convincente e poco appassionante, sicuramente lontana dai primi due ottimi episodi e, nonostante ne ricalchi lo schema, anche dal precedente Lungo i sentieri del West.
Quest’ultimo lavoro di Segura sarà anche l’ultimo della sua grande produzione: il 31 gennaio 2012, dopo una lunga malattia, muore nella sua Valencia a soli 64 anni.
Si può discutere a lungo sulla sua versione personalissima di Tex: tante le voci discordanti tra chi lo ha apprezzato, chi lo ha esaltato e chi al contrario l’ha ritenuto semplicemente inadatto al personaggio.
Di certo Segura non aveva una conoscenza approfondita dell’eroe bonelliano e del suo mondo: ad esempio, in nessuna delle sue avventure è mai stato fatto cenno al suo essere il capo dei Navajos, anche quando la situazione poteva richiederlo.
Relegato sulla serie parallela dei Maxi, alla fine dei conti ha prodotto alcuni degli episodi migliori della collana, rispetto ad altre produzioni scialbe e noiose di autori già avvezzi al mondo di Tex. Sulle sue abilità di sceneggiatore nessuno ha mai avuto dubbi o perplessità: la capacità di raccontare e di coinvolgere il lettore non è mai venuta meno, anche a fronte di storie non particolarmente memorabili.
Un grande artista spagnolo che ha saputo brillare narrando le vicende di un personaggio iconico come Tex, donandogli la sua personalissima sensibilità per trasportarlo in avventure che, pur uscendo dalla classica ortodossia bonelliana, hanno l’indubbio pregio dell’originalità.