Un saggio a fumetti consacrato ad un personaggio letterario al quale cinema e nuvolette hanno dato molto? In Italia solo Alfredo Castelli avrebbe potuto farlo. Oltralpe ci è riuscito l’eccentrico (nel senso etimologico di “fuori dal centro”) Hubert Mounier, alias Cleet Boris, cantante fondatore del gruppo pop anni Ottanta L’Affaire Louis’ Trio, poi fumettista riconvertito, di cui Black and White pubblica postumo – a otto anni dalla scomparsa – Le roi de la jungle, dedicato, come il titolo lascia intendere, a Tarzan.
Il libro, incompiuto (alcune tavole restano a matita o appena inchiostrate, un finale non c’è), è importante non solo perché racchiude una miniera di informazioni esaminate con la giusta e ironica distanza critica che solo un vero appassionato può avere, aggiungendo sapore allo studio.
È nell’espandere quasi inconsciamente le possibilità del medium che l’opera rivela la sua unicità: racconto perché fumetto, saggio perché analisi, con un tratto che diventa meta-linguaggio mescolando generi (strips anni Trenta, racconto illustrato simil-Ottocento, tavole monocromatiche alternate a colori digitali) e copiando, metabolizzando al proprio segno quello di altri – copertine, oggetti da collezione, clichés cinematografici ed estratti fumettistici tratti, tra gli altri, da Foster, Hogarth, Manning, Buscema.
E in questo allargamento semantico, l’autore non dimentica la funzione narrativa: nell’analizzare una creazione, Mounier racconta al tempo stesso una passione, un’infanzia e un modo di leggere fumetti oramai superati, colmando di nostalgia i lettori più attempati e svelando mondi sconosciuti ai più giovani, diventando lui stesso un futuro oggetto di studi. Conoscete altri fumetti capaci di tutto questo?