Linguaggi Apocalittici

/
6 mins read

Umberto Eco è lo studioso con cui il mondo del fumetto italiano (forse non solo italiano) è maggiormente in debito. Lo è soprattutto per il contributo fondamentale che ha saputo dare alla nascita di una critica italiana dello stesso e forse, ancor prima della sua nascita, al merito della sua legittimazione. In questo senso il libro più celebre è senza ombra di dubbio Apocalittici e Integrati del 1964. Proporre quindi un ragionamento, magari ambizioso, sulla critica del Fumetto non può che prendere le mosse proprio dal saggio del professore di Alessandria.

Iniziamo subito col dire che Apocalittici e Integrati non è un testo sul fumetto: si tratta piuttosto di un tentativo di analisi dell’allora cultura popolare italiana, la cultura di massa per intenderci, di cui il fumetto faceva ampiamente parte (allora molto più di oggi) in quanto tipico prodotto dell’industria culturale.
Delle quasi 400 pagine che compongono l’opera sono 140 quelle dedicate al fumetto, nelle restanti pagine vengono trattati argomenti di certo interessanti ma non rilevanti per il nostro discorso.
I capitoli sul fumetto sono tre, in ognuno dei quali è esaminato un aspetto diverso del fenomeno.
Il mondo di Charlie Brown è un’appassionata analisi della striscia disegnata da Charles M. Schulz e rappresenta ancora oggi un punto di riferimento importante per chiunque voglia approfondire l’universo di questi problematici ragazzini; è anche grazie al lavoro di Eco (che negli anni tornerà spesso ad occuparsi dei Peanuts) se questa dolceamara banda ha sempre suscitato un notevole interesse nel pubblico italiano.
Il mito di Superman è forse uno dei capitoli più noti al grande pubblico, se non altro per la trattazione di un personaggio di rilievo planetario. Qui l’approccio è essenzialmente sociologico, Superman viene utilizzato come cartina al tornasole di un’industria culturale di matrice capitalistica. Nonostante alcune interessanti valutazioni sulla serialità e senza addentrarmi in complicate valutazioni politiche sociali, trovo questa parte ad oggi meno rilevante fumettisticamente: il Superman di Eco è quello “Golden Age” di Shuster e Siegel ma già in quegli anni la “Silver Age” ne stava cambiando i paradigmi. Le innumerevoli evoluzioni successive hanno reso poi, al lettore odierno, il capitolo quanto meno anacronistico.

                 Tavola di Steve Canyon

Ho volutamente lasciato per ultimo il capitolo di apertura: Lettura di Steve Canyon. Sono dell’idea che dell’intero Apocalittici e Integrati la parte più importante, quella a cui tutto il mondo del fumetto deve effettivamente qualcosa, sia questa lunga e dettagliata disamina della tavola di Milton Caniff. A rendere questa parte così fondamentale non è tanto l’analisi in sé, ancora fortemente legata agli strumenti della critica cinematografica, quanto piuttosto la possibilità di analisi stessa.
Il professore alessandrino parte dal presupposto che il fumetto sia un linguaggio originale e in quanto tale dotato di tutte quelle peculiarità tipiche di qualsiasi altro tipo di linguaggio e ponendolo quindi esattamente sullo stesso livello degli altri. Eco va oltre e dimostra fattivamente come il fumetto possa essere analizzato e interpretato esattamente al pari di altri codici linguistici, in sostanza scinde il linguaggio dal contenuto conferendo finalmente dignità alla forma fumetto.

“[…] la “lettura della pagina di Steve Canyon ci ha posti di fronte all’esistenza di un “genere letterario” autonomo, dotato di propri elementi strutturali, di una tecnica comunicativa originale, fondata sull’esistenza di un codice condiviso dai lettori e a cui l’autore si rifà per articolare, secondo leggi formative inedite, un messaggio che si rivolge, insieme, all’intelligenza. all’immaginazione, al gusto dei propri lettori.”
Umberto Eco, “Apocalittici e Integrati”

Dal caposaldo di Umberto Eco di strada ne è stata fatta tanta. Molti studiosi si sono interessati e hanno approfondito questo linguaggio costruendo, negli anni, una letteratura vasta ed eterogenea, ampliando così la gamma degli strumenti analitici necessari per la corretta analisi del linguaggio a fumetti. Il professor Daniele Barbieri è oggi uno dei maggiori e più interessanti studiosi del fumetto in Italia e per diverse ragioni può essere considerato il vero erede di Eco (non ultimo motivo quello di esserne stato studente).
Il suo libro Linguaggi del Fumetto riprende idealmente, ampliandola, la famosa Lettura di Steve Canyon ed il richiamo diventa ancora più evidente se pensiamo che Il linguaggio del fumetto (al singolare) è il titolo di uno dei paragrafi centrali di Apocalittici e Integrati.
Barbieri intraprende una strada ipermoderna  nella trattazione del linguaggio a fumetti e dei linguaggi in generale: non più l’esaltazione delle unicità del fumetto bensì l’analisi dei punti in comune con altri linguaggi, siano essi prettamente visivi (Illustrazione, Caricatura, Pittura, Fotografica e Grafica) narrativi o di temporalità come preferisce l’autore (Musica e Poesia, Narrativa) e misti (Teatro, Cinema d’animazione e Cinema).

“[…] questi ambienti che sono i linguaggi non costituiscono dei mondi separati, ma rappresentano piuttosto aspetti diversi dell’ambiente globale della comunicazione, e sono di conseguenza fortemente interconnessi, intrecciati, in continua interazione reciproca.”
Daniele Barbieri, “I linguaggi del fumetto”

Come già per Eco l’approccio, pur non mancando gli elementi teorici, risulta profondamente pragmatico, il libro è infatti pieno di tavole minuziosamente analizzate, di dettagli scovati di “segreti” svelati. Un libro impossibile da racchiudere in queste poche righe e che dovrebbe essere, a mio modesto parere, una sorta di lettura obbligata per chiunque voglia approcciarsi in maniera seria e sensata a questo mondo.

                    Analisi di una tavola di Flash Gordon

“Le due vignette di Raymond, e quella di destra in particolare, sono piuttosto  complesse dal punto di vista prospettico. Nella Vignetta di sinistra le figure avanzano, tra i rottami, verso di noi, si avvicinano. Nella vignetta di destra compaiono ben cinque piani di lettura in scorcio: un primo piano con vapori sospesi nell’aria, un secondo con le figure di Gordon e Dale, un terzo con i macchinari (il quale a sua volta, a ben guardare, è ancora articolabile al suo interno), un quarto con la fila di figure incamminate in una penosa ritirata, un quinto piano  di fondo con le esplosioni luminose. La messa in prospettiva  di questi diversi aspetti permette di leggere nell’immagine una durata raccontata che sarebbe ben diversa altrimenti.”
Daniele Barbieri, “I linguaggi del fumetto”

La stesura di questo articolo, come già accennato in apertura, ha generato in me alcune considerazioni sul fumetto e più in particolare sul mondo delle recensioni in rete: mondo del quale, anche se in maniera marginale, cerco di far parte attiva e di cui sono, in maniera molto più preponderante, parte passiva.
Invito prima di tutto a leggere l’interessate analisi apparsa qualche tempo fa sullo Spazio Bianco (Pregi e difetti della critica a fumetti sul web). Come l’articolo sottolinea, la maggioranza delle realtà presenti in rete sono a carattere prettamente amatoriale (come del resto il nostro uBC). Questa condizione non può però essere assunta come alibi per il pressapochismo e cerco ora di spiegarmi meglio. Troppe volte articoli e recensioni di fumetti si limitano ad una mera esposizione del gradimento personale dell’autore e ancora più spesso, il giudizio si limita ad un’analisi esclusivamente contenutistica. Il problema è che sovente i recensori ignorano del tutto i meccanismi alla base di questo linguaggio, di fatto non ne conoscono funzionamento e sue peculiarità e ancor peggio, nocciolo vero della questione, ritengono questa conoscenza superflua. La mancanza di strumenti d’analisi fa in modo che il giudizio sia quindi generato dal solo, più o meno, apprezzamento del contenuto. Non è ammissibile, o meglio non può esserlo sempre, che una recensione di fumetti non sia distinguibile da quella di un film, di un libro o di qualsiasi altro prodotto narrativo. Avere una base analitica, o comunque cercare di costruirsela una su cui poggiare le proprie opinioni è fondamentale affinché il giudizio, nei limiti del possibile, si elevi dalla sfera soggettiva, nello sforzo di eliminare il famoso e terribile “de gustibus” e cercare così di raggiungere un livello più maturo e oggettivo.

Ribadisco nuovamente che di quella nicchia amatoriale ne faccio parte e che le criticità che espongo le sento in prima persona. Scrivere e parlare di fumetti per passione non ci alleggerisce di responsabilità, anzi forse ce ne carica di alcune; il lettore confida della buona fede dell’appassionato dal quale si aspetta un maggior approfondimento, una maggiore conoscenza, una maggiore cognizione di causa sull’argomento trattato ed è da queste attese che deriva una sorta di obbligo morale di chi scrive. Umberto Eco e Daniele Barbieri (ce ne sarebbero molti altri) con il loro lavoro hanno dimostrato quanto la nona arte sia affascinante e allo stesso tempo complicata; noi “recensori” dobbiamo sentire quindi la necessità di approfondimento per non cadere nell’errore di sminuire e semplificare un linguaggio invece complesso come il fumetto.

Federico Catena

Ci sono più cose nei fumetti di quanto ne sogni la letteratura.

Articolo precedente

Da Gene Roddenberry a Yoshitoki Ōima: la narrativa fantastica che educa.

Prossimo Articolo

Goblin Slayer: the kawaii massacre

Ultimi Articoli Blog

Comet Club

L'opera più personale di Yi Yang e, forse, anche quella più riuscita…