Goblin Slayer: the kawaii massacre

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Il momento “sapevatelo” me lo sono già giocato, per cui andiamo di rapido nozionismo: “Goblin” è una creatura fantastica che si ritrova nelle antiche narrazioni della Normandia (non guardate me, mi sto fidando di Wikipedia) i cui tratti dispettosi e volgari sono poi stati resi feroci e maligni sopratutto dalla più recente tradizione fantastica e dei giochi di ruolo.
“Slayer” è il termine inglese che significa “uccisore”, “kawaii” è il termine giapponese che indica tutto ciò che è intenzionalmente o naturalmente reso gradevole agli occhi, si tratti di un cucciolo o di una bella ragazza.

“Massacre” è il termine inglese per “Massacro”

Goblin Slayer infine è una fortunata serie di “Light Novel” fantasy pubblicata in Giappone da Kumo Kagyu e da cui sono stati ricavati un anime e, sopratutto, un manga disegnato da Kousuke Kurose.

Cover del primo numero

Il soggetto è estremamente semplice, quasi riassunto nel titolo: in un classico mondo fantasy abbiamo le classiche razze “umane”, che come da copione comprendono anche nani, elfi e uomini lucertola, tutti accomunati da tradizioni, linguaggio e modi di pensare che, alla fine, sono riconducibili ad un concetto di civiltà estremamente antropocentrico, e le classiche razze che possiamo definire “dis”-umane perchè invece non lo sono (il fantasy classico, diciamolo, è soggetto ad una certa qual xenofobia strisciante…).
Al netto delle considerazioni sociologiche, i goblin di questo mondo fantasy fanno parte della seconda categoria: esseri con l’agilità, la forza e l’intelligenza di un ragazzino umano ma con la malignità e le pulsioni violente di un adulto. Della prima categoria, invece, fanno parte gli avventurieri, provenienti da varie razze e uniti oltre che dalle capacità di combattenti, maghi ed esploratori, da un sistema di gilde professionali che li abilita e li qualifica in ranghi che vanno da “porcellana” (neofita) a “platino” (eroe mondiale) passando per il più comune “argento” (veterano). In questo mestiere non è inconsueto che i giovani “porcellana” si imbarchino in una “facile” missione di sterminio dei goblin per fare esperienza.

Non è un fantasy per ragazzine

E finiscano massacrati avendo trascurato che la forza e l’astuzia di un ragazzino sono risibili solamente quando combatti in campo aperto ed in parità numerica, e non in un cunicolo buio mentre i nemici arrivano a manciate da più direzioni incalzandoti con piccole, ma acuminate, lance e rozzi, ma velenosi, pugnali.
In questo contesto in cui i novellini affrontano con incoscienza una missione molto più pericolosa di quanto sembri, mentre i veterani non si sporcano le mani con incarichi così poco attraenti ed i soldati manco considerano la cosa, visto che prima o poi qualche novellino ce la farà, un solo “argento” continua ossessivamente ad incaricarsi dello sterminio dei goblin. Con astuzia, competenza e distacco, seguito da una giovane chierica strappata per puro caso alla morte o peggio in una tana di goblin.

E’ il Goblin Slayer.

La fortuna della collana di libri è apparentemente abbastanza facile da spiegare: una premessa semplice, uno sviluppo serrato, personaggi fantasy tradizionali che agiscono al meglio delle loro competenze e che, quindi, trionfano quando sono all’altezza della situazione e muoiono MALISSIMO quando non lo sono o se semplicemente non sono stati fortunati. Il “grim fantasy” alla “chiunque può morire” di lunga scuola reso famoso negli ultimi decenni da R.R. Martin ed il suo Game of Thrones, solo con meno incesti e meno intrighi. Diciamo la versione fantasy dei libri “pulp western” e dei vari “O.S.S.” e “Segretissimo” che continuano a vendere senza problemi anche nell’era dell’internet. In comune con questi ultimi abbiamo una figura di protagonista forte ed in qualche modo “spersonalizzata”: il Goblin Slayer non è Gatsu di Berserk, un prodigio di forza bestiale raffinato nella sua determinazione suicida e reso carismatico dalla sua unicità, ma si presenta come un più normale, persino bonario, “veterano”.
Certo, fin da subito veniamo a sapere che a portarlo nelle tane dei goblin è stato un trauma d’infanzia, ma lui per primo è in grado di riflettere spassionatamente su questa sua ossessione e spiegarla ai suoi committenti e alla compagna di viaggio che gli si è affiancata con la stessa attenzione con cui spiega i trucchi per sopravvivere e per uccidere. Questa aura da anonimo “Specialista” (di nuovo, il parallelo con gli spionistici “pulp” si fa forte) viene rafforzata sia dalla sua “doppia reputazione”: deriso dai novellini che non riescono a vedere oltre l’armatura sporca (mimetica) e dagli avventurieri che si occupano solo di “incarichi onorevoli” ma trattato con estremo rispetto da chi “lavora sul campo”; sia dall’elmo chiuso che indossa in ogni occasione, rendendo impossibile vedere il suo volto e qualsiasi sua espressione.

Il parere dello Specialista (lettura giapponese)

Più complicato definire la fortuna del manga e dell’anime che ne ha ricalcato in toto il tratto. Inaspettatamente l’autore scelto per mettere su tavola le avventure del Goblin Slayer appartiene in tutto e per tutto al filone detto “bishojo” (di belle ragazzine), usato ed abusato dallo “shonen-fantasy” più classico che appella al suo giovane pubblico maschile con un misto di avventure di radioso eroismo e flessuosi corpi femminili. Non il tratto che si sarebbe pensato per una narrazione in cui i giovani aspiranti eroi sono destinati ad una morte orribile che è comunque ancora nulla in confronto al destino che tocca alle giovani e belle eroine.
Eppure funziona e non come si potrebbe pensare per il semplice contrasto tra bellezza e orrore (o, più pruriginosamente, per l’accostamento feroce di eros e thanatos) ma, molto semplicemente, perché alle chine abbiamo un solido professionista che riesce a descrivere con attenzione le scenografie, tratteggiare le azioni dei protagonisti in maniera chiara e scegliere l’inquadratura più adatta per la situazione. Il che non è impresa da poco se si considera che molta parte dell’azione e delle scene d’azione soprattutto si svolge in situazioni claustrofobiche e buie in cui la china nera copre gran parte della tavola.
Eppure, grazie a campiture chiare giustificate dalla provvidenziale torcia, dal cozzare delle armi o da un principio di incendio, l’azione si dipana senza incongruenze fino a divenire epica mentre i dialoghi nei momenti di calma spesso hanno un falò o una pioggia torrenziale che permette di tracciare ombre contrastate sui volti dei parlanti o far risaltare l’impassibile oscurità della maschera del Goblin Slayer.

Questa solidità dei presupposti potrebbe però trasformarsi nel maggiore punto debole di Goblin Slayer con l’ampliarsi già dal secondo numero di un cast che non è più semplicemente “carne da goblin” ed il palesarsi all’orizzonte di una “quest” eroica annunciata dall’apparizione di antagonisti di livello superiore (oppure no, secondo il protagonista) ai goblin.
Si corre infatti il rischio di dover forzare pretesti sia per far muovere “il professionista” in campi in cui non ha alcun interesse, sia per mantenere viva la tensione data dal “chiunque può morire”, spezia narrativa che funziona fintantoché il lettore non comincia a sospettare che possa essere usata per coprire una mancanza di altri gusti.
Al secondo volume è, comunque, presto per preoccuparsene ed è molto poco per togliere al lettore il piacere di leggere una storia fantasy costruita “da professionisti”.

Luca Cerutti

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