I 2017 albi di uBC

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Elencare i fumetti che hanno caratterizzato l’anno appena trascorso è una tradizione del nostro passato che recuperiamo con piacere, soprattutto in questo mese che segna i nostri primi 12 numeri nella nostra nuova forma ed apre un nuovo anno di fumetti da leggere, gradire, aborrire e di cui parlare.

Per cui, senza indugio, ecco a voi le storie che hanno segnato il 2017 di ciascuno di noi.

Il 2017 di Massimo Cappelli
Dylan Dog Maxi

È paradossale che dopo tre anni di gestione di Roberto Recchioni delle testate di Dylan Dog, direzione che avrebbe dovuto ammodernare il personaggio, l’albo più sorprendentemente riuscito esca in una collana, il Maxi Dylan Dog, ribattezzato Old Boy, che dovrebbe rappresentare l’essenza della classicità dell’indagatore dell’incubo.

In effetti con il n.30, Oltre i Confini della Realtà, uscito nello scorso luglio, gli autori, l’esperto Luigi Mignacco ai testi e gli eterni Giuseppe Montanari e Ernesto Grassani ai disegni (coadiuvati per l’occasione da Cesare Valeri e da Claudio Lo Presti) realizzano con una storia divisa in tre parti un piccolo gioiello narrativo, che rappresenta, per la sua lunghezza, un unicum all’interno della storia dylandoghiana.

La trama è molto semplice: l’ispettore Bloch viene ucciso proprio l’ultimo giorno di lavoro prima di andare in pensione, Dylan Dog fa un patto con la Morte per riportarlo in vita, sostituendolo all’inferno.
Mentre Dylan vagabonda nell’aldilà, incontrando alcune delle persone più importanti della sua vita, a Bloch non resta che sostituirlo come Indagatore dell’Incubo per cercare di scoprire il modo di riportare in vita il suo ex-allievo.
La trama lineare creata da Mignacco è ben trasposta sulla carta dal segno inossidabile della coppia Montanari e Grassani; una storia drammatica, capace di appassionare il lettore, che eccelle proprio per la sua classicità, a dimostrazione della possibilità per gli autori, ad oltre trent’anni dal debutto del personaggio creato da Tiziano Sclavi, di realizzare ancora delle storie ben riuscite senza doverne per forza stravolgere le fondamenta.

Il 2017 di Federico Catena

L’anno che si è concluso ha visto la fine di uno dei più interessanti webcomics attualmente reperibili in rete, mi riferisco allo splendido To Be Continued di Lorenzo Ghetti.

Cover o titoli di testa?

Un caleidoscopio di idee innovative in grado di ripensare completamente il linguaggio del fumetto su supporto digitale. Lorenzo Ghetti con questo suo progetto è stato uno dei pochi autori ad aver avuto l’intelligenza e il coraggio di offrire al pubblico qualcosa di nuovo e innovativo.

Attualmente il “brand” To Be sta virando verso canali e soluzioni più canoniche e forse anche meno interessanti, per questo motivo la chiusura della serie originale va lodata e soprattutto ricordata come fulgido esempio di quanto ci sia ancora da sperimentare con i supporti digitali.

Il 2017 di Luca Cerutti
Il fantastico nel fantasy

Per il mio 2017 non c’è molto da dire. In un anno abbastanza scevro di sorprese nelle lande orientali del fumetto in cui mi aggiro di preferenza, è comunque comparsa una piccola gemma: The Ancient Magus Bride di Kore Yamazaki.

Nella recensione avevo sottolineato gli aspetti rilevanti di questo manga, aspetti che sono stati confermati per tutti i numeri pubblicati nel corso di questo anno e che si possono riassumere in un sentito e rispettoso recupero di quello che da sempre dovrebbe costituire il cuore del fantasy: il “sense of wonder”.

Apparentemente questo è stato sufficiente a portargli, in patria, sufficiente fortuna da essere trasposto in una serie animata che sta raccogliendo ulteriori recensioni positive nonostante (o forse “perché”) il panorama animato giapponese sembrasse ormai dominato dagli “isekai” (racconti fantasy che vedevano un “normale studente giapponese” trasportato in un mondo fantastico).

Rendiamo quindi merito al manga che ha rimesso il fantastico nel fantasy… e tolto i “normali studenti giapponesi”.

Il 2017 di Cristian Di Clemente
Atmosfere crepuscolari in Zagor

I racconti che hanno illuminato il mio 2017 a fumetti sono due.
Il primo è quanto di più lontano dalla luce si potrebbe immaginare, tanto la storia in questione è lugubre e decadente nei toni, anche grazie allo stile grafico scelto da Sergio Gerasi per illustrarla.
Eppure si tratta di una storia indiscutibilmente vitale, con un’intensità emotiva altissima. Sto parlando di Nemico Pubblico n.1, il nuovo capitolo annuale del Dylan Dog “alternativo” concepito da Alessandro Bilotta, le cui storie sono ambientate in un futuro prossimo distopico (“Il pianeta dei Morti”, il nuovo sottotitolo della prima collana fuoriserie del personaggio creato da Tiziano Sclavi), in cui i vivi e i morti “sopravvivono” fianco a fianco, con forti echi di contemporaneità.
Una visione dell’universo narrativo dell’indagatore dell’incubo sempre più raffinata, appagante e sorprendente, che nel racconto in questione dipinge uno Xabaras (il vero protagonista dell’albo) come non l’avevamo mai visto, e con uno splendido confronto finale tra Dylan Dog e la sua storica nemesi, entrambi dei “relitti”, in cui è difficile scegliere con chi schierarsi. Un albo grandioso, che chiunque abbia amato l’indagatore dell’incubo e ora lo legga solo occasionalmente (come è nel mio caso) non può proprio lasciarsi sfuggire.

Il secondo racconto riguarda Zagor, il cui momento più emozionante del 2017 per me sono state le 36 tavole di Brezza di Luna, un piccolo grande capolavoro che da solo meriterebbe l’acquisto dello sperimentale albo Maxi di settembre, I Racconti di Darkwood, che ha ospitato racconti brevi raccordati da una storia di stampo classico.
Sperimentazione è una parola che fa spesso a pugni con il pubblico zagoriano, dato che quest’ultimo è molto difficile da accontentare: una parte notevole di lettori (almeno a leggere i social) ritiene infatti che Zagor sia implicitamente terminato nel 1980 con Nolitta o non tollera un’interpretazione grafica che non ricalchi quella di Ferri (la cui longevità artistica, un “unicum” nel fumetto italiano, ha finito così per diventare, per certi aspetti, un “boomerang”).
In tale contesto, “Brezza di Luna” è una storia notevole, perché ha avuto il coraggio di sperimentare sia per gli aspetti grafici di “superficie”, sia per i contenuti, trattando un tema scabroso (un tempo tabù su Zagor) e adulto con crudezza ma anche con una delicatezza che incanta: è un racconto cupo illuminato da una luce di speranza universale, in cui l’odio e volontà di vendetta si trasformano in catarsi.
Complimenti, pertanto, a Moreno Burattini per il soggetto e a Lola Airaghi per la superba prova grafica ai disegni, con contrasti bianco/nero da incorniciare, di grande suggestione e intensità espressiva.

Il 2017 di Martina Galea

C’e spazio per tutti è un sogno. Non è facile che un fumetto faccia inumidire gli occhi, ma quando si toccano le corde dell’esplorazione, della scoperta, della crescita dell’umanità, di quel che c’è “oltre”… beh, allora diventa semplicissimo.

Ortolani prende il suo personaggio più noto e, con lo stile pungente e scanzonato che da sempre ha caratterizzato Rat-Man, lo spedisce sulla Stazione Spaziale Internazionale (ISS): un pretesto per far conoscere in 250 pagine quel che sta avvenendo lassù, e perché sta avvenendo. L’albo alterna momenti più didascalici e storici (ma sempre con molta ironia) ad altri in cui l’avventura di Rat-Man si sviluppa, perché “Quando c’è Rat-Man succedono delle cose… ma poi si risolvono!” (Nicolaj, capo del Centro di Comando sulla Terra).

Il “sogno” di cui è imbevuto l’albo è quello dell’immaginazione, dell’esplorazione, del “da grande voglio fare l’astronauta”: forse un pizzico retorico, ma raccontato con la maestria di cui Ortolani è totalmente padrone.

Presentato in anteprima a Lucca Comics & Games 2017, e realizzato da Panini Comics in collaborazione con Agenzia Spaziale Italiana (ASI) e Agenzia Spaziale Europea (ESA), “C’è spazio per tutti” è il volume del 2017 che più mi ha fatto viaggiare, e sognare, ed immaginare qualcosa di buono per il futuro. Non perdetevelo! 🙂

Il 2017 di Marco Gremignai
Color Zagor n° 5

Dovendo indicare un solo fumetto che mi abbia particolarmente colpito nel 2017, non ho alcun dubbio: L’antica maledizione, quinto numero della collana fuori serie a colori dedicata a Zagor, con testi di Jacopo Rauch e disegni di Ferri, Sedioli & Verni.
Beninteso, non si tratta di un albo memorabile: l’annata zagoriana è stata piena di albi e novità interessanti (la miniserie a colori Cico a spasso nel tempo di Faraci e il maxi sperimentale I racconti di Darkwood ) e lo stesso Rauch ha scritto storie migliori di questo “ritorno” del Dottor Metrevelic, storico comprimario dello Spirito con la Scure dai tempi di Zagor contro il vampiro. E quindi, perché questa scelta? Semplice: questo albo contiene le ultime tavole disegnate dal Maestro Gallieno Ferri prima della sua morte, tavole ancora validissime che costituiscono il suo canto del cigno e testimoniano una dedizione ultracinquantennale al personaggio che ha creato nel 1961 insieme a Sergio Bonelli/Guido Nolitta.

Per chi, come me, è cresciuto a pane e fumetti, Ferri ERA – anzi, È – Zagor e averlo potuto vedere per l’ultima volta all’opera è stato davvero emozionante.
Ma non devono mancare i complimenti a Sedioli e Verni, che completano degnamente l’ultimo lavoro del Maestro a partire da pagina 68.

Il 2017 di Pasquale Laricchia
Il numero 7 di Saga

Questo giugno la BAO Publishing ha pubblicato il settimo volume dei novelli Romeo e Giulietta creati da Brian K. Vaughan, e così anche i lettori italiani (l’editore originale è Image Comics) possono proseguire la lettura di Saga.

L’opera segue le (dis)avventure di Marko e Alana in un’opera che molto deve ai capisaldi del genere fantasy e sci-fy, tra tutti Star Wars e Nikopol.
Nonostante il plot risulti abbondantemente sfruttato, Vaughan descrive personaggi, mondi, viaggi e amori tanto naif quanto coinvolgenti. Ci si perde piacevolmente così nell’universo disegnato (splendidamente) da Fiona Staples e in questa ciclica saga, tra addii, morti, rincongiungimenti e colpi di scena.

La macchina messa su funziona egregiamente essenzialmente per tre fattori: personaggi, disegni e sceneggiatura.

Il soggetto di shakespeariana memoria vede Marko e Alana, soldati di fazioni e razze opposte e in guerra da secoli, innamorarsi e mettere al mondo una figlia per poi dover fuggire in quanto il loro amore, ed il frutto di questo, sono simbolo di una pace auspicata da molto ma cercata da pochi. Tutto ciò non è altro che mero pretesto per raccontare i personaggi e le loro evoluzioni.
Scopriamo quindi, con l’aiuto della (saggia/innocente) voce narrante di Hazel, il caratteraccio di Alana e la passione di Marko, cuore di una famiglia disfunzionale che, nonostante la fuga e la paura, non rinuncia ai capricci di una vita fatta di emozioni e disaccordi.
Con e/o contro di loro i comprimari: la baby sitter Izabel, i suoceri di Alana, Il Volere, il Principe Robot IV e Gwendolyn, tutti perfettamente delineati tanto da meritare capitoli individuali ed evoluzioni proprie.

Parte del fascino di questi è dovuto anche al tratto deciso e pulito di Fiona Staples che cerca il “bello” in ogni curva, in ogni spigolo. La sua linea non manca mai di essere piacevole anche nel mostro più orrendo o nello sguardo più feroce per quanto talvolta, in alcune scene più movimentate, tradisca una sorta di bidimensionalità.

Senza cedere al buonismo o caricarsi di retorica Vaughan racconta con dialoghi realistici ed efficaci in maniera furba e politically incorrect non solo la violenza della guerra incalzata a retta da interessi politici attraverso l’amore ostracizzato di due giovani, ma anche, sesso, xenofobia, tradimenti, paura, amori sui generis, crossdressing e droga. Il tutto, come detto, con un linguaggio schietto e reale, con evoluzioni di volta in volta inattese.
Anche se, dopo sette volumi, sembra ci si sia incastrati in un vortice di eventi che si ripetono sempre col medesimo canovaccio con il timore di rimanere incastrati in un cul de sac. La speranza è che il redde rationem arrivi prima che il meccanismo si inceppi

Il 2017 di Oscar Tamburis
Cover di Providence

Il 2017 della Bao ha visto tra le altre cose la pubblicazione del terzo ed ultimo volume di Providence di Alan Moore, rilettura omnia dell’immaginario lovecraftiano da parte del bardo di Northampton.
È quasi scontato dire anche a queste coordinate quanto sia estremamente arduo descrivere quest’opera, per la complessità intrinseca e la molteplicità dei livelli di lettura (è ormai tradizione trovare in rete schiere di appassionati che letteralmente dissezionano le opere principali di Moore, commentandole vignetta per vignetta!); si può solamente dire come Moore abbia con questo portato a compimento la sua circa decennale analisi di Lovecraft e del suo lavoro che – caso unico nella letteratura in pratica di ogni tempo – ha influenzato tutte le generazioni successive attraverso una continua espansione del pur già infinito universo partorito (ma sarà poi davvero così?) dalla mente del “solitario di Providence”.
L’opera raccolta in 3 volumi dalla Bao chiude e riapre in un magistrale loop le vicende iniziate con “Il cortile” e continuate con “Neonomicon”: inutile dire che tutti i tasselli disseminati lungo questo non semplice percorso vanno al loro posto, contribuendo a creare un affresco di proporzioni immani che (se proprio gli si volesse trovare un neo) richiede inevitabilmente una profonda conoscenza delle opere tanto di Lovecraft quanto dei suoi epigoni fino ai giorni nostri.
Molti paragonano “Providence” a “Watchmen”, probabilmente a ragione. Personalmente, propendo per una incommensurabilità tra le due opere, quasi ad indicare che, seppur l’opera di un genio riesce a toccare più di una volta la soglia dell’infinito, ogni singolo “tocco” non può essere paragonato agli altri, proprio per la natura intrinseca del fenomeno.
Tra le valide ragioni per cui “Providence” merita di essere apprezzato ci sono ovviamente anche i disegni di Jacen Burrows, che ha curato la resa per immagini di tutte le opere lovecraftiane citate, attraverso un profondo e coerente sforzo di visualizzazione di orrori cosmici e dei loro effetti sul precario equilibrio mentale della mente umana.
“Providence” è con ogni probabilità il più completo saggio sulla vita e le opere di Lovecraft, indipendentemente dal mezzo letterario attraverso cui i suoi contenuti sono espressi: un viaggio che ne contiene molti altri e richiede attenzione e dedizione per essere fruito nella maniera migliore. Se ci fosse bisogno di un ulteriore motivo per giustificare il perché sia giusto parlare di fumetti come di “letteratura disegnata”, “Providence” costituirebbe con ogni probabilità quel motivo.

La Redazione

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