Dylan Dog n.462
“Opera al nero”

La recensione del Dylan Dog di Sveva Simeone e Franco Saudelli

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3/10

Sveva Simeone fa il suo esordio sulle pagine di Dylan Dog e porta in scena, con la collaborazione di Claudio Lanzoni, le atmosfere care a Dario Argento. Perlomeno questo era l’intento: il risultato è purtroppo un albo maldestro che non riesce ad essere né horror, né grottesco e, figurarsi, neppure un giallo.

C’è una sinfonia maledetta, ci sono delle morti violente, c’è un assassino misterioso, c’è la bella cliente di turno e ci sono Dylan Dog e Groucho.

Dylan è fortemente centrale in quanto accade nella storia (cosa buona, purtroppo l’unica), ma vaga in maniera confusa di situazione in situazione con un atteggiamento smaccato, sarcastico e talvolta anche ingiustificatamente esaltato. Una gestione leggermente sopra le righe amplificata da dialoghi eccessivamente prolissi – spesso superflui – che, caricati di questa ironia / farsa che permane per tutto il tempo, non lo rendono mai credibile.

A dare ancora più fastidio è l’uso di Groucho. Questo personaggio è davvero difficile da gestire, lo sappiamo: quindi, usarlo come una mitragliatrice senza averne cognizione, provoca disastri. Disastri come questo.

I momenti Dylan / Groucho avrebbero dovuto essere potenzialmente dirimenti, metronomi del mood del racconto, ma qui falliscono completamente, ed è un effetto a catena.

Ne consegue infatti una spiazzante de-escalation con la questione della sinfonia maledetta, che prende quasi subito una deriva ai limiti della farsa. Le morti violente, che sono poco violente, non sono valorizzate dal tratto sempre più pulito ed essenziale di Franco Saudelli. Infine la bella cliente di turno ci regala una scena di sesso totalmente gratuita, senza alcuna motivazione minimamente congrua con quanto sta accadendo nella storia. In mezzo c’è un giallo abbastanza farraginoso e fintamente contorto, inutile da seguire. Del tutto assenti l’horror, l’angoscia e il mistero di argentiana memoria.

C’è purtroppo davvero poco da salvare in questo albo. Le agognate atmosfere argentiane sono solo sullo sfondo e, quando percepibili, malamente evocate. La storia non ha alcun mordente, i personaggi secondari sono monodimensionali, il finale è del tutto randomico e l’aspetto predominante, quello grottesco / ironico è, come detto, un disastro.
Davvero tutto troppo maldestro per essere anche solo minimamente digeribile.

VOTO
0

Pasquale Laricchia

Cominciai a correre. Finché i muscoli non mi bruciarono e le vene non pomparono acido da batteria. Poi continuai a correre.

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