Tra gli esperimenti più interessanti proposti sulle pagine dell’Indagatore dell’Incubo negli ultimi anni, vi è la serie di storie costruite da Rita Porretto e Silvia Mericone sugli Old Boy che ruotano attorno al fantasma di Cora. Con il Dylan Dog Old Boy n.28 e il capitolo Fino all’ultimo respiro, i racconti di questa saga diventano quattro: tutti sceneggiati dalle due autrici e tutti disegnati da Valerio Piccioni e Maurizio Di Vincenzo.
Attenzione, quanto segue contiene spoiler.
Il lago nero
Tutto ha inizio nel 2016 con il Maxi Dylan Dog Old Boy n.26 e la storia Il lago nero.
È la prima storia lunga di Dylan Dog delle due autrici, che sorprendono con un racconto che nasce – all’apparenza – da un canovaccio abbastanza canonico (sia per il genere che per l’Indagatore dell’Incubo) ma che, riprendendo il mito de La Llorona, viene amplificato e completato con una narrazione che migliora quegli aspetti del loro raccontare già presenti nel precedente La camera chiusa, Dylan Dog Color Fest n.6.
Ancora una volta, quindi, uno spunto narrativo minimale funge da base per una sfilata di situazioni più o meno surreali che minano l’equilibrio della protagonista e del nostro eroe. Ancora una volta, ritroviamo un certo retrogusto sclaviano e un sottotesto metaforico-sociologico interessante (anche se, in questa occasione, meno gridato e più intelligentemente misurato). Ancora una volta, soprattutto, il finale diviene dirimente per definire l’opera e, in questa occasione – a differenza della precedente – il finale funziona bene.
Il plot di base, come anticipato, è un misto di citazioni e situazioni abusate (Dark Water, Il giro di vite e tanti altri) con Ellie – una madre che decide di trasferirsi con la figlia Greta in una località isolata – che, preoccupata per il comportamento della figlia che ha sviluppato un’amica immaginaria nella nuova casa, si rivolge a Dylan Dog per investigare. Man mano che la narrazione prosegue, però, complici le continue commistioni di genere e influenze, il racconto inizia a cambiare direzione trascinando nei meandri del dolore e del male sia Dylan Dog sia il lettore. Una costruzione, come detto, ancora una volta sclaviana del racconto: non a caso il riferimento delle autrici è proprio l’Indagatore dell’Incubo dei primi anni Ottanta e la sua tendenza a scardinare il torbido presente nei meandri dell’animo umano.
Man mano che Dylan inizia a far luce sulla storia del fantasma che assilla la piccola Greta, vengono fuori sfumature di incubi sempre più profondi. Il fantasma, Cora, è infatti sia vittima che carnefice, e le prospettive del male che le due autrici scelgono di narrare colgono di sorpresa tanto Dylan quanto il lettore.
Il finale, durissimo, non è quindi un semplice colpo di scena ad effetto, utile a chiudere un contro-twist abbastanza audace, ma una scelta ponderata e in linea con l’evolversi della narrazione che – nonostante un’eccessiva prolissità in molti passaggi e un leggero effetto ridondande in altri – tiene bene sia il ritmo che l’ambientazione.
Cuore cattivo
Il fantasma di Cora, la morte delle sue figlie e, adesso, anche la morte di Greta (con conseguente senso di colpa di Dylan), sono il fardello che le due autrici devono evolvere in questo sequel de Il lago nero.
Sempre coadiuvate dalle matite di Valerio Piccioni e dai pennelli di Maurizio Di Vincenzo, in questo caso Rita Porretto e Silvia Mericone raccontano le derive del male del primo racconto, mettendo in scena una spirale di violenza e orrore più diretti e immediati del precedente capitolo.
Questo secondo racconto è a conti fatti meno filosofico e più crudo, più reale nelle forme di orrore narrate e meno coinvolgente sul piano emotivo. Eppure, soprattutto grazie allo spessore dato al personaggio di Dylan Dog (ancora una volta ben sfruttato e valorizzato), le due autrici riescono, anche in questa occasione, a centrare l’obiettivo.
Non solo: Rita Porretto e Silvia Mericone riescono qui anche a riprendere e proseguire la loro personale saga sulla prospettiva del male. Bissare l’ottimo risultato della precedente storia era impresa ardua.
Il rischio di annacquare e spogliare il fantasma di Cora della sua aurea di mistero e dolore era più che concreto. Il cambio netto di prospettiva e di rotta di questo racconto invece riesce, furbescamente, sia a mettere in salvo il fascino di Cora sia a produrre un qualcosa di diverso pur conservando il medesimo mood.
Le pareti del cervello
Con il terzo capitolo del ciclo di Cora, tutti i tasselli finiscono al loro posto e la composizione del quadro finalmente prende forma. Questa volta la strada scelta dalle due autrici è quella più impervia e rischiosa: la vivida allucinazione del sogno e il suo confondersi nel tempo e nello spazio. È un vortice forsennato e senza appigli quello in cui Rita Porretto e Silvia Mericone scaraventano questa volta Dylan Dog.
Dopo la morte di un’altra ragazzina, Dylan rivede il modus operandi di Cora e, ancora carico di sensi di colpa, sceglie di andare più a fondo, fino alle profonde origini del male.
Ed ecco che – in una manciata di pagine – ci ritroviamo di fronte a psicodrammi familiari, all’archetipo della Madre Terribile e a tutta una serie di derive narrative sulle colpe genitoriali e non solo. Quello che non fa storcere (troppo) il naso di fronte a questo racconto – e a questo abbondare di tematiche – è la sensibilità delle due autrici che riescono, coadiuvate dagli onirici disegni di Valerio Piccioni e Maurizio Di Vincenzo, a misurare anche abbastanza bene la metafora brutale della condizione umana.
Certo, Rita Porretto e Silvia Mericone riusciranno a fare ancora meglio e a narrare tutto questo orrore senza alcun effetto speciale nel loro Dylan Dog n.443 Gli indifferenti, ma già qui si nota una buona sensibilità e una profonda passione sia per le tematiche più sociali, sia per il personaggio Dylan Dog.
La forza di questo racconto deve molto al fascino del fantasma di Cora che le due autrici hanno saputo costruire, con intelligenza, racconto dopo racconto. La curiosità e la necessità di svelare in toto la genesi del villain fa perdonare, quindi, anche qualche eccessiva divagazione metafisica. Vi è di contro una costruzione molto caotica del racconto ma perlomeno, anche in questo caso, una fedeltà inattaccabile al personaggio.
Una trilogia non ancora conclusa
Come anticipato in apertura, la saga di Cora non si è ancora conclusa. Nonostante questi tre racconti abbiano svelato e ben raccontato quanta complessità e dolore possa esserci nelle sfumature del male di Cora e della sua famiglia, con il Dylan Dog Old Boy n.28 e il capitolo Fino all’ultimo respiro un nuovo tassello si aggiunge alla saga.
Probabilmente, visto il peso del villain, questa saga avrà modo di proseguire con altri episodi. Quali altre sfumature del male verranno sviscerate non ci è dato sapere: quel che è certo è che l’audacia e la passione di Rita Porretto e Silvia Mericone hanno prodotto un affascinante ciclo narrativo che ha saputo ritagliarsi, con merito, la sua porzione d’interesse all’interno del panorama dylaniato.