Come raccontare l’uomo e l’opera che crea? Per farlo, Nicolas Barral – alla sua seconda prova autoriale – torna nella Lisbona di cui aveva narrato nella pacata ribellione di un uomo qualunque, omaggio al Pereira di Tabucchi, la decrepitezza della dittatura salazarista (Sur un air de fado, non tradotto), scegliendo gli ultimi tre giorni della vita di Pessoa.
Giorni ordinari per il poeta che, consapevole della morte imminente, letteralmente uccide gli eteronimi ai quali ha dato voce rinchiudendo gli scritti in una cassa «come un padre si stacca dal figlio», e straordinari per Cerdeira, giornalista-apprendista scrittore che deve stendere il necrologio e che rincorrendo il passato di Pessoa scopre non solo la sua vocazione, ma la vita e con essa quella di Barral stesso.
Facile, infatti, cogliere tratti biografici nelle parole che Barral mette in bocca alla futura moglie di Cerdeira: «Compresi che la realtà poteva ingannare, e che il disegno sarebbe diventato allora una chiave di comprensione del mondo».
Barral disegna la poesia come la racconta: nell’inchiostro nel quale si scorge la lentezza del gesto, nella tavola magistrale in cui, in nove vignette, il volto di Pessoa da bambino si fa adulto seguendo i pensieri che il poeta confida alla sorella, nel libro dal titolo inequivocabile, Messaggio, che come una premonizione fa capolino pagina dopo pagina… Nell’esigenza che l’apparente semplicità del tratto e del racconto chiede al lettore per restituire il senso di una vita dedita al potere delle parole e forse, in realtà, non alla poesia ma alle nuvolette che questa porta.