L’idea di una guerra al Canada è stata narrata forse solo in South Park con, quindi (e ovviamente), il canonico piglio dissacrante ed ironico della serie di Trey Parker e Matt Stone.
Il Canada è stato da sempre terra di accoglienza e isola felice per i più noti ed efficaci racconti distopici: di conseguenza, la scelta di Brian K. Vaughan di raccontare una guerra tra USA e Canada risulta ancora più sorprendente ed efficace.
Invero un piano USA per un’eventuale invasione del Canada, il War Plan Red, esiste dal 1930. Ma seppur gli scenari innevati possano rendere declinabile questa ambientazione in altre latitudini (ad esempio, la Russia), la forza della scelta del Canada diviene pretesto per radicalizzare la già di per sé illogica follia della guerra.
Quanto narrato nell’opera è da manuale: non tanto per la mise en place ucronica, di cui Brian K. Vaughan è esperto (viste le distopie fantascientifiche già messe in scena in Y-The last man), ma proprio per la schiettezza brutale con cui l’autore riesce a mostrare l’inusitata tendenza alla violenza e alla sopraffazione tipica dell’imperialismo americano.
In un breve racconto di guerra, le vite e la tenacia di un manipolo di ribelli e della giovane Amber, novella Jyn Erso, mettono in luce la pochezza e lo squallore di chi sceglie di perpetuare la violenza e la guerra.
Ne viene fuori un grido pacifista e una necessità di lottare per la propria libertà. Si badi bene, non di morire per la propria patria ma di sperare e credere che la guerra non sia una soluzione.
Non c’è rappresaglia in quest’opera di Vaughan, bensì la strenua resistenza e la necessità di ricacciare l’arroganza e la violenza degli aggressori. La convinzione che la guerra e la violenza generino solo odio.
Epica, intensa, superficiale, manicheista, banale, frenetica, efficace.
Quel che si vuole.
Quel che rimane è comunque un bel racconto, godibile ed emozionante da leggere, che annienta l’imperialismo americano e la logica della guerra.
Un racconto perfettamente amplificato dal lavoro eccelso di Steve Skroce che qui estremizza e fa suo l’esempio di Geof Darrow, esaltando il pathos della storia col suo tratto visivamente denso e crudo.