Lucca C&G 2022 – John Romita Jr.

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Se c’è una cosa che gli autori di Comics Made in USA hanno capito prima di tutti i loro colleghi è che, di questo ristretto mondo, loro sono le SUPERSTAR.

John Romita Junior, con i suoi 66 anni all’anagrafe e gli oltre 40 anni suonati ai vertici del settore, dimostra di comprendere benissimo questa qualità e domina l’incontro con la stampa con la facilità dello showman consumato fin dalle prime battute con cui si ingrazia il pubblico ricordando le sue, orgogliosamente esibite, origini italiane scolpite nel suo secondo nome: Salvatore.

L’artbook dedicato a JRJR in uscita per LC&G2022

Certo, poi per tutto l’incontro ci sarà bisogno della traduzione (bisogno? la quasi totalità dei presenti capiva e parlava decentemente l’inglese e la dizione dell’autore era ineccepibile) a causa della volontà, dirà Romita, del nonno che pretese che le giovani generazioni fossero americane fino al midollo. La storia vuole che quando il nonno di Romita ottenne la cittadinanza americana ordinò a tutta la famiglia di smettere di parlare italiano. E lui che aveva 6 mesi, non l’ha mai imparato. Il rammarico espresso con gigionesca simpatia compensa il disagio.

L’edizione in cover variant per festeggiare il ritorno a Lucca di John Romita Jr.

Scaldato il pubblico si entra nel vivo dell’incontro ed il personaggio di cui è inevitabile parlare è Spider-Man, di cui gli intervistatori vogliono sapere quale sia la sua interpretazione. E Romita Jr. introduce immediatamente quello che sarà il leitmotiv della chiacchierata: Spidey deve essere innanzitutto un personaggio reale, perché per lui ERA un personaggio reale quando era giovane, era come un fratello.
Quando suo padre – il celebre John Romita Sr., inutile specificarlo – li portava a passeggio per New York gli indicava il palazzo dove Peter Parker abitava, a poca distanza da casa loro. Era una persona di famiglia ed era innanzitutto una persona con difetti ed imperfezioni che faceva errori.
Questa era stata l’intuizione di Stan Lee che lo aveva voluto come antitesi della perfezione per antonomasia: Superman.
Romita si concede di ricordare come, quando da ragazzo faceva una corbelleria, sua madre lo sgridava e suo padre disegnava il fatto. A questo ricordo poi si associa quello che era il consiglio di Stan Lee: “Quando hai un giusto equilibrio – balance in inglese – tra reale e fantastico, hai una storia!”.

Punisher War Zone

Vista l’introduzione accattivante, inevitabilmente il pubblico chiede cosa ci sia di italiano in Spidey e la risposta è immediata: “le persone, gli altri”. Secondo John “Salvatore” ogni singolo astante, ogni singola comparsa che ha introdotto nei suoi comics è la controparte di una persona reale, soprattutto di abitanti, amici e persino parenti di Brooklyn.
Negozi di amici sono stati distrutti nelle zuffe tra Spider-Man e l’antagonista di turno e ad altri è toccato un destino persino migliore. Il riferimento è ad un amico: Antony Cirino, un pugile aitante con i segni dei combattimenti sul volto – indica il naso schiacciato – che è stato il modello per Il Punitore da lui reinterpretato. Perché, appunto, un personaggio come Il Punitore non poteva non portare sul viso i segni del combattente.
È per questo, insiste l’autore, che Spider-Man è reale: perché sono reali le persone che lo circondano.

La domanda conseguente è quanto gli eventi storici condizionino i suoi fumetti, a partire dalla sua interpretazione della tragedia dell’11 Settembre.
Nonostante il peso della domanda l’intervistato è capace di alleggerire e ribadire: tutto quello che è reale deve entrare nel suo mondo fantastico, una tragedia globale come la perdita di una persona cara.
Come persino due soggetti: Smuggy  (presumibilmente da “Smug”: arrogante, fanfarone) e Bimbo che erano nei racconti che gli adulti facevano a lui ragazzino, due individui che non erano stati esattamente stinchi di santo ma che a loro modo protessero l’isolato dove la famiglia viveva ed ebbero a cuore i problemi degli abitanti. Di nuovo: personaggi più che adatti a finire trasposti nella sua narrazione.

Il segnale che, anche nell’intervista vuole tenere una giusta misura tra “pesante” e “leggero” viene recepito chiaramente e la domanda successiva verte su “cosa farai in futuro?”. La risposta non sorprende, al suo ritiro JRJr. vede per sé la tranquilla vita del pittore dilettante, dice lui in omaggio a suo padre che era un grande artista che faceva il fumettista. Lui si vede al contrario: un fumettista che ad un certo punto della vita, finita l’epoca delle deadline, vorrebbe dedicarsi all’arte.

Hell’s Kitchen, Manhattan NY, dalla 1ª tavola di Daredevil The Man Without Fear

Il collegamento con Daredevil sembra quindi quasi orchestrato, la domanda successiva è su The Man Without Fear, uno dei capolavori di Romita Jr. che lui stesso, estremamente critico sulle sue opere, ha sempre portato in palmo di mano.
La spiegazione è sia nell’affetto personale per il personaggio che segnò l’esordio del padre ed è, ovviamente, newyorkese come la sua famiglia, sia nelle collaborazioni che lo resero possibile.
Romita ricorda come Frank Miller gli diede sostanzialmente carta bianca e gli permise di creare qualcosa di grandioso e poi, scherza:
“Art Williamson arrivò e mise tutto a posto. Mio padre arrivava e metteva tutto a posto. Art arriva e mette le cose a posto… ma poi IO sono il grande artista!”
(Art Williamson è stato l’inchiostratore di “The Man Without Fear”, testi di Frank Miller e matite di John Romita Jr., storia pubblicata per la prima volta in USA in 5 numeri su Marvel Comics da ottobre 1993 a febbraio 1994, in Italia per la prima volta su Marvel Magazine #1 di luglio 1994)

Critico severissimo di sé stesso, come si diceva.

Si ritorna all’attualità con una domanda sull’attuale New York ed il processo di gentrificazione dei quartieri iconici delle sue opere – principalmente Brooklyn – e la risposta è, per un attimo, poco ammantata di diplomazia. Nell’opinione del newyorkese con pedigree come è lui, nessun newyorkese può essere contento di come è ora la città: nelle sue parole è la città ideale per i supereroi, data la quantità di criminali.
Per Romita la situazione è talmente degradata che i poliziotti, i pompieri, le persone che proteggono i cittadini, svolgono un lavoro da supereroi.

Superman: Anno Uno

Critico anche l’argomento successivo che ricorda lo shock che fu il passaggio del “Marvel Boy” per eccellenza alla DC. Su questa domanda invece l’autore non si espone ma inscena un breve sketch in cui interpreta la persona sconvolta scusandosi perché lo shock fu appunto tale da causargli amnesia sulle circostanze e gli eventi.

Si alleggerisce di nuovo chiedendo se gli piacerebbe lavorare su personaggi italiani. La risposta è diplomatica ma non suona falsa: il principale problema che vede è la lingua, l’adattamento se vogliamo dirla in altro modo. Risolto quello gli piacerebbe.
Conseguentemente viene chiesto su quali personaggi, del mondo dei comics, vorrebbe lavorare e, ovviamente, ci sono personaggi che non ha ancora mai interpretato ma, come spesso accade in questi casi, quali siano è coperto da “segreto professionale”. In ogni caso ci sarebbero sempre personaggi costituiti su persone che ha realmente conosciuto, in un giusto equilibrio tra fantasia e realtà. Come con Smuggy e Bimbo.

Caos al Coffee Bean!

Il debutto di John Romita Jr. è avvenuto con “Caos al Coffee Bean” (Chaos At the Coffee Bean! su Amazing Spider-Man Annual vol 1 #11 di settembre 1977), una breve storia di sole sei pagine che vedeva Mary Jane e Peter avere un appuntamento alla caffetteria dell’università. Anche in questo caso era una situazione di assoluta quotidianità, con persone reali. E il personaggio di Mary Jane che Romita ha ritratto è stato più volte ispirato dalle mogli di amici e da vicende vere da cui ha tratto ispirazione per rappresentarla. Nelle storie attuali, invece, MJ e Peter sono distanti e quindi è più difficile dargli qualcosa da fare.

A domande sul rapporto tra i comics e la politica sottolinea come ci debba sempre essere indipendenza ed equilibrio tra l’uno e l’altro, così come la spinosa questione sulla marginalizzazione. In Marvel, nei comics, non hanno mai marginalizzato nessuno e John è il primo a sostenerlo, sia per le sue origini, sia – lo dice scherzando – perché è un capitalista: sarebbe controproducente allontanare una fetta di lettori dai propri prodotti.
Chiaramente è una domanda difficile che non implica solo la marginalizzazione ma anche la qualità dei prodotti, cercare di compiacere tutti può affossare la narrazione, e lui prova a parlarne con gli attuali scrittori, tutti più giovani di lui, per comprendere anche il loro punto di vista.
Come cambierà Spider-Man in un mondo che cambia? Gli autori cercano continuamente di tenerlo aggiornato ma non è facile in una realtà così ampia e diversificata per quello che è un business internazionale: si rischia sempre di inimicarsi qualcuno. È necessario attuare una strategia di mediazione.

Riporta un esempio personale: lui si è sempre rifiutato di disegnare storie in cui i bad guys, i villains del momento avessero cognomi italiani. Lo trova irrispettoso e, anche se quello di usare mafiosi era uno stereotipo consolidato in certi anni, si è sempre opposto e ne ha parlato con gli autori delle storie. Come controargomentazione ricorda che quando da Brooklyn passò al quartiere del Queens, a prevalente presenza afroamericana, ebbe conferma che anche lì esistevano dinamiche criminali non differenti da quelle che aveva conosciuto tra italiani ma in quegli anni la sensibilità dei media era cambiata ed applicare lo stereotipo criminale a persone di colore era certo già meno facile che applicarlo agli italiani.

In passato c’era maggiore libertà, ora è una sfida perché ci sono tantissimi input che provengono da tutte le parti. Però l’importante è sempre la qualità e dal suo punto di vista realtà e fantasia in un giusto equilibrio funzionano sempre.

Come scherzo chiediamo se aiuti l’immedesimazione il fatto che Peter Parker lavori per i Mass Media e Spider-Man abbia un rapporto tremendo con i media, che portano alla grande massa del pubblico una informazione parziale o palesemente distorta delle sue gesta, ora che gli autori, che lavorano con i Mass Media, sono diventati personaggi mediatici esposti alla valutazione parziale o palesemente distorta dei Social.
La domanda è probabilmente troppo convoluta e Romita preferisce concentrarsi sul ribadire che è fondamentale tenere l’equilibrio anche nel mettere il proprio vissuto nei personaggi. Ogni persona ha il suo punto di vista e la sua versione e questa va sempre valutata come tale. Cita l’esempio di una rissa in cui venne coinvolto da ragazzo, e da cui uscì vincitore con i suoi compagni, e di come ovviamente abbia percepito la sua fazione come “i buoni”. Non così fortunato fu un amico che in una situazione analoga venne ferito e sicuramente avrà vissuto la faccenda come molto meno eroica.

Se è mai passato a lavorare in digitale? No, lui è della vecchia scuola: inchiostro, matite, gomma… molta gomma! Sicuramente un giorno i fumetti non saranno più realizzati così e solo in digitale ma probabilmente per quel giorno lui non ci sarà più. Però una cosa sa: in caso di black-out a lui basta una candela e può continuare a lavorare e a non bucare le scadenze. Lui riuscirebbe a lavorare, gli altri no!

Come si trova a lavorare con ambientazioni più fantasy? John riconosce in questo una limitazione, proprio perché ha guardato più alla realtà che ad altro e in casi come questi si appoggerebbe a predecessori come suo padre o a Jack Kirky. Per esempio il suo Superman normalizzato nella storia “Senza Poteri” (“Powerless”), in cui mostrava il kryptoniano in situazioni reali come quando non regge l’alcool, non piacque.

Alla fine dell’incontro con John Romita Jr., due parole rimangono impresse agli spettatori e costituiscono un po’ la filosofia che da sempre lo accompagna: balance e reality.

Luca Cerutti

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