Non stiamo parlando di un gioiello di originalità, meglio che lo premetto.

Act-Age di Tatsuya Matsuki (sceneggiatore) e Shiro Usazaki (disegnatore), nel raccontare l’esordio nel mondo dello spettacolo della talentuosa Kei Yonagi, liceale, orfana e “sorella madre” di due vispi gemelli, alla fine riprende un canovaccio consolidato dei manga per adolescenti: l’arrivo del “prodigio naturale” in un mondo dominato da regole codificate, adulti divisi tra avversari e complici, concorrenti futuri amici e, ovviamente, IL rivale.
Frequente nel manga sportivo per ragazzi e ragazze, quasi detentore di monopolio assoluto nelle opere a tema mondo dello spettacolo, principalmente destinate alle ragazze, questa struttura è rispettata quasi alla lettera in questo manga.
La protagonista è buona e virtuosa ma, un po’ per lo shock di aver perso i genitori (padre fuggito, madre deceduta), un po’ per il dover sacrificare molta parte della vita di una normale studentessa ai doveri di “madre di fatto” dei fratellini e molto per un carattere che è, ovviamente, altra faccia della medaglia del suo talento, è anche in gran parte priva del “senso comune” che ti aspetteresti da una adolescente.

Questa sua “unicità” di carattere e talento la fa immediatamente notare a Sumiji Kuroyama, regista anticonformista e tollerato nel mondo dello spettacolo giapponese solo perchè il suo talento lo ha imposto all’attenzione internazionale e, chiaramente, ossessionato da un’opera per cui i “banali” attori prodotti dallo star system non bastano. A contrapporsi a Kuroyama, Arisa Hoshi, ex-attrice, direttrice della maggiore agenzia di scouting e fermamente intenzionata ad evitare che lo star system venga sconvolto, ed a sua volta sconvolga indirizzandoli all’autodistruzione, da talenti incontrollabili come fu lei in passato. Infine incontrovertibilmente opposta persino nell’aspetto fisico, stella apparentemente inarrivabile, prodigio perfetto costruito a tavolino quasi quanto l’Ivan Drago di Rockyana memoria, Chiyoko Momoshiro “L’Angelo” dell’agenzia Star di Hoshi.
Come detto: una struttura che si è già vista con allenatori borderline che oppongono talenti raccattati praticamente dalla strada a prodigi formati scientificamente da altri allenatori di successo, si tratti di pallavolo, tennis, baseball, moda, teatro o ballo.

In tutto questo anche il tratto di disegno è abbastanza adagiato su canoni normali: siamo nell’ambito del moderno shojo, meno lezioso di quello “classico” in grande spolvero qualche decennio fa, più spigoloso e contrastato, ma comunque tendente all’impalpabile ed all’etereo, con sfondi spesso trascurati, occhi scintillanti e tratti che vengono quasi elisi se non necessari, come le corporature che se non in primo piano (scenicamente o narrativamente) vengono quasi abbozzate di malavoglia.
Non si può poi fare a meno di notare che, anche nella gestione del proscenio, a volte il disegnatore pecca di inesperienza con errori anatomici anche gravi o campiture incomplete.
Insomma, verrebbe da pensare al manga dimenticabile.
Eppure ammetto che questo primo volume mi ha divertito: un po’ come la sua protagonista, Act-Age è per molti versi grezzo, mal rifinito, eppure mostra una grande volontà di divertire ed appassionare ed è probabilmente questo che ha incoraggiato, in Giappone, la risposta del pubblico.
Vedremo se replicherà in Italia.