So Far So West: Spaghetti Manga

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Titolo che, a dirla tutta, porterebbe un pochetto sfiga visto che i “non giovanissimi” come il sottoscritto si ricorderanno il tentativo (fallimentare) della Comic Art di saltare sul carro dei manga a fine anni ’90 dopo esserne stata, usando un eufemismo, “non entusiasta sostenitrice”.
Proponendo opere di esordienti italiani che si cimentavano con lo stile d’oriente, la casa editrice ebbe proprio a definire questa sua nuova impresa “Spaghetti Manga”.

Purtroppo la pasta era scotta ed il sugo annacquato.

Pasta al dente

Non la stessa cosa devo dire di So Far So West, opera di Luciano Damiano pubblicata da Shockdom che è “Spaghetti Manga” non solo per la provenienza ma anche per l’ambientazione che cala nel Wild West quella che si presenta da subito come una classica storia shonen-action, densa di scene di azione e personaggi che sfidano (o sovraccaricano) i proiettili delle “sei colpi” con abilità sovrumane. E tanti one-liner.

Non dico la stessa cosa, anzi mi sento di complimentarmi con l’autore italiano in quanto contrariamente ai predecessori di ormai 20 (e passa) anni fa e a molti suoi contemporanei, dalle pagine di questo primo volume emerge quella cosa decisamente rara che si chiama “stile personale”. Certo l’influenza manga è evidente, si colgono i più svariati echi, dalle fisicità massicce, gli occhi aquilini ed i menti squadrati di Hirohiko Araki (JoJo), allo stile semplificato, quasi graffittaro di Atsushi Ohkubo, ma in nessun momento si ha quella fastidiosa impressione di “carta copiativa” che spesso si coglie nelle opere degli esordienti anche più volenterosi.
Le scene ed i personaggi sono costruiti per essere “funzionali” e non per “rendere omaggio”. La cosa, va da sè, funziona: le scene d’azione rendono bene la potenza dei combattenti impegnati e personaggi che non si connotano per la loro forza ma per il loro “controllo” (fosse anche un po’ fuori dal mondo) hanno modo e spazio per gestire i loro dialoghi.

Ulteriore prova di una certa esperienza la soluzione che l’autore adotta per risolvere un problema non da poco. Quello che rende possibile “copiare” il manga ad altre latitudini ma difficile, se non impossibile, replicarlo è un dato di una banalità sconfortante: mancano gli strumenti. In patria, forti di un mercato ormai strutturato su migliaia di professionisti, i mangaka possono contare su ampia reperibilità a prezzi accettabili dei più svariati e fantasiosi tipi di retini: da quelli per i mezzi toni fino a pellicole che permettono di ricalcare intere scenografie.
Fuori dal Giappone questa reperibilità la si può ottenere solo a prezzi esorbitanti.

Niente dice: “Western” come un’estrazione rapida

Damiano risolve la cosa con un espediente banale solo in apparenza: investe tutto sui mezzi toni, probabilmente pantone, inchiostri diluiti e correzioni digitali. La linearità di personaggi e sfondi è funzionale a dare spazio a queste campiture, non sempre facili da amministrare.

Tutto commendabile, dunque?

Purtroppo no, qualche magagna la si trova.

Fa innanzitutto sorridere che un autore italiano si senta in dovere di rispettare due delle più deteriori (parere personale… ma fino ad un certo punto) imposizioni comminate dal fumetto giapponese ai lettori occidentali: la lettura da destra a sinistra e, ancora peggio, le onomatopee in katakana non traslitterate ma “sottotitolate”. Quest’ultima una delle soluzioni grafiche peggiori mai introdotte nella storia del fumetto.
Ma il principale difetto di questo primo volume è, purtroppo, che al termine di un numero decisamente consistente di pagine il lettore si rende conto di aver letto nient’altro che un prologo. Nella foga di mettere dentro personaggi, anche interessanti per carità, l’autore si è dimenticato di indicarci un protagonista. Ci ha fornito dei comprimari, sicuramente, un probabile antagonista epico ed uno che presentandosi come “intermedio” potrebbe diventare una presenza costante, sempre meno minaccioso e sempre più “recurring joke” come Bagi il Clown di One Piece.

Niente dice “Shonen” come un cazzottone sparigliafaccia

Ma nessun protagonista. Una idea teoricamente di impatto ma che, come già spiegavano i personaggi di Otaku Club Genshiken, se non gestita con padronanza confonde solo le idee e lascia il lettore deluso.

Luca Cerutti

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