L’eros cerebrale e celebrato, sofisticato e para-aforistico, della Valentina di Guido Crepax non ha certo bisogno di presentazioni. Viene quindi da approcciarsi con guardinga curiosità all’omaggio / rielaborazione che ne dà oggi Sergio Gerasi, a quasi trent’anni dalla conclusione della – a sua volta trentennale – vita editoriale dell’opera originale.
Gerasi si propone ancora una volta come autore completo. Da un lato, la sua padronanza nella gestione della tavola è più che evidente: le pur intricate geometrie cui si abbandonano le vignette non soffocano mai l’incedere della narrazione. Dall’altro, il flusso di coscienza che prorompe dalla protagonista soffre di un’apparente, sebbene inevitabile leziosità, dovuta alla volontà di riproporre e aggiornare stilemi unanimemente senza tempo – e che quindi come tali trascendono qualsiasi connotazione cronotopica.
L’orchestrazione della vicenda si appoggia su un canonico sviluppo in tre atti, per quanto ben camuffato; peccato per il twist finale, che ricorda forse un po’ troppo da vicino atmosfere dylandoghiane.
L’unica differenza è che, per sbloccare la vicenda, invece di far scendere in campo il quinto senso e mezzo e gli incubi rivelatori, viene chiamato in causa il “superpotere della sensualità” di Valentina, che viene pertanto rubricato ad un ruolo più funzionale che essenziale.
Gerasi cerca di intrecciare circoli virtuosi, virtuali e viziosi, ma alla fine l’affermazione finale del proprio “io” da parte di Valentina non emerge con sufficiente forza, anzi finisce quasi a scimmiottare il percorso di autodeterminazione – quello sì, di maggiore portata – perseguito a suo tempo da una certa Rebecca.
Quasi inevitabile infine il confronto con la Valentina “originale”, a mo’ di post-credit scene, dove l’autore gioca di metanarrazione, vuoi per una questione di rispetto, vuoi per una più prosaica piaggeria; tanto però basta per capire che la parentesi si è conclusa e l’immaginario del lettore può finalmente reincanalarsi nel loop infinito della perfezione.