L’uscita del nono e ultimo numero della serie Les cahiers d’Esther è, in Francia, un fenomeno sia editoriale che di società. È anche grazie a questo personaggio, oltre che all’autobiografico L’arabe du futur e alle cifre di vendite stratosferiche prossime a quelle di Asterix, che Riad Sattouf – autore completo (anche regista) proveniente dall’underground della rivista Fluide Glacial – è assurto allo status di maestro imprescindibile dell’attuale scena fumettistica francese: Grand Prix 2023 d’Angoulême, scrutatore coerente e credibile delle incertezze sentimentali, relazionali e financo politiche dell’adolescenza, in primis quella che fu la sua, divisa tra Francia e Siria.
I diari di Esther, questo il titolo italiano, sono nati dall’incontro con la figlia di amici e dall’idea di raccontarla, sotto pseudonimo, dai dieci ai diciotto anni, dall’uscita dell’infanzia all’affacciarsi sull’età adulta.
Il formato è sempre lo stesso: brevi racconti autoconclusivi composti da una tavola con identica chiusa finale («tratto da una storia vera raccontata da Esther A.»), tavola suddivisa in quattro strisce da tre vignette ciascuna, ligne claire elaborata alla scuola de L’Association (fondata tra gli altri da Lewis Trondheim e David B.) che intendeva negli anni Novanta affrancarsi dalla tradizione franco-belga senza rinnegarne l’eredità, bicromia in sintonia con gli umori narrati, precisione del racconto e padronanza totale della pagina.
In Italia Oblomov ha pubblicato nel 2019 il solo primo numero, e destino non migliore ha avuto L’arabo del futuro (Rizzoli, 2 volumi su 6). Specificità francesi a parte, è una finestra aperta sul mondo d’oggi, nonché una perla fumettistica, che si perde per strada.