1983, IX annata di Lanciostory: nel numero 4, subito dopo la fine dell’inserto tuttocolore dedicato a Storm, debutta un nuovo inserto inedito in 20 puntate (stavolta in bianco e nero), dall’enigmatico titolo Dax. Si tratta di una nuova serie scritta da Robin Wood e disegnata da Ruben Marchionne, ambientata nella Cina di inizio XX secolo: nel primo episodio, la rivolta dei boxer contro gli occidentali provoca il massacro della famiglia francese di Daniel Arthur Xavier, un bambino dai misteriosi poteri extrasensoriali che viene salvato da Hong, un boxer pentito che poi lo adotta.
A partire dal secondo episodio, ambientato dieci anni dopo, Dax (dalle iniziali del suo nome) sarà protagonista di fantastiche avventure legate ai suoi poteri, all’interno di alcune saghe di lunghezza variabile che tengono avvinta l’attenzione del lettore: prima tenterà di rintracciare e salvare Yen-li (la figlia cieca di Hong) per poi iniziare a cercare i monaci Shaolin, a cui vuole chiedere l’origine dei suoi strani poteri.
Dax avrà la risposta che cerca – anche se, a dire il vero, parlerei piuttosto di una non-risposta… – solo nel corso del secondo inserto a lui dedicato, che inizia nel numero 44 della stessa annata (tra i due inserti ne viene pubblicato uno tuttocolore, intitolato I supermasters) e che sarà seguito a ruota dal terzo e ultimo inserto, iniziato nel numero 17 dell’annata successiva e terminato nel numero 43 dopo 72 puntate complessive da 16 pagine ciascuna. Una “non-risposta”, dicevo, che chiude la saga dei monaci Shaolin e si intreccia con l’inizio della terza, lunga e ben più importante saga, in cui Dax affronterà il cugino Marcel, arrivato dalla Francia a Shanghai per ucciderlo e impossessarsi dell’eredità di famiglia, senza naturalmente riuscirci. Dax trascinerà Marcel in un lungo pellegrinaggio – tra Cina, Mongolia, Manciuria e altre lande desolate – che, a poco a poco, redimerà il malvagio cugino.
Una volta terminata questa terza saga, le avventure di Dax continuano con una serie di episodi autoconclusivi, di livello inferiore ai precedenti, fino all’ultima – non conclusiva – puntata pubblicata da Lanciostory (in Argentina, come scoprirò anni dopo, la serie è continuata per altri episodi).
A posteriori, molti critici e recensori hanno storto un po’ la bocca di fronte a questa serie, evocando di volta in volta il taglio e il rimontaggio di alcuni episodi rispetto all’edizione originale ma soprattutto la mancanza di chiarezza nell’indicazione degli autori coinvolti: sembra infatti che Wood sia stato affiancato e/o sostituito in alcuni casi da Gustavo Amézaga (nom de plume di Manuel Morini) e poi da Ricardo Ferrari… e anche sul lato dei disegni si segnala il contributo di altri autori, tra cui Enrique Breccia ma soprattutto Silvestre Szilagyi (personalmente, guardando qualche vignetta, aggiungerei anche Domingo Mandrafina). Obiezioni probabilmente fondate, ma che mi hanno sempre lasciato piuttosto indifferente: questa serie mi piaceva allora e mi è sempre piaciuta anche in séguito tanto da rileggerla più volte, soprattutto grazie alla collana I giganti dell’avventura che ha certificato il suo grande successo presso i lettori italiani con la ristampa integrale di tutta la serie nei numeri 12, 15, 19 e 24 (e anche la collana Euracomix Tuttocolore ha dedicato a Dax due albi).
Mi piaceva a tal punto da citare nel mio tema della maturità una battuta declamata da Marcel, appena tornato alla vita “normale” a cui, però, fatica a riadattarsi: sviluppando il tema proposto dal Ministero, riassumibile più o meno in “Questo è il vostro primo esame importante nella vita, il vostro ingresso nella civiltà“, risposi appunto con le parole di Marcel che ricordavo a memoria – “Civiltà?… E cos’è la civiltà […]? Tovaglie bianche e coltelli d’argento? Denaro? Formalità?… Non mettere i gomiti sul tavolo?” – per poi spiegare che, secondo me, le prove importanti nella vita sarebbero state ben altre che un esame scolastico…
Per la cronaca, presi 8 e mezzo. Il professore che mi giudicò avrebbe cambiato idea se avesse saputo che citavo un fumetto? E quelle parole erano merito di Wood o di Amézaga? Non lo sapevo allora, non l’ho mai saputo neanche dopo… e sinceramente non me ne può importare di meno. Dax mi piaceva, tutto qui.
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