“9 Tutti i nostri giorni svaniscono per la tua ira,
finiamo i nostri anni come in un soffio.
10 Gli anni della nostra vita sono settanta,
ottanta per i più robusti,
ma quasi tutti sono fatica, dolore;
passano presto e noi ci dileguiamo.
11 Chi conosce l’impeto della tua ira,
tuo sdegno, con il timore a te dovuto?
12 Insegnaci a contare i nostri giorni
e giungeremo alla sapienza del cuore.”
Dal Salmo 89 – del Tehillim, Libro Del Salmi,
testo presente nella Tanakh (Bibbia ebraica)
e quindi nell’Antico Testamento (Bibbia cristiana)
“Pensate che contare i giorni, non sia invece un’altra perdita di tempo?”
Mercurio Loi n° 12 – Una settimana come tante.
Doveroso avvertimento, per sua natura questa dissertazione rivela molto di quanto avviene nel numero 12 di Mercurio Loi e nel film Mister Nobody visibile su Netflix. Proseguite nella lettura con la precisa coscienza di ciò.
Si narra che fu ai tempi dell’antica Roma che nacque il Gioco della Campana, altrimenti chiamato anche Gioco della Mondo, Gioco della Riga, Gioco del Paradiso, Gioco del Sciancateddu, Gioco del Tririticchete (in Sicilia) o, forse non ultimo modo di chiamarlo, Gioco della Settimana. Sembra che infatti ancora oggi sia visibile il suo tracciato inciso sul lastricato del Foro Romano. A quel tempo veniva praticato col nome di Gioco del Clàudus, cioè il Gioco dello Zoppo, con evidente riferimento alla regola di saltellare su un solo piede da una casella all’altra. Anche nel romanzo del 1965, <<L’iguana>>, della scrittrice italiana Anna Maria Ortese (durante la sua vita professionale di scrittrice è stata insignita del Premio Strega e del Premio Viareggio), c’è una scena in cui la strana creatura che allo sguardo del protagonista sembra sempre apparire in una forma diversa, come se lui la vedesse prima come una vecchia, poi come una bambina, poi come una potenziale sposa, e poi altro ancora; in un momento in cui tale creatura non sa di essere guardata, gioca da sola sul tracciato del Gioco della Settimana saltellando da un riquadro all’altro. Il Protagonista che è un architetto di ricca famiglia milanese che vive solo la sua esistenza acquistando nuove proprietà e costruendo case e osserva con commiserazione la creatura che poco prima accumulava di nascosto sassi e li nascondeva in una fossa, senza rendersi conto che quel gesto insensato della creatura non è poi così dissimile dal suo di architetto milanese che lo spinge ad accumulare case che sono fatte anch’esse di pietra, come le pietre tonde e levigate della vecchia serva iguana. Il tema che ne emerge da quel romanzo italiano del nostro dopoguerra, è il senso della vita e il modo in cui usare ogni singolo giorno della nostra esistenza valutando bene se è un modo nobile che qualifichi la nostra esistenza.
Mercurio Loi nel suo letto che non prende sonno perchè non riesce a chiudere una giornata a cui non è in grado di dare un valore per il modo in cui l’ha trascorsa ripetendo una sequenza di azioni ormai per lui ben note.
Nemo Nobody vestito e sdraiato in un letto in cui la texture ripetuta della scacchiera simboleggia la sua esistenza incasellata in una routine quotidiana che lo spersonalizza e depriva del suo vero io che anela una gioia assoluta e irripetibile.
E’ abbastanza evidente che in un’epoca come quella odierna il modo in cui noi spendiamo il nostro tempo è divenuto sensibilmente diverso dal modo in cui lo spendevamo anche solo poche decine di anni fa. Oggi non solo nelle strumentazioni, ma anche su noi stessi, domina la dittatura del multitasking. Il cellulare non è più solo un telefono senza fili, ma è anche un computer, un televisore, un registratore, una macchina fotografica, una torcia, una radiosveglia, uno specchio per truccarsi il viso ecc. ecc. La lavatrice è anche asciugatrice, il robot da cucina svolge tutta una serie di operazioni che prima venivano svolte da una decina di elettrodomestici differenti che occupavano molto più spazio negli armadietti della cucina. Non deve quindi sembrare strano che l’essere umano voglia fare sempre più cose ogni giorno e sempre più cose contemporaneamente con il proprio stesso corpo. Così usando gli auricolari, parliamo al telefono con una amico mentre facciamo jogging, ascoltiamo un audiolibro mentre pedaliamo in bicicletta. Non vorrei arrivare a dire che l’aumento del numero dei divorzi (volontà di avere molti partner contemporaneamente senza rinunciare a nessuna opportunità sentimentale usando una sorta di cuore multitasking?) e anche il tema teologico della appartenenza religiosa multipla di cui parla il teologo Raimon Panikkar (professare più di una religione contemporaneamente), potrebbero essere argomentazioni correlate con questa esigenza dominante del multitasking che vige nella nostra epoca.
Anche se la cosa buffa è che mentre la monogamia a tempo determinato viene tollerata con condiscendenza, la pluralità religiosa provoca solitamente sdegno e dissenso. Ma non vado oltre a scandagliare questa tematica per non rischiare di uscire fuori tema. Mi viene da pensare che forse tutto è iniziato quando nel film Il Tempo delle Mele, alcuni giovani ballavano in discoteca ascoltando con gli auricolari una musica differente da quella che stavano ascoltando tutti gli altri anche se poi tutti ballavano insieme sulla stessa pista da ballo. Non vi dovrà sembrare strano se quindi, nel rispetto di questa egemonia del multitasking io vi recensirò ora il bellissimo “Una settimana come tante” di Alessandro Bilotta, affiancandolo in parallelo a “Mister Nobody“, film del 2009 di genere drammatico fantascientifico, scritto e diretto da Jaco Van Dormael, pellicola che ho potuto visionare su Netflix più o meno nello stesso periodo in cui ho preso in mano ed ho letto questo numero 12 di Mercurio Loi. Nell’albo emerge la tematica della noia che deriva dal fare sempre ogni giorno essenzialmente le stesse cose perché nel continuare a sapere giorno per giorno quello che succederà il giorno dopo ci fa perdere il piacere di gustare la vita. E, a differenza di American Gods di Neil Gaiman in cui il Messia tornerà per <<salvarci dalla noia>>, con Mercurio Loi si deve imparare a convivere con la noia perché anche la noia ha un suo gusto che come esseri umani dobbiamo imparare ad assaporare. Così Mercurio sdraiato nella sua vasca da bagno fissa il soffitto sofferente.
Spera di prendere in mano un libro per giorni allo scopo di dare un senso alla propria vita con la lettura di quel libro ma poi, quando ci riesce a leggerlo, si accorge che ne avrebbe potuto anche fare a meno perché non c’era poi nulla di veramente nuovo nei contenuti. Mentre in Mister Nobody emerge il tema della scelta e, in una maniera veramente geniale, che si ricollega alle teorie del multiverso, accade che il protagonista vive l’egemonia del multitasking in una modalità unica: in tre momenti fondamentali della sua vita, all’età di 9 anni, 15 anni e 34 anni, messo di fronte a delle scelte radicali che lo sbattono brutalmente difronte ad un bivio, una copia di se stesso prende un sentiero esistenziale e l’altro se stesso prende il sentiero differente.
Il 15enne Nemo Nobody che fa la barba al padre disabile affiancato a un Mercurio Loi che si fa fare la barba del suo mentore e guida esistenziale.
Ma tutti questi Nemo Nobody differenti, mantengono a livello inconscio una memoria comune che in alcuni momenti filtra da una linea decisionale e l’altra, finendo, tutti questi sentieri, per riunirsi all’infinito futuro, prossimo al Big Crash del 2092, nel vecchio Nobody di 117 anni che vive in un futuro in cui tutti gli esseri umani sono diventati immortali grazie ad un processo tecnologico di telomerizzazione delle cellule che avviene grazie alle cellule staminali prelevate dai maiali. Nemo Nobody è quindi l’ultimo essere umano ad essere mortale e prossimo alla morte e grazie all’ipnosi esercitata su di lui da uno psicologo del futuro, il Dottor Feldheim, ricorda tutte le proprie differenti vite e si rende conto che ciò che dà senso ad ogni suo ramo esistenziale è proprio la prospettiva finale della morte.
Multitasking delle scelte radicali dell’esistenza: in una linea esistenziale in cui Nemo Nobody a 9 anni, dopo il divorzio dei genitori è andato a vivere con la madre che inizia una nuova relazione con un altro uomo oppure l’altra linea esistenziale in cui va a vivere col padre che diventa disabile e lui in quanto figlio lo deve accudire da solo; quella in cui ha sposato Anna e quella in cui ha sposato Elise.
Nemo finalmente con Anna dopo aver giocato a rincorrersi affiancato ad un Mercurio Loi che si arrampica su un albero, ma è qualcun altro a raccogliere i frutti maturi.
E poi ancora in un bivio successivo quella in cui è diventato ricchissimo ed ha sposato Jin e quella in cui è diventato un clochard che brama di poter ritrovare Anna che ha perduto a causa di un temporale provocato dal fatto che lui ha comprato un paio di jeans sottocosto piuttosto che il paio più costoso. Il tema delle scelte per un futuro migliore, spinti dalla noia di saper già cosa potrebbe accadere con le scelte a cui si rinuncia, non può che essere uno dei temi che assillano l’essere umano in tutta la sua complessione. Mercurio Loi non trova una risposta a tutti questi dilemmi, ma ci spinge a riflettere insieme a lui. Saltella da una vignetta all’altra con un piede solo claudicante, senza un giusto orientamento, per giungere alla fine dell’albo, giorno dopo giorno, pagina dopo pagina. Tutto l’albo è suddiviso perfettamente in 94 tavole costituite tutte da 6 vignette perfettamente quadrate come lo sono i riquadri del Gioco dello Zoppo.
Mercurio scopre finalmente colui che lo sveglia bruscamente la mattina affiancato al piccione superstizioso di Nemo Nobody
Come a voler ripercorrere ossessivamente per tutto l’albo la monotonia dei 6 giorni feriali della settimana in attesa di una sorta di domenica di liberazione che sembra non arrivare veramente mai e quando finalmente la settimana termina sarà il Colonnello Belforte a scoprire una amara verità su se stesso. E nel corso di tutto l’albo Mercurio, si fa il bagno, si fa la barba, guarda di nascosto Ottone che amoreggia con la sua innamorata, mangia piatti di spaghetti al pomodoro tutti i giorni sempre uguali perché Leone, il suo servitore e cuoco, vuole che lui li gusti veramente grazie alla ripetizione; chiacchiera al bar, si arrampica sugli alberi per sorprendere amanti a copulare, cerca di leggere La Guerra del Peloponneso, ha conversazioni (ricambiato) con ragni, uccelli e anche con il libro stesso che vorrebbe leggere. Insomma Mercurio Loi giunge alla fine della settimana avendo scelto di proseguire a vivere gustando il piacere della ripetizione come con il sempre riproposto piatto di spaghetti al pomodoro. Ma ogni tanto ama farsi una corsa per rincorrere un criminale. Ed è questa corsa proiettato in avanti il messaggio positivo che ne emerge. Perché anche nella ripetizione, ciò che conta è sempre il poter andare avanti, perché anche la respirazione è ripetizione alternata di inspirazione ed espirazione e senza la ripetizione della respirazione, non ci può essere vita. Non possiamo pretendere un’eterna apnea di gioia. Noia e gioia, interconnesse dalle nostre scelte sono gli atti respiratori dell’anima che nuota nel mare dell’esistenza, un’esistenza che cerca il senso, ma che poi in quanto esistenza, si rivela essere lei stessa il senso ultimo. Da leggere tutto d’un fiato. E poi fare un bel respiro profondo.
Maschere: Il Monatto, vecchia conoscenza di Mercurio Loi, era un ufficiale pubblico che accompagnava i malati e i cadaveri al Lazzaretto – affiancato al Dottor Feldheim lo psicologo che accompagna le ultime ore di vita di Nemo Nobody, l’ultimo mortale su un pianeta in cui tutti sono diventati immortali. La maschera del monatto era un naso molto lungo in cui vi era un filtro di essenze aromatiche e paglia che servivano al medico della peste di permettere di sopportare il fetore dei cadaveri. La maschera di tatuaggi sul volto del Dottor Feldheim sono tre lettere: PSY, che in alcun punti assumono la conformazione della lettera greca omonima e che identifica l’ordine degli psicologi. Significato simbolico di tale maschera: in un mondo di immortali in cui l’anima non abbandona più il corpo con la liberazione che si ottiene con la morte, tale anima diventa simbolicamente impressa sulla pelle di questa umanità che vive senza più avere un tempo prefissato di sopravvivenza che qualifichi e dia motivazione alle proprie azioni.
Parafrasando il Salmo 89 e le parole di Mercurio Loi vorrei terminare esprimendo la seguente riflessione: probabilmente è vero che contare i nostri giorni sia una perdita di tempo, ma non possiamo negare che per non sperimentare il pentimento e il senso di spreco della propria esistenza, dobbiamo fare il possibile per fare in modo che tutti i nostri giorni contino per noi.