AI? Intervista a Francesco D’Isa

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Terzo episodio di questa rubrica che, dopo gli interventi di Sergio Algozzino e Lorenzo Ceccotti, ha ormai dato forma e pensiero ad aspetti ampiamente discussi e condivisi dagli addetti ai lavori in merito alla diffusione delle AI TTI nel mondo dell’arte e nello specifico del fumetto.

Proviamo adesso ad esplorare la medesima tematica guardandola però da un’altra prospettiva, all’apparenza diametralmente opposta a quelle sino ad ora lette.
Ad aiutarci a proseguire questo viaggio abbiamo Francesco D’Isa. Artista, scrittore e filosofo, Francesco ha un background nelle arti visive, che integra nella sua produzione letteraria e saggistica. È autore di romanzi e saggi, tra cui La Stanza di Therese e L’assurda evidenza. Collabora con diverse riviste culturali ed è direttore editoriale de L’Indiscreto , dove esplora tematiche legate alla filosofia, alla scienza e all’estetica. Ha già affrontato in diverse occasioni la questione AI: per farvi un’idea guardate il suo speech Arte Ai Autore al TEDx di Cremona o leggete il suo Sunyata (di cui abbiamo scritto anche sul nostro Magazine).

Ciao Francesco, partiamo proprio da Sunyata, il tuo fumetto realizzato interamente con l’AI. Com’è nata l’idea per quest’opera?

È nata in un momento difficile, quando diversi problemi familiari mi avevano messo di fronte alla sofferenza e alla morte. In questo periodo stavo eseguendo esperimenti con la generazione di immagini attraverso le intelligenze artificiali di nuova generazione: per me è stato un po’ come un processo di “immaginazione attiva” junghiana. Gli stimoli offerti dalle AI, che hanno una componente parzialmente fuori controllo, mi suggerivano spunti narrativi inaspettati. La parola “Sunyata” in sanscrito significa “vuoto” o “vacuità”, e questo concetto – un misto di perdita e di potenzialità – si è intrecciato con quelle sperimentazioni visive. Man mano, è emersa una storia illustrata che, anziché essere semplicemente “messa in scena” con l’AI, ne era in qualche modo ispirata.

Puoi darci dei riscontri rispetto all’accoglienza che il fumetto ha avuto da parte del pubblico e nell’ambiente artistico?

L’accoglienza è stata polarizzata. Da un lato, c’è stata una shitstorm da parte di molti illustratori e illustratrici (anche figure di un certo rilievo) che hanno visto questo lavoro come un furto, accusando la casa editrice e me di favorire uno strumento iniquo. Dall’altro lato, ho ricevuto molti complimenti e, soprattutto, molta solidarietà – spesso in forma privata – anche da persone del mondo del fumetto e dell’arte, che erano curiose di capire meglio le potenzialità di queste tecnologie. Devo dire che la polemica è invecchiata male: ora che sono di largo uso, dubito che ci sarebbero intellettuali che mi accuserebbero di “furto” per aver pubblicato un libro illustrato con le AI.

È stato il primo fumetto in Italia realizzato interamente con l’AI. Ci sono stati altri esperimenti simili? Se ne conosci qualcuno, puoi dirci quali effetti hanno avuto nel settore artistico?

Che io sappia, in Italia è stato il primo a uscire in forma di volume con una casa editrice, ma sono stati fatti altri tentativi simili. Ad esempio, su L’Indiscreto è uscito Il destino dell’errante, di Vanni Santoni, illustrato con AI, e Daniele Marotta aveva già sperimentato e pubblicato un fumetto in cui entrava in gioco l’intelligenza artificiale, L’ombra.
Probabilmente ne esistono altri, magari solo online o autoprodotti, che non conosco.

Potremmo definire Sunyata come una provocazione, un esperimento o, semplicemente, un’ulteriore esplorazione stilistica?

Non lo considero una provocazione. La mia volontà non è mai stata “provocare”, ma lavorare con serenità su un progetto che mi interessava. Mi piaceva l’idea di esplorare un nuovo linguaggio, non solo narrativo ma anche visivo, in cui l’AI potesse servire da stimolo creativo. Direi, quindi, che è un’esplorazione stilistica e concettuale. È logico che – essendo tra i primi lavori del genere in Italia – abbia suscitato scalpore, ma il mio desiderio è semplicemente di proseguire con le mie ricerche, confrontandomi con chi è disposto a discutere in modo critico e costruttivo. Lavorare in pace, ecco.

Parliamo del tuo rapporto con la tecnologia e le AI TTI. In che modo gli strumenti tecnologici hanno influito sul tuo percorso artistico?

Hanno influito parecchio sul mio modo di produrre immagini e raccontare storie, ma non hanno cambiato la mia poetica, che anzi era “pronta” ad accogliere le AI a braccia aperte. Il mio interesse filosofico e concettuale trovava terreno fertile in questi strumenti. La tecnologia mi ha offerto nuove strade per esplorare temi che avevo già in mente, anziché imporre un cambio di direzione.

In un certo senso, il cuore del mio lavoro è rimasto lo stesso, ma le tecnologie TTI mi hanno permesso di estendere e variare i risultati a cui arrivare.

Rispetto ai software che oggi utilizzi nel tuo lavoro, come si posizionano Midjourney e le altre AI TTI?

Ormai li uso quasi quotidianamente, per me sono diventati degli strumenti preziosi. Ovviamente non li considero né “magici” né autonomi: saper dialogare con l’AI è cruciale, perché implica una certa maestria nello scegliere i parametri giusti, le istruzioni, le eventuali immagini di partenza da fornire, e così via. È un lavoro in cui la tecnologia non fa “tutto” da sola: la mia poetica e le mie competenze visive restano centrali.

Passiamo adesso alla questione più centrale. C’è forte apprensione nel mondo artistico in merito all’applicazione delle AI TTI. Il lavoro fatto da LRNZ in merito è altamente completo ed esaustivo, soprattutto riguardo a quelli che sono i dubbi e le posizioni del settore. Ti chiedo di sintetizzare quello che è per te l’aspetto più critico, oggi, della questione.

Sono in amichevole disaccordo con LRNZ (Lorenzo Ceccotti, n.d.r.) su praticamente tutto, ma credo che abbia il merito di aver esposto in maniera articolata e non aggressiva come molti altri i timori di chi vede nelle AI un rischio per la figura dell’artista. Per me, l’aspetto più critico è questo: nel dibattito si tende a demonizzare la tecnologia come se fosse un’entità autonoma e rapace, mentre in realtà è il contesto socio-economico (già problematico da prima) a definire come e quanto la tecnologia venga sfruttata in modo iniquo. Le AI TTI, insomma, fanno luce su questioni che esistevano anche prima: lo sfruttamento, la concorrenza al ribasso, la precarietà nel lavoro creativo. Se si guarda solo alla “colpa” della AI, si rischia di non affrontare i problemi strutturali che sono all’origine di queste distorsioni. Il principale disaccordo è che LRNZ propone come soluzione il copyright, che per me è invece parte del problema.

Molti artisti lamentano una contrazione delle committenze da quando le AI TTI sono state rilasciate. Quanto questa situazione è fisiologica rispetto al naturale evolversi tecnologico e quanto, invece, può preoccupare?

È difficile dare una risposta netta, perché non esistono ancora studi ampi o dati solidi: finora siamo fermi a testimonianze aneddotiche, sia negative che positive. Conosco artisti che hanno trovato nuove opportunità proprio grazie alle AI. Alcuni settori e mercati potrebbero chiudersi o ridursi, mentre altri potrebbero aprirsi o espandersi. Non nego che ci possano essere conseguenze difficili per chi lavora in modo più “commerciale”, ma è presto per tracciare scenari definitivi.

Pensi che le AI TTI possano rendere il lavoro degli artisti e dei fumettisti economicamente insostenibile, o ritieni che ci siano spazi per coesistere in questo nuovo “ecosistema”?

Personalmente, penso che fosse già insostenibile. Le AI non influiranno drasticamente, soprattutto in settori a forte impronta autoriale. Chi ha una propria voce, un proprio stile o un proprio universo artistico, a mio avviso, non corre alcun rischio. Forse, in ambiti più commerciali, l’avvento delle AI TTI potrà sostituire alcune mansioni ripetitive o “standardizzate”; ma, anche lì, molto dipende da come si decide di approcciare lo strumento. Credo sia più produttivo imparare a utilizzarlo, aggiungendo nuove competenze, piuttosto che chiudersi a riccio.

In che modo ti poni in merito alla questione? Sei preoccupato per il settore e per le implicazioni economiche oppure sei curioso e interessato alle possibili applicazioni ed evoluzioni che ne possono scaturire?

Provo entrambe le cose. Da un lato, qualche timore c’è, perché il mercato del lavoro creativo era già malato da prima: sottopagato, pieno di precarietà e sfruttamento, stritolato da un copyright che difende solo le grandi aziende. Additare le AI come il male assoluto rischia di far dimenticare la radice del problema. Dall’altro, sono molto curioso: tante persone che si lamentano non verranno sostituite dalle AI: se ne preoccupano soprattutto i settori più autoriali, eppure è proprio lì che vedo meno pericoli e più possibilità di convivenza. Semmai, le AI rendono urgenti nuove riflessioni politiche e sociali: come evitare che l’automazione avvantaggi solo chi detiene i “mezzi di produzione”? Come ripensare tutele, welfare, ammortizzatori sociali? In breve, se resta invariato il sistema, ogni novità rischia di tramutarsi in un problema. Se invece ci si muove in direzione di formule che ridistribuiscono i benefici della tecnologia, possiamo sperare in un equilibrio migliore per tutti.

Se una AI è in grado di produrre contenuti più velocemente e a costi inferiori, non è possibile che ciò spinga i clienti a rivalutare il valore di un’opera realmente “umana” e a considerarla un bene più prezioso?

Secondo me questa distinzione “umano vs. AI” è mal posta, perché le opere fatte con AI restano comunque opere umane: non ci sono macchine autonome, ma software utilizzati da persone che scelgono, sperimentano, immaginano e validano il risultato. È un po’ come dire che un fotografo non fa “arte umana” perché usa la macchina fotografica. 

La tecnologia ha sempre sostituito alcuni lavori e messo a dura prova molti professionisti, ma ha anche creato nuove opportunità. Cosa c’è di diverso nel caso delle AI TTI?

In realtà, non c’è niente di radicalmente nuovo. Ogni innovazione tecnologica fa emergere paure simili: la stampa a caratteri mobili creò panico tra gli amanuensi, la fotografia sollevò dubbi sull’autenticità dell’arte pittorica, la computer graphics fece temere la fine del disegno a mano… È vero che la rapidità e la potenza dei sistemi di AI generativa sono notevoli, ma seguono la stessa traiettoria: alcune mansioni possono sparire o ridursi, mentre altre nuove si aprono. Purtroppo è attualmente impossibile prevedere dove e come.

Come stanno reagendo gli artisti a questo “avvento” delle AI? Conosci delle realtà e/o degli artisti che stanno cominciando ad interagire con queste tecnologie?

Conosco moltissimi artisti che hanno iniziato a sperimentare con le AI: ci sono gallerie che organizzano mostre dedicate, progetti collettivi e workshop in tutto il mondo. È davvero un fenomeno in crescita. Non tutti però reagiscono nello stesso modo: c’è chi lo vive con entusiasmo, chi con curiosità e chi con preoccupazione o chiusura. È normale che ci siano reazioni differenti, ma l’uso creativo di AI sta già avvenendo e aumentando sempre più, semplicemente perché offre possibilità espressive inedite e complementari ai metodi tradizionali.

Da poco c’è stata l’approvazione dell’AI act (anche se la sua attuazione avverrà molto lentamente) e abbiamo preso più coscienza della situazione e degli strumenti, ma ci sono ancora delle criticità da risolvere. Quali sono gli aspetti ancora troppo contorti e farraginosi della questione?

L’AI Act è un passo importante e necessario, ma lascia aperti vari problemi. Innanzitutto, non disciplina l’ambito militare, che è invece uno degli usi più pericolosi e dove i sistemi di AI sono già impiegati; per ragioni geopolitiche, probabilmente, l’UE ha preferito non porre limiti stringenti. Inoltre, le eccezioni per “sicurezza nazionale” consentono agli Stati membri di derogare quasi totalmente alle regole, creando potenziali abusi (specie in tema di migrazioni e monitoraggi invasivi).

Sul fronte del diritto d’autore, l’AI Act rimanda alla direttiva europea già esistente senza offrire soluzioni reali: in pratica, potrebbe rafforzare i monopoli di chi possiede già grandi quantità di dati, mentre i singoli autori ne beneficerebbero poco. Il testo, poi, prevede che se un titolare di copyright non vuole che il suo materiale venga usato per addestrare i modelli di AI, possa segnalarlo (opt-out), ma questo aiuta solo i grandi detentori di diritti (che possono fare opt-put e patteggiare stock di diritti con le aziende tech) e danneggia l’open source (i software disponibili gratuitamente per uso e modifica a chiunque). A mio parere il più grande limite dell’AI Act sulle AI generative è stato non liberare il software open source da obblighi di diritti: con beni pubblici si creano beni pubblici, e non saremmo il fanalino di coda di questa ricerca tecnologica ma il più grande hub open source del mondo. 

In sintesi, l’AI Act è un inizio promettente, ma non è un traguardo: la vera sfida sarà renderlo più inclusivo, più incisivo su temi come il monopolio dei dati e l’uso militare, e garantire che non ostacoli modelli aperti e pluralisti, i soli capaci di evitare che le AI si concentrino nelle mani di poche grandi aziende.

La maggior parte dei servizi di AI TTI oggi a disposizione rispettano i termini di copyright nella loro distribuzione di contenuti, anche se non lo fanno ancora in fase di training. Ad esempio: Nightshade e Glaze possono essere una soluzione o sono solo un piccolo argine?

Onestamente, li considero poco più di un inutile palliativo. Personalmente, sono contrario a un’impostazione del copyright così com’è strutturato oggi e, allo stesso tempo, diffido di queste strategie che mi sembrano soluzioni cosmetiche.

Quanto ti preoccupa la possibilità che le AI TTI portino a una standardizzazione estetica, limitando la varietà e l’innovazione nel mondo artistico?

L’uso più immediato delle TTI tende a generare immagini kitsch con uno stile preconfezionato. È la via di minor resistenza, che facilmente produce un’estetica standardizzata. Allo stesso tempo, però, la standardizzazione è un fenomeno che esisteva già ben prima delle AI: l’industria culturale ha sempre prodotto una grande quantità di opere ripetitive. Chi lavora in modo autoriale, invece, ha sempre cercato di spingere i limiti, sperimentare e distinguersi. Non credo quindi che le AI generative cambino il quadro in modo drastico: la “media” sarà sempre mediocre, mentre la voglia di innovare e sperimentare potrà trovare nelle nuove tecnologie un ulteriore strumento di ricerca.

Quale potrebbe essere un compromesso ideale tra l’utilizzo delle AI TTI e la salvaguardia del lavoro degli artisti?

Dal mio punto di vista, il miglior compromesso è incentivare lo sviluppo di sistemi di AI open source, pubblici e trasparenti, alimentati da dataset aperti e privi di limitazioni di copyright (o con licenze molto permissive). Questo permetterebbe a tutti di conoscere e migliorare i modelli, limitando le concentrazioni di potere in mano a poche aziende che controllano la tecnologia. Allo stesso tempo, occorre investire in politiche e ammortizzatori sociali che tutelino il lavoro creativo nel suo complesso, perché una tecnologia, da sola, non dovrebbe mai essere la causa di precarietà o sfruttamento. Se davvero vogliamo salvaguardare artisti e autori, servono soluzioni collettive: costruire AI come beni comuni e garantire tutele adeguate a chi produce contenuti di qualità.

Se pensiamo alle AI TTI come uno strumento che dà la possibilità di democratizzare l’arte – permettendo a chiunque di creare immagini senza competenze artistiche – non sono forse un vantaggio nel loro complesso?

Hanno di certo un aspetto “democratico”, perché permettono a più persone di produrre immagini di buona qualità anche senza competenze specialistiche. Tuttavia, non sono uno strumento totalmente libero: per usare le AI servono comunque risorse economiche (abbonamenti, potenza di calcolo) e spesso questi servizi sono offerti da grandi aziende. Se vogliamo sfruttare davvero il potenziale inclusivo delle AI, sarebbe importante creare sistemi aperti e pubblici, in modo che siano accessibili a tutti senza barriere di costo e con il massimo della trasparenza.

Facciamo un esempio: l’invenzione di sintetizzatori, drum machine e software di produzione musicale (vedi Ableton) ha permesso a persone senza formazione musicale di creare opere innovative. Cosa c’è di diverso oggi, con le AI TTI, rispetto a quelle evoluzioni tecnologiche nel campo musicale?

La dinamica di fondo è molto simile: uno strumento tecnologico abbassa certe barriere d’ingresso e crea timori in chi era abituato a un metodo tradizionale. Nel caso della musica, sintetizzatori e software non hanno “distrutto” i musicisti: hanno dato vita a nuovi generi e a nuove professionalità. Anche con le AI TTI, mi aspetto che diventino uno strumento “normale” nel panorama creativo, utile sia ai professionisti sia a chi vuole sperimentare. L’unica differenza è che qui il salto tecnologico è molto rapido, e la quantità di ambiti che potrebbe coinvolgere è maggiore rispetto alla diffusione dei sintetizzatori negli anni ‘80. La portata è più ampia, ma la logica di evoluzione e adattamento è la stessa.

Prendiamo in esame questa considerazione di LRNZ del 2022:
“Se si usa un’immagine generata da una AI Text To Image come alternativa sostenibile per tempi e costi al lavorare con un illustratore umano c’è un problema di carattere etico professionale: di fronte a un problema di budget o tempi il progetto deve essere riveduto e corretto, ricorrere all’AI deve essere visto al pari di ricorrere al furto in mancanza di denaro.”
Secondo te, oggi, è ancora valida?

Non mi è chiarissima. Credo sia importante chiarire che cosa intendiamo per “sostituire” un illustratore con l’AI. Se un artista decide di usare strumenti di generazione e si fa comunque pagare il giusto per il proprio lavoro (perché ideare, impostare e rifinire con l’AI è tutt’altro che banale), non vedo un problema etico: è semplicemente un diverso strumento, come potrebbe essere la fotografia o la computer graphics.

Se l’idea è che, non avendo i soldi per pagare un illustratore, usare un’AI equivalga a “rubare”, trovo che sia un’affermazione davvero infondata, se non addirittura assurda. E anche un po’ classista. Altra cosa è se un committente rinuncia completamente a pagare un illustratore (o chiunque sappia usare l’AI con competenza) e si arrangia da solo inserendo un prompt alla buona, al solo scopo di tagliare i costi. Il più delle volte, però, in questi casi il risultato è deludente, perché l’apporto umano resta centrale nel dare coerenza e qualità all’immagine. Ma qui, il problema non è la tecnologia in sé: è la tendenza a non investire nelle professionalità creative. Lo stesso accade quando qualcuno commissiona un logo o un’illustrazione “a costo zero”, promettendo in cambio solo “visibilità”. Sono dinamiche già presenti da tempo nel settore, e non sono nate certo con le AI.

Prendiamo in considerazione il Machine Learning. La Storia dell’Arte – nel corso dei secoli – è stata caratterizzata da correnti artistiche che hanno studiato le generazioni precedenti e ne hanno imparato le tecniche, con evoluzione delle forme del disegno e dell’arte visiva. Cosa fanno di diverso le AI TTI rispetto a quanto detto?

È vero che ci troviamo davanti a una tecnologia potente, ma i temi filosofici sull’autorialità, sull’imitazione o sul “genio” dell’artista erano già stati messi in discussione da più di un secolo (basti pensare a Marcel Duchamp). Le AI TTI non hanno inventato questa crisi, cambieranno il fare artistico come ogni nuova grande tecnologia, ma non lo rivoluzioneranno, credo.

Oggi, molti consumatori non riescono a distinguere un’opera d’arte generata da AI e una creata da un essere umano. Per alcuni di essi la differenza è relativa. Secondo te, invece, il valore dell’arte è più legato all’autore o all’esperienza che suscita?

Per me il valore di un’opera d’arte sta soprattutto nell’esperienza che offre. Se trovo un libro bellissimo e non so chi l’abbia scritto, non per questo diventa meno affascinante: continuo a godermi la lettura, l’interpretazione, l’impatto emotivo. È evidente che la paternità di un’opera può essere interessante (per motivi filologici, storici o di mercato), ma il cuore della fruizione rimane la relazione che si crea tra l’opera e il fruitore.
A maggior ragione, di fronte a un’immagine generata da AI, se la considero suggestiva e ben costruita, poco importa che sia stata realizzata con un pennello o con un computer. Non si tratta di sminuire l’apporto dell’autore (che comunque andrebbe sminuito: anche basta con la stantia e machista categoria del genio), quanto di spostare l’attenzione su ciò che davvero conta: l’opera.

Cosa ti aspetti dal futuro del tuo lavoro e cosa prevedi accadrà nel settore, nei prossimi anni, alla luce di queste evoluzioni tecnologiche?

È difficile formulare previsioni, perché ci sono troppe variabili in gioco: nuove tecnologie, cambiamenti di mercato, evoluzioni del gusto. Di sicuro, credo che l’uso di strumenti AI si normalizzerà: come in passato è accaduto con la computer graphics o la tavoletta grafica, col tempo diventerà un aspetto ordinario della produzione creativa. Mi aspetto un settore in cui artisti e artiste sapranno integrare questi tool in modo sempre più consapevole, senza rinnegare le tecniche tradizionali, ma anzi arricchendole.

Immagini un futuro in cui un fumettista possa affidare intere sequenze narrative a un’AI TTI per la creazione di sfondi o dettagli? Come valuti questa prospettiva?

In realtà, sta già succedendo. Non ci vedo nulla di strano: è lo stesso percorso che abbiamo visto con l’introduzione della computer graphics. I fumettisti (come tanti altri professionisti del visivo) all’inizio tendono a essere conservatori, ma poi si rendono conto che la tecnologia può snellire il lavoro e liberare energie per la parte più autoriale. Credo che in futuro vedremo sempre più progetti ibridi, dove l’AI TTI viene usata per certi passaggi, mentre la direzione creativa resta in mano all’autore.

Pensi che gli artisti dovrebbero investire nel training di modelli personalizzati di AI TTI basati sul proprio stile? Che vantaggi potrebbero esserci?

Lo trovo un percorso molto interessante. Anch’io ho fatto qualche esperimento in questo senso: hai un aiuto fenomenale. È un po’ quello che, in altri modi, l’industria del fumetto ha sempre fatto: cercare di standardizzare alcuni passaggi, così da ottimizzare tempi e risorse. Produrre e disegnare fumetti è un lavoro in cui la pianificazione e la coerenza visiva sono fondamentali. Avere un modello personalizzato può far risparmiare tempo su alcune fasi tecniche e dare più spazio alla parte visionaria e narrativa.

Grazie mille Francesco. Prima di questa intervista, temevamo potesse esserci una dicotomia inconciliabile fra il tuo pensiero e quello di Sergio o Lorenzo e, magari, quello di Fabiano Ambu di cui pubblicheremo l’intervista nel prossimo episodio. Invece, nonostante una netta distanza nelle visioni, abbiamo trovato interessanti e complementari i vostri approcci.

Pasquale Laricchia

Cominciai a correre. Finché i muscoli non mi bruciarono e le vene non pomparono acido da batteria. Poi continuai a correre.

Michele Tarzia

Vivo nell'ombra dei miei pensieri, ai margini della mia memoria

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