“The Cage”
di Martin Vaughn-James

//
4 mins read

Il 15 marzo scorso Coconino Press ha pubblicato The Cage di Martin Vaughn-James. La scelta è meritoria, e per due ragioni. Da un lato mette a disposizione del lettore italiano un fumetto ‘mitico’ non tanto per la sua irreperibilità (l’ultima edizione inglese data 2013, mentre in Francia è ristampato praticamente ogni dieci anni), ma per la proposizione d’un approccio e d’una trama narrativa precorritrici, tanto sul piano formale che contenutistico, del modo di fare fumetto, anche popolare. Dall’altro integra, riprendendolo dall’edizione francese, un saggio d’uno dei massimi teorici contemporanei del fumetto, Thierry Groensteen: lo scritto fu dapprima pubblicato autonomo nel 2002 e, a partire dal 2010, inserito in ogni ristampa (di Groensteen era stato finora tradotto in italiano soltanto un saggio del 1991, da Granata Press).

L’editore canadese di lingua inglese Coach House Press accollò in copertina della prima edizione l’epiteto A Visual Novel. Il che, sebbene se ne sia voluto forzare la mano, non lo rende un antesignano delle moderne graphic novel (espressione che, a detta di chi scrive, sarebbe bene relativizzare, soprattutto nella sua accezione anglofona).

Lo stesso Groensteen, pur riconoscendo l’influenza maggiore che questo libro ha esercitato tra gli addetti ai lavori, Marc-Antoine Mathieu su tutti (ma non solo, pure in Chris Ware la filiazione è visibile), si chiede se sia effettivamente un ‘fumetto’. E difatti, uno dei meriti di The Cage è di espandere il perimetro del medium.

Nel 1972, al momento di scrivere e disegnare The Cage, Vaughn-Martin non è nuovo al fumetto in chiave sperimentale: due anni prima ha pubblicato Elephant, definito ‘boovie’ (contrazione di book, libro, e movie, film), poi The Projector et The Park, in cui sono presenti elementi ricorrenti che poi affluiranno in maniera compiuta in The Cage, e nei quali già si palesa l’influenza determinante del Nouveau Roman, corrente letteraria sorta negli anni Cinquanta che intendeva rinnovare, partendo da premesse esistenzialiste e strutturaliste,  la scrittura e la funzione del romanzo.

Quale sia il valore e l’apporto in campo letterario di tale corrente è prerogativa degli storici della letteratura (J. M. G. Le Clézio, premio Nobel della letteratura nel 2008, confesserà che trovò la sua strada, e quindi la sua voce, in allergia ai dettami teorici del Nouveau Roman). Vaughn-Martin ne riprende lo sperimentalismo strutturale e l’eliminazione (fittizia? mascherata?) del personaggio principale.

Non vi sono esseri umani né animali in The Cage, solo oggetti alla deriva. Il lettore, dopo la ‘classica’ prima pagina sita a destra nel senso di lettura, in cui da una griglia metallica si staglia la visione d’un deserto, si trova davanti a doppie pagine nelle quali il paesaggio cambia ogni volta impercettibilmente. Nelle pagine iniziali ci si avvicina ad una piramide che si vede in lontanza, poi il paesaggio si inclina, si riempie di vegetazione, si svuota, la piramide si staglia bianca con note nere, poi accade l’inverso, e via di seguito.

Il tentativo, come scrive lo stesso Vaughn-Martin, è quello di autogenerare il racconto in assenza d’un personaggio e d’un nucleo narrativo. In realtà questo c’è: ogni doppia tavola è accompagnata da un testo più o meno lungo.

I binari sui quali scorre il testo non sono però paralleli all’immagine. A volte precedono, altre seguono, altre ancora ne sono indipendenti, contribuendo a sviluppare una doppia temporalità: quella visiva, non lineare, dai cambiamenti impercettibili e dagli elementi ricorrenti (luoghi e oggetti che ritornano in dimensioni e valori diversi ad espletare funzioni diverse), e quella linguistica, scorrevole seconda una propria logica, non combinatoria rispetto ai disegni.

Quest’ultimi sono debitori per la messa in scena a De Chirico e Van Gogh (la cui Chambre à coucher à Arles del 1889 è esplicitamente evocata, all’incontrario), e per il segno alla ligne claire la cui matrice, se si può addirittura far risalire a Hergé (Tintin), apre le porte a quella stagione fumettistica fondamentale inaugurata da Jean Giraud e Christophe Drouillet con la rivista Metal Hurlant, fondata appunto nel 1974, due anni dopo la pubblicazione di The Cage. Non si intende qui affermare una correlazione diretta tra i due (o meglio, questa resta da dimostrare), ma sottolineare tematiche contestuali che generarono tanto l’una quanto l’altra esperienza. 

La lettura di The Cage non ha però solo valore storico. S’è detto dell’influenza esercitata nel tempo da quest’opera. Basta riferirsi, appunto, al già ricordato Mathieu per rendersene conto, che si tratti delle pagine strappate o delle prospettive infinite di Julius Corentin Acquesfacques, o del più recente 3’’ (2011), la cui storia, senza parole – un giallo da risolvere (chi spara a chi?) – si dipana in forma di zoom successivi in pagine quadrate rigorosamente strutturate in strisce da tre vignette ciascuna (inediti in Italia; Coconino Press ha pubblicato L’uomo riscritto e ha annunciato tra un mese Deep me).

La lezione di Vaughn-Martin è attualissima, nella costruzione attraverso molteplici piani temporali di molteplici possibilità narrative. Sin dalla scelta dell’oggetto del titolo, come spiega Groensteen: la gabbia.

È la materia stessa ad essere prigioniera della gabbia, o l’uomo moderno nel proliferare sine senso degli onnipresenti beni di consumo, icone dell’ascolto (le cuffie), della visione (le finestre), e della gabbia entro cui ci condannano e ci condanniamo? O Vaughn-Martin disegna la nostra incapacità di staccarci dal tempo storico e dalla coordinate che definiscono il mondo nel quale viviamo e che noi trasformiamo? o è la realtà stessa, nel correlarsi di immagini in sé prive di significato, ad essere prigioniera della gabbia? E chi guarda dalla gabbia: il personaggio che si muove allora su diversi piani temporali, la cui voce, off, può anche essere quella fuori campo che appare sopra o sotto le vignette, o noi lettori, prigionieri di ciò che vediamo e, come spiegava già ai suoi tempi Gianni Rodari (La grammatica della fantasia, 1973), di ciò che non vediamo e che immaginiamo tra i disegni?

Si può infine sorridere della cura certosina con la quale Groensteen analizza e spiega The Cage, ricorrendo alla metodologia propria dell’indagine scientifica, universitaria, esplorando nelle più infinite minuzie un fumetto a partire dagli schizzi preparatori e dalle note d’intenzione (tutti conservati al Musée de la Bande Dessinée d’Angoulême), manco fosse un rarissimo manoscritto medievale. Ma anche questo approccio, assieme a tanti altri, contribuisce a dare dignità e a legittimare un medium ancora bistrattato come il fumetto. O almeno a far riflettere, come più volte ha chiosato pure Moreno Burattini nelle sue lezioni di sceneggiatura, sulla sua natura peculiare

 Il fumetto non rappresenta solo la realtà, la inventa. E se questa la crea, quella la piega attraverso ciò che fa l’esperienza della lettura: la temporalità. Prossimi come siamo a mondi virtuali, la lezione di Vaughn-Martin si rivela non solo contemporanea, ma necessaria. Non tanto e non solo in una prospettiva trans- o post-umana, ma in quanto riflessione a disegni sulla nostra umanità.

The Cage
di Martin Vaughn-James
Formato 17×24 cm, cartonato, 240 pagine, b/n.
Coconino Press, 15 marzo 2024
22,00€

Vasco Zara

«Mi disseto un momento e cominciamo subito»

Articolo precedente

Short Review
Settimana #17 2024

Prossimo Articolo

Martin Mystère n.410
“L’uomo del Mystero”

Ultimi Articoli Blog

Steve Vandam

Steve Vandam. La ristampa del poliziesco firmato dal duo Sclavi-Alessandrini…