Immagino che il modo migliore per iniziare sia dalla storia, dopotutto Demon Slayer è il classico fantasy cupo ambientato in Giappone in qualche anno dei primi decenni del ventesimo secolo, quando la modernizzazione era ancora esclusiva delle capitali e nelle campagne la gente doveva fare ancora i conti con la fatica, le condizioni meteorologiche inclementi, le malattie e i demoni…
Nel mondo in cui vive Tanjiro infatti sono molti i racconti di demoni che tendono agguati ai viaggiatori o assaltano le case isolate, uccidono e si nutrono delle loro vittime, e nel dubbio li si prende sul serio. Certo, più difficile pensare che possa capitare davvero, difficile pensare che si possa tornare a casa dopo aver fatto chilometri per vendere carbone al villaggio vicino e scoprire la propria madre ed i propri fratellini uccisi e la propria sorella Nezuko trasformata in una belva feroce affamata di visceri umani.

Questo è però quello che è successo e Tanjiro, ragazzo forte e gentile ma sicuramente non determinato, si trova a fare la prima scelta determinante della sua vita. Lasciare che la tragedia si compia e un cacciatore di demoni di passaggio uccida anche sua sorella, o diventare un cacciatore a sua volta nella speranza di trovare una cura al contagio che offusca la coscienza di sua sorella.
Tutta qua, come si diceva, la storia di Demon Slayer, scritto e disegnato da Koyoharu Gotouge e pubblicato in Italia da Star Comics si descrive piuttosto rapidamente e rapidamente coinvolge. La sceneggiatura è estremamente agile e i dialoghi e le situazioni impostati con estrema chiarezza.
Il disegno è abbastanza personale ed ha un che di retrò che rimanda ai manga horror degli anni ’70 in cui personaggi estremamente sintetici nei tratti caratterizzanti ma mai deformi si muovono in ambienti in cui la campitura uniforma (il bianco della neve o il nero della notte) la fa da padrone. Non abbiamo quindi particolari raffinatezze grafiche, ma un generale equilibrio di forme e toni mirato a descrivere una favola oscura piuttosto che ad inquietare o spaventare (cosa comunque difficile per il medium cartaceo). Questo ovviamente si riflette anche nella gestione dell’inquadratura, che predilige, anzi sembra quasi limitata ai soli piani “medi” (figura intera, piano americano, mezzobusto) e di tavola: raramente in un manga ho visto solo tavole tagliate perpendicolarmente dall’inizio alla fine del volume e nessun artificio tipico del manga moderno (figure sovrapposte, tavole aperte).
In questa rappresentazione così “piana” però, l’autore riesce a dare al lettore il brivido di qualche emozione, sopratutto quando è in scena Nezuko, la sorella “demonizzata” eppure apparentemente aggrappata con disperazione all’affetto verso il fratello, che alterna quindi espressioni da divoratrice di uomini a contegno da cucciola in attesa di una carezza, indifesa con il morso stretto alla bocca per impedirle di aggredire.

Si potrebbe quindi pensare che questo primo volume incoraggi ad una lunga frequentazione, ma per quanto mi riguarda, non è così. La rapidità e leggerezza della sceneggiatura, ad un certo punto diventa una corsa a perdifiato: gli eventi si succedono con estrema rapidità ed in un singolo volume vengono riassunti (addirittura con un salto di un anno messo a didascalia) eventi che potevano anche essere distesi su più volumi. Ma, sopratutto, la direzione che sembrava essere dominante: il viaggio iniziatico dei due fratelli uniti da una tragedia, viene messa in disparte appena a metà volume. Nezuko viene, quasi letteralmente, “messa in frigo” con un espediente e quello che segue è un arco narrativo interamente dedicato all’addestramento di Tanjiro come Cacciatore e che, purtroppo, si va ad inquadrare negli stereotipi dell’ “allenamento shonen”, con il consueto apprendimento di tecniche esoteriche mirate a superare i limiti umani, il misterioso allenatore e la prova insuperabile da superare.
Ed infine, il test nazionale in cui competono tutti gli allievi degli addestratori di Cacciatori.

Insomma, il primo volume inizia benissimo ma si conclude dando quasi l’impressione che a quell’inizio l’autore non fosse molto interessato. Magari il prossimo volume smentirà questa impressione, ma certamente si chiude l’ultima pagina con un leggero disappunto.