Una cosa che da sempre riconosco come un pregio quasi esclusivo del fumetto del sol levante è la loro allegra cialtronaggine nel trattare personaggi storici, mitici o comunque iconici.
Michelangelo muscoloso e coi superpoteri, Nobunaga Oda nei panni di una prosperosa donzella (ma anche Re Artù o Nerone, eh… mica vogliamo fare favoritismi), la lista l’ho già fatta e col tempo si va solo ad allungare. Sherlock Holmes non è stato certo uno dei meno “rimasticati”, venendo addirittura riproposto nei panni di un elegante bracco, ed ora abbiamo il suo rivale Moriarty schiacciato a forza nei panni di un eroe oscuro bishonen (bel ragazzo).
Che, poi, esattamente come si diceva del “superomismo” di Sherlock, anche la fama di Moriarty fu probabilmente completamente al di là delle intenzioni di Sir Arthur Conan Doyle visto che, come ricordato anche nei siparietti di fine volume, apparve solo in un racconto e fu il “motore” di un altro. Ma dal momento che ogni “super-eroe” vuole un “super-cattivo” non sorprende certo che gli epigoni di Doyle lo abbiano ampiamente sfruttato in questo ruolo. Nè che qualcuno, nella fattispecie Hirosuke Takeuchi già ai testi di All You Need Is Kill e Hikaru Miyoshi ai disegni, ne volessero ribaltare la prospettiva.
Nella loro storia abbiamo quindi un James Moriarty adottato assieme al cagionevole fratello Lewis dai Conti Moriarty più per l’intercessione del loro primogenito Albert, rigido osservante dell’ideale “noblesse oblige”, che per effettiva intenzione. La quotidiana osservazione della differenza tra classi, con il corredo di soprusi, deliranti giustificazioni e piccole o grandi cattiverie inferte con la sola ragione di “marcare il territorio” tra chi sta “sotto” e chi sta, anche di un pelo, “sopra”, portano i tre ragazzi a siglare un patto di ferro con come unico obiettivo rovesciare l’ordine costituito. Se la legge è lo strumento di un potere disumano, loro saranno criminali. Anzi, l’istruito, analitico e determinato James diventerà un “consulente del crimine”, a disposizione di chi è disposto a darsi al crimine pur di vendicare un torto giustificato con la legge.
Non è sicuramente la prima volta che il fumetto presenta un antieroe di questo tipo e sicuramente calza piuttosto a pennello al periodo delle grandi rivoluzioni sociali e della totale e apparentemente (purtroppo) inarrestabile presa di coscienza che guidò volente o nolente ogni classe sociale ad interrogarsi sul concetto di persona e di diritto.
Purtroppo, però, a volte la disinvolta sicurezza con cui i giapponesi prendono in mano miti consolidati rende difficile “prenderli sul serio”. E Moriarty the Patriot ricade in questa casistica.
Primo punto debole, ma siamo nelle valutazioni eminentemente soggettive, il tratto da disegno tipico dei “bishonen manga” (manga con quasi solo bei ragazzi protagonisti, prevalentemente indirizzato ad un pubblico femminile) non si adatta perfettamente a quella che dovrebbe essere una narrazione carica di rabbia e violenza.
Certamente la pulizia formale di questo stile, spesso privilegiante il tratto sottile ed etereo, aiuta nelle scene in cui i personaggi ed il protagonista in particolare esprimono la loro gelida determinazione. Molto meno bene emerge il contesto, che possiamo solo immaginare volgare e depresso, nella scenografia pulita e quasi bucolica di una Gran Bretagna vittoriana da cartolina.
Innegabile è che, almeno per questo primo volume, le motivazioni dei “fratelli” Moriarty siano fondate più su quello che loro vedono che non su quello che vede il lettore: i Conti Moriarty, primi antagonisti, appaiono più la scopiazzatura di qualsiasi famiglia adottiva benestante da “manga di orfani” degli anni ’80 che non reali personaggi. Le altre due “sfide” che affronteranno nel corso del primo volume testimoniano l’ingiustizia praticamente sempre solo a parole, mentre “vittime” ben vestite, belle ed in perfetta salute affrontano “oppressori” da cui sembra separarle solo qualche chilo di troppo.
Inoltre, la genialità del “Consulente del crimine” alla fine si esprime quasi sempre in un gioco di prestigio agevolato dal fatto che il suo bersaglio, comportandosi come la mezza tacca che fin da subito ci viene descritta, pare far di tutto per farsi mettere in trappola.
La sospensione d’incredulità ci mette poco a capire di stare assistendo, appunto, ad un dramma teatrale e si siede comoda in poltroncina numerata, già sapendo come andrà a finire.
In ultima analisi Moriarty the Patriot, in Italia per Planet Manga, ha delle ottime aspirazioni e due buoni professionisti a sostenerle, ma si adagia sul voler evidentemente essere un manga di puro intrattenimento con dei bei ragazzoni come protagonisti. Valida scelta per il pubblico di riferimento, poco più che una curiosità da prendere in mano per passare una mezz’ora per il resto dei lettori.