
Prima di iniziare questo articolo, forse è bene spendere due parole sullo sceneggiatore palindromo NisioIsiN (Ishin Nishio), classe 1981, al momento “gallina dalle uova d’oro” della cultura pop giapponese. In 15 fulminanti anni di carriera ha pubblicato una trentina di “light novel” (romanzi brevi) riassunti in serie tematiche di cui almeno due sono state trasposte in serie animate diventate veri e propri “cult”: Katanagatari (crasi di “Spada” e “Racconti” e, quindi, “I racconti della spada”) e Bakemonogatari (“Racconti di mostri” che, in realtà comprende diversi titoli e a cui ci si riferisce anche come *monogatari). Inoltre ha sceneggiato o partecipato alla sceneggiatura di diversi manga tra cui il già recensito Medaka Box .
Probabile motore del suo successo quello di avere sfornato una pletora di personaggi che non sono persone ma veri e propri “archetipi”: “l’eroina”, “il guerriero”, “lo studente”, “il cattivo perdente” (o “il perdente cattivo”), arrivando poi ad ibridarli e a sovrapporli (“l’eroina-protagonista-guerriera”, “il cattivo perdente invincibile”, “lo studente pervertito vampiro”, “la principessa in pericolo killer”) e mostrandoli poi nella loro quotidianità rispondendo con gusto paradossale alla domanda: “come passa le sue giornate un archetipo: cosa mangia, quando dorme, come ama?”.
Un successo insomma costruito mescolando la più consolidata banalità con prospettive non normali, giocando con il lettore esperto e la sua capacità di riconoscere “a fiuto” le situazioni archetipiche e stuzzicando tanto la sua vanità, quanto la sua curiosità e la sua irritazione.
Shonen Shojo: Sick Boy / Sick Girl, manga in tre volumi presentato in anteprima da J-Pop al Treviso Comic Book Festival non fa eccezione.
Protagonista della storia è un bambino di poco più di dieci anni magrolino, deboluccio, dispettoso e decisamente prematuro, al punto da aver sviluppato un disgusto feroce, quasi suicida, verso la spinta all’omologazione imposta dalla società. Immaginate quindi con quale gioia accoglie la notizia di essere stato contagiato da una malattia sconosciuta che gli impedisce di riconoscere qualsiasi segno di individualità altrui (i volti, i nomi pronunciati o letti, le impronte digitali e qualsiasi altro segno distintivo sono cancellati da un’interferenza nero inchiostro) e che lo ucciderà il giorno del suo dodicesimo compleanno. Che fortuna! Quale unica, tragica, inimitabile individualità!

Poi, un giorno, durante il suo ricovero dorato di cavia unica al mondo, si presenta di fronte a lui una coetanea solare, autoritaria, adulta che si muove tra medici ed infermiere come una regina. E di cui lui vede perfettamente il volto. Una individualità unica, inimitabile, gioiosa… e tragica. La bambina ha il suo stesso morbo ed entro pochi mesi compirà il dodicesimo compleanno. Prima di lui.
Ragazzino incontra Ragazzina ed immediatamente decide che dovrà morire di qualsiasi altra cosa che non sia quella malattia unica che prometteva di donare a lui l’unicità a lungo cercata.
Sarà lui ad uccidere quella individualità solare, non la malattia.
Come si capisce non siamo sicuramente di fronte alla classica, edificante, storia su due esistenze sfortunate che si sostengono a vicenda. Nisioisin crea un presupposto sgradevole, carico di egoismo e vanità, su cui fondare una, brevissima, storia di crescita. L’inadeguatezza del Ragazzino, il suo pessimo carattere, la sua immaturità si confrontano con la superiorità intellettuale della Ragazzina, apparentemente in possesso della capacità di compiere azioni ben al di là delle capacità, senso pratico e moralità non solo di un bambino, ma di qualsiasi adulto “normale”. Il lettore è spettatore a volte divertito, a volte decisamente irritato, di questo duetto “immorale” che, non vorrei creare aspettative errate, resta nell’ambito di una “commedia dark” con minime concessioni al thriller.
Come da prassi di questo autore, i dialoghi sono brillanti e paradossali, l’agire dei personaggi è sempre strettamente coerente al punto che non riesce a essere mai veramente “sconvolgente” anche in quelli che dovrebbero essere i colpi di scena.
E’ come se la riflessione dell’autore sul concetto di individualità si arrotolasse in un nastro di moebius che congiunge unicità e previdibilità, affermazione di sè e distruzione di sè, lo straordinario che cancella l’ordinario che cancella lo straordinario. E’ l’autore stesso ad indicare la continuità con il suo già citato lavoro precedente, Medaka Box, che pur essendo virato allo shonen-action, metteva al centro del palcoscenico una personalità straordinaria al punto di essere fuori dalla morale ed una ordinaria al punto di essere dentro lo straordinario.
Oltre ad affermare che la mia opera precedente, Medaka Box, non sarebbe stata davvero completa senza questa, se al contrario guardiamo la questione dal punto di vista di Shonen Shojo, per scrivere questa era d’obbligo completare Medaka Box.
Nisioisin: dalla postfazione al terzo ed ultimo volume.

E’ quindi ovvio che questa chiusura di un circolo infinito potesse essere solo affidata alla mano di Akira Akatsuki già ai disegni del citato Medaka Box. Questo disegnatore si conferma sicuramente tra i più interessanti del panorama shonen: il suo tratto è maniacale nel condensarsi nella più pura “funzionalità” al genere d’azione. Al punto quasi da negare ogni fuga nell’individualità o nella “firma d’autore”: le anatomie sono sempre perfettamente mirate allo scopo, sensuali al limite della provocazione quelle femminili, anche se infantili; spigolose, aspre, “aerodinamiche” quelle maschili. I tratti di rapidograph o pennello a punta sottile, le campiture e la stesura dei retini rasentano la perfezione meccanica nell’essere privi di sbavature o sbordature. La costruzione di tavola pare essere presa di peso da un “How-to” che probabilmente l’autore stesso ha scritto: tutti i campi “estremi” abusati dal cinema d’azione sono usati, a volte anche in situazioni che “normalmente” non li prevederebbero (ma in questo caso è la sceneggiatura di Nisioisin a richiederli), le pagine tagliate trasversalmente dalle vignette e dai personaggi stessi e gli effetti speciali, dalle linee cinetiche ai baloon frastagliati o scomposti fino alle spruzzature di inchiostro sostituite agli spruzzi di sangue, inseriti uno via l’altro.
Come detto, quasi un compendio dello stile “shonen action” come definito da quella “new wave” del manga apertasi ormai quasi 30 anni fa con autori come Masaomi Kanzaki (Xenon), Akira Asamiya (Silent Mobius) e Yuzo Takada (3×3 Occhi) e quindi abbastanza anomalo se lo si pensa applicato ad una “dark comedy” con protagonisti due “mostruosi” bambini.
Arrivato al momento di tirare le somme, vorrei ribadire un concetto e, forse, dare una delusione al lettore. Se quanto ho scritto ha dato l’impressione che “Shonen Shojo – Sick Boy / Sick Girl” sia un imperdibile capolavoro, un manga trasgressivo ed innovativo, allora ho sbagliato. Siamo di fronte ad un valido manga con due volumi avvincenti ed il terzo, finale, che un po’ va ad incespicare sulla chiusura. Principale causa il fatto che pur tenendo i due protagonisti fedeli a sè stessi fino alla fine, la sceneggiatura non sembra fare lo stesso con tutto il mondo che li circonda ed accumula più di un MACCOSA(tm) pur di virare tutto in una sorta di “quasi” happy-ending (non dico di più). La cosa non stupisce più di tanto, visto che anche il predecessore, Medaka Box, aveva accusato sul finale. Che si sia trattato dell’influsso “solare” del genere shonen o di una remora di Nisioisin nel trattare personaggi in età “protetta” è difficile dirlo.
Sicuramente l’autore ha dimostrato di saper essere decisamente più crudo e crudele, pur riuscendo a mantenersi leggero grazie ad un paradossale sense of humor, nelle sue altre opere, tra cui i citati “*monogatari” ed il lettore resta quindi a chiedersi, alla fine della lettura, se sia più sopportabile questo addomesticamento o se sarebbe riuscito a digerire un finale portato ai limiti.
[Le immagini sono (c) di autore ed editore. MACCOSA è ™ di L’antro atomico del Dr. Manhattan]