Un uomo sdraiato su un materassino ammanettato ad un termosifone: una copertina inquietante che introduce Fuggire, memorie di un ostaggio, il nuovo reportage a fumetti di Guy Delisle, fumettista canadese trasferitosi da anni in Francia e celebre graphic journalist. Un’opera, pubblicata dalla Rizzoli/Lizard, che racconta la drammatica vicenda di Christophe André, operatore francese di Medici senza Frontiere, sequestrato in Cecenia per 111 giorni, nel 1997.
Con questo volume Delisle abbandona per una volta il racconto autobiografico delle sue precedenti opere, come Pyongyang e Diario del cattivo papà, per mettere sulla carta il resoconto della vicenda, come gli è stato fatto ben 15 anni fa dallo stesso sfortunato protagonista. Il rapimento di Christophe avviene in una fase, dopo il primo conflitto ceceno, dal 1994 al 1996 e dopo la nascita della Repubblica Cecena, costellata da tanti sequestri di occidentali.
Delisle non racconta una storia d’azione, piena di inseguimenti e suspense, ma al contrario per mettere in scena le disavventure dello sfortunato André si affida ad uno stile di racconto piano, quasi minimale, in cui i giorni tutti uguali scorrono lentissimi, contraddistinti da rituali che paiono immutabili, sottolineati dalle didascalie che presentano i pensieri del protagonista. A farla da padrone è il trascorrere del tempo e la straordinaria tenacia di Christophe che riesce a resistere alla disperazione, nonostante si trovi in una situazione paradossale, senza interlocutori, senza poter comprendere chi gli sta intorno, dato che tutti gli parlano esclusivamente in ceceno e senza che gli venga rivelata nessuna informazione su quello che potrà essere il suo destino.

Il racconto segue interamente la prospettiva di Christophe, unico protagonista, non vi è cenno dell’angoscia dei parenti a casa, piuttosto che all’operato della diplomazia o dei servizi segreti impegnati nella sua ricerca, in modo da assicurare la totale identificazione del lettore nella sua solitudine. L’unica sua compagnia sembrano essere i piani di fuga, costellati dalla sua indecisione e dalla sua comprensibile insicurezza, e i ricordi delle cronache delle battaglie di Napoleone vissute durante la campagna di Russia.
Nella descrizione del viaggio all’inferno del protagonista, Delisle non si attarda a fornire informazioni geopolitiche sulla Cecenia, il racconto è riservato esclusivamente al travaglio del prigioniero che acquista prima con molto stupore la consapevolezza di essere stato rapito, e poi subisce i vari cambi di rifugio, l’alternanza di un carceriere buono e di uno cattivo, incarcerato ad un termosifone, alimentato in maniera minima, difatti ogni cambiamento di alimentazione, dall’omelette allo spicchio d’aglio rubato diventa un momento, anche se solo istantaneo di felicità.

Inizia per Christophe il conto dei giorni, delle settimane e dei mesi, con il pensiero alla famiglia in Francia e al matrimonio imminente della sorella, ma anche alla missione della ONG in cui milita che teme che rischi di fallire a causa del pagamento del suo riscatto, ipotesi che Christophe stesso riesce a scongiurare dopo una telefonata, l’unica che può fare in quattro mesi, in cui dimostra il suo orgoglio e tutto il suo coraggio.
Ad accompagnarlo solo la speranza e l’attesa infinita che qualcosa cambi, cercando di cogliere un segnale nelle poche cose che gli accadono intorno, l’orecchio sempre teso a cogliere ogni minimo rumore, immaginando che la liberazione sia imminente. Gli unici momenti che riescono a rompere la monotonia giornaliera sono la pulizia della stanza e il momento del lavaggio, per il resto si hanno esclusivamente i rapporti impossibili con i carcerieri e il fantasticare sulla propria liberazione.
Christophe nel racconto parla proprio di morte a fuoco lento, nell’attesa di un cambiamento qualsiasi, come quando gli viene concessa una giacca da indossare, o la notte passata senza essere legato al termosifone, o ancora la sorprese di vedere dopo tanto tempo la luce del sole durante uno dei pochi spostamenti.
L’incertezza attanaglia costantemente il sequestrato, che si tormenta sull’opportunità o meno di tentare la fuga, in mezzo ad un paes

e completamente straniero, con il dubbio di poter vanificare una eventuale imminente liberazione, tanto più nel momento in cui gli vengono scattate delle fotografie o deve registrare dei messaggi per l’esterno, senza tralasciare poi il timore di dover subire delle ritorsioni dai suoi carcerieri.
Per tradurre in immagini l’incertezza che vive il protagonista e la monotonia che costella le sue giornate in stanze vuote e disadorne, Delisle adotta un segno minimale, rendendo al meglio il senso di claustrofobia vissuto da Christophe. A distinguere la notte e il giorno, momenti a volte indistinguibili per l’ostaggio, è un deciso cambio cromatico. Nel complesso non è necessario per l’autore franco-canadese adottare effetti speciali per immergere il lettore nella disperazione di Christophe.
Non è la disperazione però il sentimento che prevale nella lettura di questa storia, in cui emerge anzi il coraggio di Christophe, ancora di più nel convulso finale, in pagine che si leggono tutto d’un fiato. Guy Delisle costruisce l’ennesimo capolavoro, raccontando le vicissitudini di un uomo chiuso in una stanza pressoché vuota, legato ad un termosifone per 428 pagine, a dimostrazione della sua enorme capacità di narratore che utilizza al meglio la potenza espressiva del medium fumetto.