
Il “Nuovo” Braccio di Ferro
Estate 2000, mese di luglio.
È un mondo che tutto sommato non ha ancora definitivamente tradito la spensieratezza degli anni ’90. Il nuovo millennio è giunto e si ha la sensazione – soprattutto a guardarlo con il senno di poi – che non voglia abbandonare definitivamente il decennio precedente. In una tavola a fumetti, potrebbe essere rappresentato in questo modo: un bel 2000 a caratteri cubitali in primo piano, disegnato in grassetto e bello colorato, che con due manone (tipo la mano del logo della trasmissione “Ok il prezzo è giusto”) tira con forza verso di sé un 1999 che, con colori ancora vivi anche se leggermente sbiaditi, sta scomparendo dall’inquadratura, infatti lo vediamo soltanto a metà.
Noi ragazzini – chi scrive se lo ricorda perfettamente, quel momento storico – avevamo i nostri passatempi, che non si diversificavano tantissimo da ciò che (appunto) accadeva negli anni ’90: corse in bicicletta con gli amici, battaglie e missioni immaginarie con armi in plastica, estati piene ed intense sulla spiaggia dalla mattina alla sera – almeno per me che ho sempre vissuto vicino al mare. La Playstation aveva invaso il mercato e se capitavano dei pomeriggi piovosi, anziché passarli sotto l’ombrellone, ci riunivamo tutti a casa di chi aveva la consolle e il giochino più “ganzo”.
In tutto questo flusso di divertimenti e giochi che stavano pian pianino mutando il mondo tradizionale del passatempo, esistevano ancora le edicole. Non come oggi – che sono più, ahimè, quelle chiuse di quelle aperte – ma proprio delle vere edicole (a chioschetto oppure stile bar mobile estivo) che in estate si riempivano non solo di secchielli, palette e palloni da spiaggia, ma di fumetti. Ogni estate, le edicole venivano invase di “buste” di albi a fumetti a prezzo ridotto: per gli appassionati era come un invito a nozze. Talvolta si trattava di buste che facevano il giro delle sette chiese per poi tornare all’edicola ogni estate, o semplicemente venivano tirate fuori dall’edicolante di turno agli inizi di giugno. Non importava: noi ragazzi – per lo meno coloro che amavano i fumetti – eravamo estasiati.
Proprio nei mesi estivi, una casa editrice in particolare puntava tantissimo nel catturare l’attenzione dei più giovani: l’Editoriale Metro – EM. Fondata da uno dei più importati editori degli anni ’50 e ’60, Renato Bianconi (di cui parleremo abbondantemente in altre occasioni), la EM non era altro che la vecchia casa editrice Bianconi: cioè quella che, dal 1952 e per tutti gli anni ’90, aveva stampato per intere generazioni di lettori le storie di alcuni di personaggi a fumetti più “originali” del panorama fumettistico italiani, di derivazione americana.
Era consuetudine trovare sugli scaffali delle edicole, nel periodo a cavallo tra la seconda metà degli anni ’90 e il 2000, gli albi di Geppo, Nonna Aberlarda, Tom and Jerry e – su tutti – Braccio di Ferro.
Come poi avremo modo di affrontare in un articolo a parte, occorre aprire adesso una piccola parentesi sulla più importante innovazione che Bianconi ha prodotto nel mondo del fumetto italiano, cioè la “localizzazione”: non solo il nome, ma anche il modo di contestualizzare, scrivere, ambientare in Italia le storie del marinaio più famoso del fumetto mondiale, Popeye. La genialità fu accompagnata da una consapevolezza molto pratica e di stampo imprenditoriale (e Bianconi era non solo un editore ma anche un imprenditore purosangue): per fare concorrenza alla Mondadori e al suo Topolino (inizialmente pubblicato da Nerbini nel 1932, con i diritti poi venduti dal 1937 ad Arnoldo Mondadori), Bianconi decise che non poteva ristampare solamente le strisce di Popeye create da Segar e Sagendorf. Doveva mettersi in gioco creando un “suo” Braccio di Ferro, e così fece grazie all’apporto di autori fenomenali che hanno segnato generazioni di artisti: Alberico Motta, Sandro Dossi, Pierluigi Sangalli, Tiberio Colantuoni, questi i nomi più famosi.

Ebbene il Braccio di Ferro della Bianconi, poi diventata Editoriale Metro, stava continuando a pubblicare le avventure di Braccio di Ferro “italiano” anche in quell’inizio di nuovo millennio.
Nel mese di luglio del 2000 usciva Braccio di Ferro n.50, una serie che aveva sostituito la primissima serie Bianconi che, dal 1963, aveva iniziato a stampare le storie inedite del marinaio, terminando di fatto le pubblicazioni nel 1994. Oltre ad una serie infinita di collane correlate alla “Braccio di Ferro” del 1963 (su cui torneremo più nel dettaglio), a partire dal 1996 la Metro fece uscire il “Nuovo Braccio di Ferro”: una testata di formato 13,5 x 18,6 cm dal costo di 3.500 Lire. Gli episodi di questa testata – che, ricordiamolo, era mensile – non erano sempre inediti: diciamo che i primi numeri si aprivano sempre con un episodio inedito (di Colantuoni, Dossi, Sangalli ecc) e terminavano con un’altra storia inedita. Nel mezzo, in bianco e nero e a colori, vi erano le ristampe di alcune delle centinaia (se non migliaia) di storie che per oltre un trentennio la Bianconi aveva dato alle stampe. L’unico modo di leggersi le storie nuove di Braccio di Ferro era appunto questa serie, che nell’estate del 2000 aveva tagliato il traguardo dei cinquanta numeri.
Sul piano della grafica vi erano state alcune modifiche rispetto ai “Braccio” che si acquistavano fino al 1994. Basti pensare agli “speciali” n.38 e 39, che occuparono gli scaffali delle edicole nel luglio e nell’agosto del 1999, con maggior foliazione e un formato leggermente più grande. Qui, addirittura, la EM aveva iniziato a stampare gli albi con carta lucida nella copertina: i disegni delle cover, sempre di Sangalli, venivano messi in risalto ancora di più. Fino al n.47 della serie, venne mantenuto lo stile “lucido” nelle copertine, poi dal n.48 si tornò al tono normale, liscio e non poroso, proprio per via di una miglior qualità della carta (cosa del tutto normale anche grazie al nuovo tipo di colla utilizzato per la rilegatura degli albi) ma anche rispetto al primo periodo della pubblicazione della serie “Nuovo Braccio di Ferro”. Ben presto, anche la parola “Nuovo” venne abbandonata: il mensile si presentava in edicola con il tradizionale nome del marinaio, sempre con un abbinamento di colori differenti.

Il bagnino trafficante era la prima storia con cui il n.50 si presentava ai lettori: le colorazioni erano già diverse rispetto al passato. Erano, sì, ancora piatte, ma più vive, quasi “moderne” e meno datate rispetto ai vecchi numeri di Braccio di Ferro.
Già da qualche numero (ed era riproposta anche nel n.50) era iniziata una campagna di abbonamenti, segno delle difficoltà molto grandi che la EM stava affrontando in quell’inizio di nuovo millennio. Infatti, in terza di copertina troviamo una pubblicità con Braccio di Ferro, Pisellino e Olivia che spiegano ai lettori le varie formule di abbonamento: con 40.000 Lire vi era la possibilità di procacciarsi l’intera serie e, in omaggio, il lettore avrebbe ricevuto l’attestato del Club amici di B.di F. Addirittura si chiedeva al lettore (e questo lo dice Olivia tramite il suo balloon) di compilare la pagina dell’abbonamento sul retro, di strapparla, inserirla in una busta chiusa e con francobollo, quindi spedirla alla casa editrice per ottenere altre opzioni di abbonamento.
Nell’agosto del 2000, ecco il n.51 e la sensazione, per noi piccoletti, era che tutto stesse andando a gonfie vele. Leggendo Muscoli e cervello – la prima storia con cui si apre questo numero agostano – si percepisce sempre una differenza tra le storie moderne, nuove di zecca, e quelle ristampate: la disposizione delle vignette non è quella classica, i lettering non seguono la classica “gabbia” degli albetti della vecchia serie. Sia Sangalli che Dossi, ma anche Colantuoni (difficile stabilire la paternità dei disegnatori, vista la totale assenza di dati e riferimenti in proposito) hanno uno schema più libero. Al contrario, invece, nell’esame del resto dell’albo notiamo l’impostazione classica delle storie ristampate.
E poi, come dimenticare la posta?

Sì perché in questi albi, sempre tra pag. 68 e 69, vi era la posta dei giovani lettori: segno anche questo che il contatto tra il giovane pubblico e la casa editrice (impersonificata nella fattispecie da Braccio di Ferro in persona, che rispondeva al singolo lettore) era ancora forte e si cercava di mantenere questo scambio di idee (tra lettori e personaggio) oggi del tutto passato di moda. E non stiamo parlando di tantissime ere geologiche fa: solo venticinque anni. Segno di quanto il mondo del fumetto sia mutato così rapidamente.
Il Clan

Pareva che tutto filasse liscio. Giuro, la sensazione, da semplice ragazzino di 10 anni che andava all’edicola a comperarsi il proprio albo a fumetto, era proprio questa. Tant’è che, nella primavera del 2000, la EM dà alle stampe un’altra serie con protagonista principale Braccio di Ferro, intitolata “Il Clan Braccio di Ferro”: tutto il gruppo di personaggi classici della Bianconi raccolti in albi bimestrali. Nel primo numero, oltre alla storia con Braccio come protagonista (Illusione giurassica), troviamo anche Geppo (Geppo angelo per scommessa, storia disegnata da Dossi, come da firma fortunatamente realizzata dallo stesso disegnatore sul lato sinistro della prima tavola) e un paio di avventure di Nonna Abelarda e Soldino.
La serie “Clan” fu un falso bimestrale con alcuni errori grafici: se il primo numero coprì i mesi di marzo /aprile, a partire dal n.2 la dicitura normale fu quella indicata nella copertina (maggio/giugno), ma in seconda di copertina ne veniva riportata una diversa: giugno/luglio 2000. In questo secondo numero, chiamiamolo estivo, si ha un’attenzione particolare su alcuni comprimari di Braccio di Ferro, oltre al marinaio stesso: un’avventura dedicata a Timoteo e Pisellino, poi ancora nonna Abelarda.
Era tutto talmente bello e quasi “spensierato” che, in abbinamento a questi albi del Clan, uscivano anche delle cartoline con alcuni personaggi di Braccio di Ferro: Timoteo nel.1 e Il Gip nel n.2. Inoltre, in terza di copertina, sempre del n.2, ecco un annuncio che in apparenza non dava segno di alcunché: “Ciao amici! Ti sono piaciuti i fumetti che ti ho presentato? Magari qualcuno ti è sembrato più interessante degli altri? E dei disegni, cosa ne pensi? Hai qualche bella idea da proporci? Bene! Prendi carta e penna, scrivi una letterina e spediscila a: CLAN Braccio di Ferro, Via Benedetto Marcello 8, 20092 Cinisello Balsamo (MI)”.

L’ultima domanda che la casa editrice chiede ai lettori merita un approfondimento: hai qualche idea da proporci? È il primo segnale che qualcosa non stava andando per il verso giusto sul piano dell’appeal della storica Editoriale Metro. Perché chiedere il parere dei lettori, rivolgendosi loro e chiedendo idee, suggerimenti da proporre? Non tutto era rose e fiori, in quell’estate 2000.
Al termine dell’estate si arriva al n.3 del Clan, sempre con la diversità di dicitura tra copertina e seconda di copertina. Copertina sempre suggestiva di Sangalli che rappresenta alcuni membri del Clan tutti insieme in giro rotondo. Proprio lo stile di Sangalli merita un piccolo approfondimento: sia lui che Dossi hanno caratterizzato le infinite serie di Braccio Di Ferro. Si sa, la copertina è la prima cosa che un lettore osserva quando si reca in edicola per comprarsi il proprio albo e lo stile di Sangalli fu unico (per non parlare del suo Geppo). Purtroppo, questo sarà il numero conclusivo di questa miniserie. Il Clan finisce qui.
La fine di Nuovo Braccio di Ferro
Passata l’estate, il mensile continua a sfornare altri numeri, finchè si arriva al dicembre del 2000. Esce il n.55, con una storia inedita in apertura (L’oro dei magi). Anche la storia finale dell’albo (La recita di Natale) è a sfondo natalizio, segno di un’attenzione dell’editore verso la stagione di uscita in edicola dell’albo.

C’è però un primo fattore molto strano: in quarta di copertina, anziché il classico Braccio di Ferro, che si affaccia dietro una pila di libri, con Olivia e il Gip che annunciano l’uscita del numero successivo, cambia la struttura della vignetta di annuncio: ci sono tutti. Da sinistra verso destra vediamo Olivia. Braccio Di Ferro, Pisellino, Trinchetto, Timoteo e la Strega Bacheca. È il format standard utilizzato per le uscite del Clan. Ma c’è dell’altro: è l’albo di prossima uscita a destare sospetti. Si tratta della copertina di un albo della serie Gran Braccio di Ferro, che negli anni a cavallo tra la fine dei ‘90 e il 2000 ristampava in blocchi di due albi a numero la serie (Nuovo) Braccio di Ferro.

Il motivo è semplice: il n.56 non uscirà mai in edicola. La storia della gloriosa Bianconi – Editoriale Metro finisce proprio nel dicembre del 2000, con una triste chiusura. Con il n.55, Braccio di Ferro – così come due generazioni intere lo hanno visto in edicola – cessa di esistere. Con lui se ne andrà anche quel sapore di leggerezza e spensieratezza di storie (mai banali) che ci hanno fatto compagnia per molte estati.
Ma Braccio di Ferro cesserà davvero di esistere in questo modo? Così, in sordina? Potremmo dire, in linea generale, di sì. Ma c’è stato un altro tentativo, l’ultimo, davvero passato inosservato – che però merita una sua trattazione a parte.
Ma questa è un’altra storia…
CONTINUA