Ghibli Super n.2
“Con gli omaggi di Ghibli”

Le storie degli anni '70 che hanno creato il mio immaginario fumettistico

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A fine 1972, pochi mesi dopo il lancio della collana Billy Bis Super (che ristampava, in formato pocket, le avventure dell’agente dell’ONU), la casa editrice Universo ripeteva l’iniziativa ristampando le avventure di un altro personaggio nato dalla penna di Anthony Mancuso: stavolta si trattava di Ghibli, il ladro gentiluomo disegnato da Lino Jeva e pubblicato sulle pagine del settimanale Il Monello. Come già successo per Billy Bis, questa collana mensile sarebbe poi continuata – una volta terminate le ristampe – con avventure inedite di più ampio respiro, scritte appositamente.

Ho usato il termine “ladro gentiluomo”… e potrei praticamente chiudere qui la mia segnalazione. Ghibli si inserisce infatti in un filone stereotipato mooolto abusato (non solo all’epoca), assemblando tutta una serie di luoghi comuni: la sua reale identità è quella del poliziotto privato Tam Wilder, che non ha certo bisogno di “rubare per campare” ma è spinto a farlo dalla voglia di mettersi alla prova in sfide quasi impossibili, che però gli lasciano spesso un retrogusto amaro.

Le due avventure contenute in questo albo sono quanto di più programmatico possibile: la bella “miliardaria e ispettrice di polizia per passione” (!!!) Penny Turner, costantemente dibattuta tra senso del dovere e passione amorosa (…), cerca di “incastrare” Tam/Ghibli naturalmente senza riuscirci, in avventure che scivolano via senza grandi sussulti, con colpi di scena piuttosto telefonati. Come Billy Bis, inoltre, Tam è spesso attorniato da bellissime donne, che naturalmente suscitano la malcelata gelosia della bionda Penny. Insomma: personaggi simili, situazioni simili, conclusioni simili.

E tuttavia, come appunto scrivevo per Billy Bis, in attesa di scoprire i fumetti pubblicati dall’Eura Editoriale (stessa lunghezza degli episodi, ma tematiche ben più adulte), le serie scritte da Mancuso si lasciavano leggere con piacere e i loro stereotipi diventavano “tutti ingranaggi di un meccanismo ben oliato”, tanto per autocitarmi.

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