Ci sono fumetti premonitori. Nei primi anni Novanta Frank Miller è all’apice del successo – The Dark Knight Returns (1986) ha scosso l’industria dei comics sin dalle fondamenta, Elektra: Assassin (1986-1987) in coppia con Bill Sienkiewicz, ne ha mostrato il lato sperimentale, Sin City rappresenta una sintesi come mai s’era ancora vista – e le accuse di fascismo, rivoltegli in primis da Alan Moore, devono ancora piovergli addosso.
Give me Liberty, pubblicato nel 1990 da Dark Horse per i disegni di Dave Gibbons reduce dal trionfo di Watchmen, prima di diventare una serie che – dopo un’interruzione di dieci anni – continuerà sino al 2007 e porterà la protagonista, una giovane afromericana, sino alle stelle e oltre (traduzione immediata in Italia, integrale nel 2016 per Magic Press), è un fumetto d’anticipazione non sui generis, come altre produzioni – fumettistiche, letterarie o cinematografiche – ma letteralmente.
Basta rileggere le prime pagine del primo numero, prima che il racconto si perda in quegli stessi meandri di cui Miller voleva disfarsi, per rendersene conto.
Gli Stati Uniti sono prossimi alla deflagrazione: un presidente eletto, dittatore nell’anima, sorride compiaciuto ad ogni rielezione, promettendo pollo fritto e patatine per tutti mentre un ultra-capitalismo senza regole scava disuguaglianze sociali e razziali comme fossero burro in procinto di sciogliersi.
Il richiamo alla pagina con cui si apre la – purtroppo troppo lunga – saga di Jeremiah creata da Hermann (era il 1979, ne abbiamo parlato qui) dice da solo le potenzialità del fumetto. Ogni riferimento alla data odierna è puramente NON casuale.
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