Se mi chiedeste se vi consiglio Empowered di Adam Warren, di fatto inedito in Italia (ci fu un tentativo che, temo, si chiuse con il primo volume) ma disponibile gratuitamente sul sito web omonimo, nel 90% dei casi vi direi di no.
Nel restante 10% dei casi, potreste ritenervi insultati.
Infatti nella mia lunga carriera di lettore ben poco propenso a scandalizzarmi, più di una volta ho trovato fumettisti bravissimi ad infarcire le loro opere di suggestioni erotiche, o proprio pornografiche, che riuscivano ad evolverle in epopee avventurose o commedie scaldacuore dimostrando infine che, pur non disdegnando le lusinghe di un corpo sensuale, il loro interesse era fare altro.
Finora, però, solo una volta ho trovato un autore capace di scrivere epopee supereroistiche parodistiche e destrutturanti eppur coerenti, con risvolti comico-romantici o proprio drammatici, che però, evidentemente, è interessato più alla suggestione erotica o proprio pornografica.
E quell’autore è Adam Warren.
Ho conosciuto questo autore, probabilmente uno dei più abili “gaijin mangaka” della contemporaneità, alle origini dell’invasione dei manga in Italia, quando ancora il concetto di “fumetteria” era esotico e in questi negozi presenti solo nei capoluoghi di regione (uno per capoluogo) si acquistavano per lo più prodotti di importazione: ultimi arrivati i manga tradotti in inglese dalle americane Viz e Dark Horse Comics.
Nella prima fumetteria di Torino, conosciuta grazie ad un passa-parola carbonaro tra liceali, acquistai – per l’equivalente di un videogioco Nintendo al tempo (cioè esattamente quanto li si paga ora, inflazione considerata) – il suo Dirty Pair: Plague of Angels, un capitolo dell’unica parodia ufficialmente licenziata in occidente della coppia di discinte spazio-agenti concepita da Haruka Takachiko e disegnate da Yoshikazu “Yas” Yasuhiko, altrimenti noto come: “quello che ha disegnato Gundam”.
Ne rimasi folgorato.
Innanzitutto Adam Warren si rivelò uno scrittore molto migliore di Takachiko: la nostalgia infatti – e le divise discinte delle protagoniste – ci fanno ricordare l’anime di Dirty Pair dinamico e comico ma la realtà è che era sconclusionato e mediocre e i romanzi, pubblicati per breve tempo sulla compianta rivista Mangazine, erano pure peggio.
Da questo materiale mediocre Adam Warren colse le premesse assurde – una coppia di bellezze appena maggiorenni che, al soldo di una sorta di FBI galattica, risolvono i casi loro assegnati causando disastri interplanetari – e le portò ai giusti livelli di coerenza dipingendo una civiltà intergalattica che non avrebbe sfigurato nel ciclo degli Autostoppisti Galattici di Douglas Adams.
Secondariamente, con uno stile chiaramente diverso da Yasuhiko (su cui, davvero, non si può dire nulla di male), mostrava margini enormi di crescita come mangaka “shonen – action”.
Le conferme arrivarono quando mi procurai il successivo volume: Dirty Pair: Sim Hell e il one shot Bubblegum Crisis: Grand Mal, ad oggi penso l’unica riduzione a fumetti dell’anime disegnato da Kenichi “Gunsmith Cats” Sonoda, che valga la pena di menzionare (anche in questo caso, a mio parere, superiore alla fonte).
Sempre delle due attira-disastri recuperai, per un esborso di poco inferiore all’acquisto dell’Enciclopedia Britannica, i primi volumi Dangerous Aquaintances e Biohazard e le uscite più recenti: Fatal but Not Serious e Run from the Future, che mi permisero di vedere la crescita costante di questo autore da una parodia sempliciotta e un tratto “tracopiato” ad una piena sicurezza nei suoi mezzi.
L’apice fu la sua incursione nella serie A del supereroismo con Elseworlds: Teen Titans – Paper, Stone, Scissors per la DC, ancora oggi uno dei miei “what if” supereroistici preferiti in assoluto: solido, eroico, ironico e commovente.
Adam Warren sembrava avere un talento quasi innato a fare suoi i personaggi altrui e “farli crescere”.
Le avvisaglie che la perfezione non esiste le cominciai ad avere con la partecipazione alla serie Gen13 della Image: alcune mediocri parodie la cui unica cosa che spiccava era l’appeal dei giovani personaggi.
Dentro di me lo giustificai pensando che TUTTO Gen13, come un buon 80% della produzione Image, si reggeva sull’appeal dei personaggi e praticamente nient’altro: poteva trattarsi di un problema “di scuderia”.
Purtroppo arrivò Empowered ad evidenziarmi che c’era un problema ed era bello grosso.
Sottotitolato A sexy superhero comedy… except when it is not (Una commedia supereroica sexy… eccetto quando non lo è) Empowered fin da subito si rivelò di gran lunga più interessante e avvincente “quando non lo era”.
Se vogliamo dirla tutta, la parte di “commedia supereroica sexy” è quella che preferirei non si sapesse in giro che l’ho letta, tanto grossolana e imbarazzante è.
La trama, perché altrimenti è difficile spiegare il punto, racconta di Elissa Megan Powers, una bionda e prosperosa americana D.O.C. con un “leggerissimo” complesso della bimba di papà causatogli dal fatto che il suddetto padre gli è morto davanti causa infarto precoce, che al conseguimento della maggiore età riceve come “dono delle stelle” un attillato costume che le conferisce i poteri di Superman… fino a che resta integro.
Non credo ci voglia molta immaginazione per capire che il costume, di solidissimo cellophane alieno, sia prono a strapparsi al minimo contatto e lasci la povera EMP (acronimo del suo nome e abbreviazione di “Empowered”, termine inglese che ha il molteplice significato di “potenziata” e, ironicamente, di “dotata di potere/autorità”) in balia di criminali e super-criminali da macchietta che immancabilmente la sopraffanno e legano in osservanza dei più svariati fetish bondage.
In una delle sue tante debacle, EMP attira l’attenzione di Thugboy (“Lestofante”), un attraente mascalzone di chiare origini latine che di professione fa il “tirapiedi a noleggio”, che rimane affascinato tanto dal fisico (ragguardevole, lo ammetto) della sfortunata supereroina, tanto dal suo continuare a non arrendersi nonostante le fantozziane umiliazioni.
Più o meno contemporaneamente EMP entra nelle simpatie di Ninjette, prominente e quasi unica superstite di una famiglia ninja del New-Jersey (famiglia che lei stessa ha sterminato per liberarsi di un padre che definire abusivo è fare un complimento), e dell’Ineffabile Distruttore di Mondi (uso uno dei tanti titoli a caso che si auto-attribuisce), un Grande Antico di Eterno Potere che per motivi non molto chiari si trova confinato in una cintura di potenza e, quindi, deve per la maggior parte del tempo limitarsi ad abusare verbalmente, con letterate allitterazioni, le femmine che gli prestano ascolto.
A contorno abbiamo un mondo futuristico in cui i supereroi e i supercriminali sono “parte del paesaggio” e organizzati in “leghe” con tanto di “squadre”, “Consigli Direttivi” e persino “Premi alla Carriera” e, chiaramente, a seconda del successo diventano testimonial dei più vari sponsor: dalle bevande energetiche alle marche di armi “intelligenti” (pure troppo) e in cui EMP è la “stagista” della Squadra dei SuperHomey (SuperCompagnoni – ricorda qualcosa?) da cui, con l’eccezione di Capitan Rivetto, il metallico caposquadra, viene trattata come pezza da piedi.
Siete ancora con me? Bene, per peggiorare la situazione, lasciatemi precisare che Adam Warren non solo dedica largo spazio alle umiliazioni corporee di EMP che hanno lo stesso “tempo in scena” dei momenti di intimità con il suo compagno, ma fa largo uso di turpiloquio che però PECETTA ABBONDANTEMENTE in una continua censura, suppongo (spero!) ironica o metatestuale.
L’italianissima perifrasi “incidente in galleria” non riesce a rendere quanto l’anglofono “dumpster fire”, un cassonetto della spazzatura incendiato.
Eppure.
Eppure in tale e tanto olocausto di spazzatura, tra le braci brillano le intuizioni di quello che SAREBBE un narratore di categoria se non fosse più interessato a, perdonate il francesismo, “tette e culi” (letteralmente).
Brillano tanto nel livello “personale” in cui i personaggi in scena, compreso L’Eterno Conquistatore delle Dimensioni, mostrano una personalità che va oltre la macchietta: EMP ha in tutto e per tutto il carattere di una vera supereroina moderna, non solo disposta a qualsiasi sacrificio pur di evitare che chiunque altro esclusa sé stessa debba soffrire, ma anche determinata, combattiva e molto più astuta di quanto chiunque intorno a lei sia portato a pensare; Thugboy empatico e protettivo dietro la maschera da cinico “arrangiatore” ma con un passato che lo insegue e si manifesta in incubi orrendi; Ninjette apparentemente sventata, invincibile e inattaccabile ma a tal punto marchiata dal suo pessimo genitore da concedersi facilmente all’alcolismo e all’autodistruzione.
Brillano nelle relazioni che si vanno creando e che, paradossalmente, in un contesto parodistico e “zozzerellone” evolvono secondo gli stilemi del moderno “supereroismo di squadra”, con rapporti conflittuali che si risolvono ed altri che si rompono in tragedia – del resto in Teen Titans veniva ricordato che “Se è vero che i supereroi vincono sempre, le squadre prima o poi perdono un membro. Un pò di dramma rafforza il mito” – con supereroi “autentici” che però devono rinchiudersi letteralmente dentro una corazza di metallo per reggere il peso delle responsabilità, altri che non si interessano “del grande disegno” ma combattono per il loro ideale personale di giustizia ed altri ancora che sono in ballo solo per la fama ed il potere.
Brillano infine in una “costruzione del mondo” che è ricca e coerente, in cui tutto concorre a creare una distopia tutt’altro che luminosa che lascia intendere che l’opposizione di Supereroi e Supercriminali non sia alla fine che un vacuo spettacolo a beneficio di “esterni” che possono da un momento all’altro “staccare la spina” per noia (ok, non la metafora più sottile, ma comunque non male).
Tutta questa sostanza, quando la rende, Adam Warren la rende BENE e ci sono interi archi narrativi in cui gli attributi femminili vengono scostati (non completamente nascosti, ovviamente) in favore di una costruzione della tensione ritmata e costante che tiene il lettore sull’orlo della sedia, impossibilitato a credere che “andrà tutto bene”, come solo gli archi narrativi migliori del supereroismo (e della narrativa d’azione) riescono a fare.
Introduce o fa progredire, nel frattempo, molteplici sottotrame intrecciate che prendono il passato, spesso parodistico, dei protagonisti e antagonisti e lo trasformano in strumento di narrazione emotiva e carburante per sviluppi inaspettati.
Senza fare spoiler, in quello che al momento è L’Arco Narrativo con le maiuscole, Willy Pete (il soprannome che quei mattacchioni degli statunitensi diedero alle armi al Fosforo Bianco – “WP: White Phosphorus” -, che risate…), uno tra i più disgustosi e terrificanti supercriminali che io abbia visto disegnati, una sorta di incubo genocida sessualmente deviato… diviene con poche battute un risolutivo Deus Ex Machina.
Non una cosa da poco.
Tirando le somme: io non credo sarete contenti di leggere Empowered.
Sono abbastanza sicuro che se lo farete, esattamente come me, per l’80% del tempo vi chiederete perché lo state facendo e maledirete il mio nome.
E poi ci sarà quell’incredibile 20%…