Anatomia della morte di un dittatore
La figura di Iosif Vissarionovič Džugašvili, meglio noto come Stalin, è stata già analizzata e sviscerata nei suoi molteplici aspetti in tanti volumi biografici, libri di storia e volumi di saggistica.
L’opera La morte di Stalin – realizzata da Fabien Nury ai testi e Thierry Robin per il comparto grafico – decide di tenersi lontana da un’impostazione monografica, come appare evidente già dal titolo. Il volume del duo transalpino ripercorre con palese intento satirico gli eventi che si verificarono tra l’improvvisa morte del dittatore e la lotta intestina che si scatenò all’interno del comitato centrale del partito per la sua successione. Stalin è presente solo in poche tavole, ma la sua ombra – e non potrebbe essere diversamente – regna sovrana fino all’ultima pagina.
Originariamente diviso in due volumi (Agonie e Funérailles) pubblicati dall’editore Dargaud tra il 2010 e il 2012, il lavoro di Nury e Robin è uscito in Italia nel 2016, in un unico romanzo a fumetti per la casa editrice Mondadori nella collana Historica. Un’opera che, giustamente, ha suscitato il plauso della critica e ottenuto un ottimo successo tra il pubblico.
Come riporta la bella prefazione del volume italiano a cura di Sergio Brancato, “Nury e Robin raccontano il definitivo smascheramento di un’utopia trasformatasi in una brutale e opprimente distopia”. Lo fanno con un fumetto realistico e ben documentato. Che non significa precisione assoluta e corrispondenza perfetta alla realtà dei fatti raccontati: La morte di Stalin non è un trattato storico, né si prefigge di esserlo. Piuttosto vuole ricreare quell’atmosfera sinistra di terrore e precarietà che si respirava in quei tremendi anni della storia sovietica. Contemporaneamente, mette alla berlina le personalità deboli, confuse, servili e ipocrite dei dirigenti sovietici che, da burattini nelle mani del grande dittatore, si ritrovarono improvvisamente a prendere in mano le sorti della grande potenza mondiale.
Storici e intenditori cavillosi faranno notare che numerosi eventi non corrispondono alla realtà storica ed è indubbiamente vero. Non di meno nessun fatto viene distorto né tanto meno falsato o condizionato dalla percezione personale dello sceneggiatore: tutto resta al servizio dell’autenticità della visione di cui l’intera opera è imbevuta. La Storia al servizio di una storia si potrebbe dire, senza che la prima venga snaturata o tradita dal racconto offerto dall’autore.

Il lavoro di Nury non sbaglia un colpo e altrettanto efficace è quello di Robin. Preciso nella raffigurazione dei protagonisti realmente vissuti, sa caricare il tratto per accentuare gli aspetti più grotteschi e satirici del racconto, senza mai perdere di vista l’equilibrio della tavola. L’eccellente colorazione donata all’opera ricorda le parole dello storico Michel Pastoureau nel suo libro I colori dei nostri ricordi, in cui definisce la cromia vista nei suoi viaggi oltre cortina come “intermedia tra il marrone, il grigio e il viola (…) con una leggera eco giallo-verdastra”, da lui battezzata come “sfumatura comunista”.
Uomini sull’orlo di una crisi di nervi
Vista la forte componente storica e l’originale rappresentazione dei personaggi che la popolano, non stupisce che nel 2017 questo romanzo a fumetti sia diventato il soggetto per la realizzazione del film a produzione franco-britannica The Death of Stalin, diretto dall’italo-scozzese Armando Iannucci.
Tradotto nella versione italiana con Morto Stalin se ne fa un altro – titolo azzeccato, come non capita spesso – l’opera di Iannucci si dimostra fedele al graphic novel, accentuando la componente satirica e il clima di paranoia generale. Una tragedia farsesca, imbevuta di quella tipica comicità anglosassone, con qualche punta surreale che ricorda gli sketch dei Monty Python. Non a caso tra gli attori troviamo Michael Palin (un azzeccatissimo Vjačeslav Molotov), indimenticabile componente del sestetto comico britannico. Non mancano gli eventi drammatici, specchio di quell’epoca in cui – spesso – la vita delle persone era legata alla volubile volontà del potente di turno. Tuttavia vengono sempre sfumati attraverso buffe gag di stampo parodistico e da dialoghi brillanti e perfino sofisticati nell’evidenziare la mediocrità dell’apparato di comando sovietico.
Le figure dei componenti del comitato centrale beneficiano dell’indiscutibile talento di attori di tutto rispetto. Su tutti un incontenibile Steve Buscemi – nei panni di un ingegnoso e rapace Nikita Chruščëv – e Simon Russell Beale in quelli della figura più laida, cinica e volgare di tutti, Lavrentij Berija, crudele esecutore e ispiratore di molte persecuzioni, oltre che tristemente famoso predatore sessuale.
Quando la carta fa nascere la pellicola
Il film si pone come valida trasposizione cinematografica del fumetto, mantenendo lo stesso registro di feroce parodia e riuscendo a filtrare le belle tavole di Thierry Robin attraverso le prerogative di un linguaggio capace di ben combinare immagine, movimento, narrazione e tempo.
Se da un lato viene rispettata l’opera ispiratrice, dall’altro Iannucci e tutto il cast riescono a donare ulteriore enfasi ad eventi che rappresentano ancora una ferita aperta per la società russa. Ne sono testimonianza le polemiche che, all’epoca della presentazione del lavoro di Iannucci, esplosero in Russia e in altri stati ex sovietici, generando boicottaggi e divieti diffusi alla distribuzione del film.
Due opere ben realizzate e degne di interesse, che giovano della presenza l’una dell’altra. Un felicissimo incontro tra settima e nona arte, summa della potenza di due diversi linguaggi capaci di tradurre la realtà con creatività e maestria, non solo per noi appassionati di fumetto e cinema.