Fin da quando ho immaginato questi articoli, come una sorta di atti del dramma teatrale greco – a me molto cari – ho sempre pensato che in un modo o nell’altro avrei scoperto cose affascinanti legate all’edificio del faro, a cui questi scritti sono dedicati.
Non avrei mai immaginato di scovare opere ed autori così straordinari da lasciarmi trafiggere l’anima con una freccia scoccata nell’invisibilità sul mio inconscio. Trafitto sensibilmente e arroccato su un basamento in balia delle acque torbide e fredde dei mari del mondo.
Oggi farò un’eccezione alla regola e non vi presenterò un dittico (come successo per l’atto I e l’atto II) bensì un solo fumetto che, di per sé, rappresenta bene – da solo – l’amore con cui è stato concepito.
Ho fatto riferimento al teatro greco non solo per la mia formazione da scenografo teatrale, ma soprattutto per la soggettività di cui questi scritti sono (volutamente) arricchiti.
Il dramma greco (principalmente la tragedia) è concepito come un evento solenne, rituale e collettivo che riflette sui grandi temi della vita e della polis. L’opera di cui vi parlerò oggi verte la sua attenzione propriamente nella solennità umana e sociale, sull’amore e sul costrutto di identità e sacralità della vita. Un po’ come alcuni grandi romanzieri dell’800 che esploravano la costruzione sociale e l’identità individuale. Il fumetto di oggi si costituisce attraverso le sue 370 pagine ed oltre per diventare struttura portante di un faro in mezzo al mare.
Solingo (Tout seul)
Nel 2008 Christophe Chabouté decise di scrivere e disegnare un fumetto in cui l’espressione “da solo” fosse rappresentata in maniera incontrovertibile e con un senso di efferatezza sociale.
La trama è semplice: un’isola rocciosa, dominata da un faro solitario. L’uomo che lo abita, deforme e mai allontanatosi da quello scoglio, vede il suo isolamento interrotto quando un giovane marinaio, incaricato di portare le provviste, inizia a interagire con lui.
Il palcoscenico è vuoto, Chabouté diventa allo stesso tempo fumettista e regista, mette in scena uno dei drammi più silenziosi e solitari che abbia mai letto. Levato il sipario, lo scenario che se ne trae diventa uno spettacolo in cui la deformità umana non è pura e semplice deformazione corporale ma un miscuglio di sentimenti che tormentano il protagonista ed il lettore.
Nondimeno, la scenografia principale è costituita da un unico elemento: il faro.
Come già scritto negli atti precedenti, questo edificio non è semplicemente una forma di mattoni e cemento ma assume una sua oggettualità che trasmuta nella realtà umana come un compagno di viaggio.
Mi torna in mente uno dei più grandi drammaturghi del passato, William Shakespeare, famoso per il suo approccio con la scenografia, perché lasciava che i suoi attori alludessero al contesto attraverso le parole, i gesti e le percezioni che riuscivano a trasmettere al pubblico. La scenografia shakespeariana non era illusiva, ma allusiva. Non voleva ingannare, bensì mostrare, spingere lo spettatore a guardare oltre con la propria immaginazione.
Ebbene, questo riferimento ci aiuta a comprendere come Solingo sia un fumetto che attinge molto bene alla fantasia che il lettore dovrà avere per immergersi nel desolato faro a vivere contestualmente la relazione umana che intercorre tra il protagonista e il contorno.
Il riferimento al teatro con questo(i) articolo(i) è dovuto anche alla libertà che mi son posto nel momento in cui ho deciso di scrivere del faro come oggetto romantico e non, quindi, delle vere e proprie recensioni. Proprio perché mi preme lasciarmi andare con le parole e l’immaginazione.
Solingo è un fumetto dal sapore collettivo che emerge dalle acque per entrare nei meandri del cuore e scaldarlo, attraverso la sapiente linea grafica che il fumettista francese riesce a mettere su carta.
Sarà proprio la linea semplice del disegno che tesserà l’andamento, come anche la struttura narrativa, di questa storia. Un bianco & nero che resiste al tempo, che bagna le nostre menti e si lascia andare via come i gabbiani e le foglie che Chabouté riesce a intercalare in uno spazio dove gli alberi non esistono.
E poi gli oggetti, la vita come un atto di raccolta di sé, una memorabilia incastonata dei luoghi chiusi e poco ameni del faro che, per certi versi, sono esplosi in una plurivisione delle vignette da cui si forma.
E poi ancora la scrittura, che esce dalla struttura del racconto per diventare iconografica attraverso le etimologie delle suddette parole con cui lo stesso protagonista si plasma e dà forma alle proprie immaginazioni.
Ecco, per concludere, il fumetto di Chabouté è un tributo all’amore, paragonabile allo spettacolo teatrale come messa in scena ma identificabile con la vita perché reale. È un’esperienza per l’inconscio.
Al prossimo appuntamento…
