Yiyun di Cosey

“Yiyun” di Cosey

La levità del racconto e la gravità dei fatti : il nuovo fumetto di Cosey

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Umberto Eco ha scritto che la forza dei Peanuts di Charles M. Schultz risiede nel ripetere incessantemente, con un ineguagliato senso del ritmo, lo stesso elemento fondamentale, come nel jazz una certa frase musicale. Lo stesso si può affermare per Cosey. Anche in Yiyun un giovane occidentale si innamora di una ragazza esotica (cinese questa volta), tropismo-marca di fabbrica dell’autore svizzero, e anche questa volta con levità si affrontano temi gravi: in Jonathan l’oppressione del Tibet, qui la politica cinese del figlio unico, un disastro umano e sociale in vigore per trentasei anni sino al 2015.

Ma a differenza di altri capiscuola della bédé franco-belga (spiace ammetterlo: Hermann su tutti, le cui cadenze annuali poco giovano alla qualità), Cosey lascia maturare le storie (Calypso data 2017, La piste de Yéshé, ultimo tomo di Jonathan, è del 2021; entrambi non tradotti) attraverso un tratto, riconoscibile anche nelle inquadrature, che non mostra cedimenti.

Soprattutto, è palpabile il piacere del disegno: Cosey gioca col lettore, riproponendo per esempio, senza essere testamentario, la tavola emblematica de Alla ricerca di Peter Pan (1984) dello sciatore sul pendio innevato, e giocando innova. Facendo dell’arte del ritaglio della carta e delle simmetrie che ne nascono una delle chiavi della storia, Cosey si permette tavole uniche in cui spazia dal profilo di Corto Maltese a Topolino ai Puffi senza soluzione di continuità, attraverso linee sinuose che l’Oriente uniscono all’Occidente, deviando poi dal racconto con cinque pagine inattese di umorismo assurdo degno dei Monty Python che l’autore stesso suggerisce di saltare.

E lo fa con una generosità rara: non solo il volume è preceduto da un’ampia introduzione storico-critica sul taglio della carta, ma da una breve storia di Maou, giovane leva cino-francese che fu vittima di quel che la storia denuncia e il cui segno è lontanissimo da quello di Cosey. Il gesto si rivela allora per quel che è: il passaggio di consegne di un Maestro con gli occhi ancora aperti sul mondo.

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Vasco Zara

«Mi disseto un momento e cominciamo subito»

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