Il bello della lettura “lenta”
Capita, in quest’epoca un po’ strana in cui tutto va veloce – e se non lo fai anche tu ti considerano un po’ fuori dal mondo – di perdersi in una miriade di letture fumettistiche. Ci sono quelle che passano inosservate, quelle che ti ricordi vagamente e poi ci sono quei fumetti che ti si stampano nella testa per sempre, che ti suscitano qualcosa di importante. Quelle storie che – quando le leggi – inizi a fantasticare, quasi tu fossi a fianco del protagonista. Avventure che – quando le leggi – ti sembra di sentire i profumi, le chiacchiere della gente che vedi disegnata nelle tavole, il vociare delle comparse in secondo piano, il rumore delle onde del mare, il salmastro che si accompagna alle folate di vento, la rena tra le dita dei piedi.
C’è un prodotto in edicola che ancora oggi riesce a dire la sua: si tratta della Nuova Ristampa Dago Colore, la nuova ristampa cronologica della serie storica di Robin Wood e Alberto Salinas, giunta mensilmente in edicola al n.122.
Capita di rimanere ipnotizzati dalle microstorie della serie all’interno dell’intera macrostoria del personaggio. Robin Wood era capace di questo: il suo modo di narrare era quasi ipnotico, non artefatto e veloce, bensì calmo, riflessivo e molto in linea con la realtà del contesto rinascimentale. Perché in Dago le piccole storie delle persone comuni, quelle ai margini, sono l’ingrediente principale per rendere credibili e ancora più affascinanti le avventure di Cesare Renzi.
Di Dago c’è poco da dire: una figura potente, intrigante, un personaggio credibile, un affresco simile ad un cavaliere senza macchia e senza paura e talvolta ad un Tex Willer del Rinascimento. È un uomo che ha subìto tanti tradimenti: indimenticabili le prime pagine del complotto politico ordito da Barazzutti – amico giurato di Cesare Renzi – in quel di Venezia che portò al massacro dell’intera famiglia Renzi e al ferimento di Cesare e al suo inizio di vita da schiavo. Dago, appunto. Wood ai testi e Salinas ai disegni: così è stato per molto tempo.
Una delle caratteristiche fondamentali incarnate da Wood nel suo personaggio, è sicuramente quel senso di giustizia che gli consente di rispettare i più umili senza fare distinzioni di ceto sociale, fede religiosa o ricchezza. Dago è Dago. Basta sussurrarne il nome e il fedele lettore non può esimersi dal fantasticare sulla potenza di quelle storie di un tempo passato, che forse non torneranno più.
La Nuova Ristampa Dago Colore è un toccasana per questo mondo impazzito. Ti capita infatti di imbatterti in Eroi e traditori, il n.119 uscito a fine maggio 2025.
Piccola precisazione: la “Nuova ristampa” nasce ed è pensata a colori, dal primo numero, mentre la prima ristampa del 2002 uscì inizialmente in bianco e nero e passò al colore solo negli ultimi albi. La differenza principale, però, riguarda la titolazione: nella “Nuova ristampa” i singoli volumi adottano spesso titoli diversi rispetto a quelli del 2002, per cui la corrispondenza numero-per-numero non è sempre immediata. Altro elemento cardine che rende la Nuova Ristampa Dago Colore un prodotto unico, è rappresentato dalle copertine di Vincenzo Mercogliano, una delle nuove colonne di Dago e dell’Aurea. La divisione in capitoli dal n.1 in avanti è un altro elemento interessante della ristampa. Il n.119 si apre con il capitolo 816, per esempio. È la classica divisione in ordine cronologico di quando queste storie, adesso ristampate a colori, uscivano in brevi episodi su Lanciostory.

L’apertura di questo albo è un esempio della sapienza di Wood e ci fa capire che perdita sia stata la sua dipartita da questo nostro mondo.
C’è un cavallo nero (i lettori più esperti già lo conoscono per avere letto e riletto queste pagine in altri formati o sull’altra ristampa), Diavolo, colui che diventerà il cavallo personale di Dago, in poche vignette, due allevatori che lo osservano, e ne svelano il nome. Carlos Gomez, nel pieno del suo momento artistico più elevato sulle pagine del Giannizzero Nero, fa il resto. La criniera di questo splendido animale sembra davvero muoversi seguendo le folate del vento. A noi lettori, sbattuti a destra e a sinistra tra mille cose da fare, sembra quasi di sentire il nitrire di questa fiera bestia, percepiamo il suo respiro calmo e deciso.
Un Dago osservatore a Trieste: quando finzione e realtà storica si fondono
Siamo a Trieste, in una vicenda che vede Dago farsi amico dei triestini e diventarne guida, facendo leva sul commercio e sull’autonomia della città contro il sistema di potere dei potenti governanti della città. Ci troviamo nella prima metà del Cinquecento: il Mediterraneo e l’Europa centrale erano teatro di forti tensioni economiche, le grandi famiglie mercantili da una parte e i contadini – gli oppressi – dall’altra. Da una parte i palazzi del potere, dall’altra le campagne. Le materie prime di quest’ultime alimentavano i traffici delle ricche città costiere, come Venezia e, appunto, Trieste.
E Dago? L’eroe rimane spettatore: osserva, non parla molto. Il ritmo della narrazione segue quasi quello dell’evoluzione di ciascun personaggio: Dago è quasi un tutt’uno con le panche di legno della locanda. È questo territorio di incontri, di chiacchiere e di informazioni preziose.
Tanti i personaggi: il nobile Verrucci, in apparenza un nobile come tanti che rimane colpito dal fascino selvatico e quasi “cattivo” della misteriosa Eva; lei, una ragazza mai sorridente, occhi di ghiaccio come due coltelli affilati, parla poco e dopo molte reticenze sembra andare d’accordo solo con Dago, anche se il nobile Verrucci si interessa a lei, in modo tutt’altro che superficiale (il suo sarà un interesse quasi paterno). E poi c’è Padre Bello: un sacerdote che cerca di ricostruire la chiesa del paese, distrutta dai nobili che ruotano intorno a Verrucci. Bello diventa amico di Dago, ma Wood ci ha insegnato che l’abito spesso non fa il monaco. E qui – gioco di parole a parte – proverbio non sarà più azzeccato.
La Storia, quella con la esse maiuscola, è un altro elemento che affascina sempre i lettori quando si pensa a Dago. E leggere questa ristampa è un po’ come tornare indietro nel tempo, un tempo in cui Wood e Gomez erano una delle coppie artistiche capaci di realizzare capolavori costanti della Nona Arte.
Dago ha infatti una casa che l’aspetta – ve lo ricordate questo periodo del personaggio? Una casa, a strapiombo sul mare, in un villaggio simile a tanti piccoli borghi dell’epoca, dove gli abitanti, prima guardinghi e sospettosi, sono adesso i guardiani di quella casa, che attende il suo ritorno.
Ma Dago è lontano da “casa”.
E Wood sa rappresentare bene quel malessere viscerale e quella frustrazione che vede vittime gli abitanti del villaggio triestino in cui Dago è giunto. Una frustrazione mista alla disperazione di una comunità ormai legata mani e piedi ai ricchi governatori. E qui c’è una corretta analisi storica che l’autore ci propone della Trieste dell’epoca: una città ormai senza controllo, governata da bande, faide interne.
Da una parte Venezia che continua ad espandersi – grande assente nel racconto, ma che quasi si trasforma in una cappa silenziosa sopra le teste dei personaggi e di noi lettori – e dall’altra il potere degli Asburgo sempre più forte.
Il ritorno a casa: metafora del vivere “lento” attraverso una lettura riflessiva

Il tempo nella vita trascorre inesorabile. Va avanti, a prescindere dagli eventi, belli o brutti che siano, dai traumi, dalla felicità. Il tempo ha la sua corsa, e Dago sembra quasi seguirlo: lo fa spesso. Ogni avventura, ogni legame instaurato, trascorre e ha la durata di una pagina letta e voltata. Dago non si guarda mai indietro: solo in avanti. Così lascia Trieste, il villaggio e prosegue in sella al suo nuovo amico, Diavolo. Nel capitolo 821 avviene il miracolo, che si riconduce a ciò che abbiamo detto all’inizio di questo approfondimento, di come Wood sappia dettare il tempo, mai veloce, della narrazione.
Noi come lettori ammiriamo le tavole di Gomez, quasi mosse dal vento del mare.
Il ritmo è fluido e calmo, ci fa riflettere.
È quasi una medicina nell’era del tutto e subito.
Dago cammina a piedi scalzi sul bagnasciuga in compagnia di Diavolo: la luce del sole ha superato mezzogiorno, la colorazione di queste pagine è perfetta (nulla a che vedere con le colorazioni piatte di un tempo). I gabbiani volano nel cielo.
Dago è sereno, parla con il suo cavallo – un breve scambio di battute – prosegue nella sua camminata tranquilla.
Quelle colline lontane dal mare le conosce benissimo, così come conosce bene il profumo del salmastro di quella zona. E infatti, girato l’angolo eccola: la sua casa.
L’unica cosa materiale che è sua.
Noi sappiamo che per lui non è un oggetto materiale, bensì il cuore pulsante della sua tranquillità e del suo silenzio. Incastonata su un dirupo ben solido, circondata da vegetazione: sembra quasi che quelle quattro mura respirino.

Dago ritrova Boreas, il suo amico, un tempo un vecchietto acciaccato e barbuto, ora un uomo quasi ringiovanito: si è preso cura della casa del viandante ed è diventato un buon marito. I due si crogiolano alla luce del tramonto, seduti su una panchina sotto il pergolato, ad ammirare le onde del mare. Dago emana tranquillità estrema, nonostante il vissuto – <<Sono andato in giro>> dice sintetico a Boreas – e beve insieme al suo amico ritrovato un bel bicchiere di vino.
È questo che rende realistica e credibile una lettura: piccoli gesti, una situazione del tutto normale, raccontata così come dovrebbe essere.
Ci sarà tempo per nuove avventure, nuovi problemi, nuovi personaggi. Basterebbe voltare pagina e ne vedremo subito uno, ma noi lettori ci perdiamo nel protagonista che prepara le reti e se ne va il mattino seguente a pescare nel “suo” mare. Lo seguiamo e ci sembra di sentire i rumori di queste scene.
Eccola qui la magia di una lettura lenta e rilassante.
Solo Wood e pochi altri sono stati in grado di eseguire un incantesimo del genere.
Certe ristampe valgono ancora la pena di essere lette.
NUOVA RISTAMPA DAGO N.119
“Eroi e traditori”
Soggetto e Sceneggiatura: Robin Wood
Disegni: Carlos Gomez
Copertina: Vincenzo Mercogliano
16 x 21 cm, 98 pagine, colori
Aurea Editoriale, maggio 2025