A New Hope, cittadina dello Utah abitata da una comunità agricola mormone, si è persa ormai ogni speranza. Non è un paradosso né un sarcastico gioco di parole sul nome del luogo: la sopravvivenza degli abitanti è costantemente minacciata da una misteriosa compagnia di individui dalle sembianze mostruose. Nulla si sa sulla loro origine, forse qualcosa della loro provenienza, la vecchia miniera sulle montagne. L’unica certezza è che vivono del frutto delle loro razzie e la loro ferocia non risparmia nessuno, neanche le donne e i bambini.
Jakob, il membro più autorevole della comunità, si imbatte per caso in Tex e Carson e ha modo di ammirarli in azione. Ai suoi occhi di anziano mormone i due sono una coppia di angeli giustizieri: il loro incontro è un segno del Destino. Saranno loro a restituire la pace perduta alla sua gente, con le loro pistole. I suoi modi pomposi suscitano la poco divertita ironia del burbero Carson, ma una richiesta d’aiuto da parte di qualcuno non giunge mai inascoltata alle orecchie dei ranger. Nonostante gli inevitabili borbottii del Vecchio Cammello la decisione è presa: si segue la pista che porta a New Hope.
I testi di questa storia sono del compianto Gianfranco Manfredi, le tavole sono dell’argentino Carlos Gómez. È una coppia che abbiamo già visto insieme all’opera: la loro precedente collaborazione è il Texone del 2011 Verso l’Oregon. Il richiamo a quell’episodio non è casuale, alcune tematiche ed atmosfere le troviamo qui riproposte. C’è un difficile viaggio verso una località isolata dove succede qualcosa di poco chiaro. L’implicita ostilità degli abitanti del posto, chiusi e diffidenti verso qualsiasi forestiero, sembra voler mascherare qualche scheletro nell’armadio. Lo strano atteggiamento e le ambigue parole del maggiorente della comunità ottengono l’effetto (voluto?) di moltiplicare i dubbi più che dissiparli. C’è il fondato sospetto che il vero problema sia annidato all’interno della cittadina stessa.
Uno dei riferimenti cinematografici di Manfredi, all’atto della stesura di questa vicenda, sembra essere I sette samurai, monumentale (per concezione, realizzazione e potenza narrativa) pellicola del 1954 del regista giapponese Akira Kurosawa. Non è difficile riconoscere, nei pavidi abitanti di New Hope, la riproposizione odierna dei contadini del villaggio nipponico, incerti se temere di più i briganti razziatori oppure i samurai ingaggiati per difenderli. La priorità, per Tex e Carson, è stabilire un rapporto solidale con la comunità, improvvisando una sommaria linea difensiva del posto e arruolando, allo scopo, gli imbranati cittadini a cui viene imposto un basilare addestramento all’uso delle armi.
Ma se la reciproca conoscenza tra assediati e difensori, imposta dal dover fare fronte comune contro il nemico, è presa di peso dal racconto del regista del Sol Levante è un altro film a fornire la maggior parte degli spunti allo sceneggiatore. Nel 1977 il regista Wes Craven fece uscire nelle sale Le colline hanno gli occhi, l’allucinata storia di un conflitto brutale tra una ordinaria famiglia di camperisti in viaggio e una tribù di esseri deformi, cresciuti nell’ombra di esperimenti nucleari e abbandonati ai margini del deserto. Resi disumani da un’eredità di violenza e isolamento, agivano spinti dall’istinto di sopravvivenza e sopraffazione.
I richiami alla pellicola di Craven sono già nel plot del racconto: uno scontro tribale tra due gruppi che, all’esito della battaglia, si rivelano molto più simili tra di loro di quanto sembrasse all’inizio. Se è vero che la famiglia Carter del lungometraggio si dimostra persino più spietata dei suoi assalitori nella lotta per la sopravvivenza, è altrettanto innegabile che l’arida meschinità dei componenti della confraternita mormone risulta non meno agghiacciante delle deformità fisiche dei loro avversari. Manfredi evidenzia chiaramente che, in questa disputa per il controllo del territorio, l’ipocrita conservatorismo perbenista di Jakob e dei suoi maschera un primordiale istinto di prevaricazione verso il prossimo terribilmente speculare alla crudeltà selvaggia dei cosiddetti “mostri”.
Che questi ultimi suscitino un ancestrale terrore a prima vista è fuori discussione. La sequenza dell’attacco a Tex e Carson nella foresta che circonda il loro covo è emblematica, per costruzione scenografica ed impatto visivo. Al grido di richiamo del capo degli assalitori emergono dalle ombre del bosco delle figure inquietanti. Visi sfregiati, carne ustionata, arti mancanti, espressioni belluine. Le indicazioni di Manfredi saranno state molto precise, ma è l’arte di Gómez – con un magistrale gioco di ombre e chiaroscuri – a rendere così vivida la galleria di freaks che cerca di impedire l’accesso alla miniera ai nostri. Il talento dell’argentino nel creare visi in grado di esprimere violenza, però, non si limita certo ai tratti lombrosiani delle facce dei guerrieri del gruppo. Con pochi, calibrati colpi di pennello delinea la grottesca figura dell’ineffabile matriarca del clan, sospesa tra un’evidente vena di follia e un sadico gusto di rivalsa sugli abitanti di New Hope nel pregustare il momento in cui guiderà i suoi all’assalto della cittadina per vendicarsi di un tragico errore del passato, che ha dato origine alla congrega di predoni.
Infine, anche la figura del patriarca del gruppo, unico ad avere un aspetto normale e, per questo, ritenuto superiore agli altri e meritevole di avere un ruolo di comando, trae origine dalla beffarda allegoria sociale di Craven. Il parallelismo è sempre quello: da una parte Bob, il capofamiglia dei Carter, un ex poliziotto di chiare idee repubblicane, che conserva con cura la sua pistola di servizio e, dall’altra, Papà Giove, il capotribù dei cannibali. Siamo così sicuri che l’apparente normalità del primo non celi, in realtà, un odio così viscerale per chiunque percepisca come diverso al punto da suscitargli, in caso di incontro, l’irrefrenabile desiderio di spazzarlo via dalla faccia della terra? E come facciamo a sapere che la richiesta di aiuto di Jakob a Tex non sia motivata, in realtà, dalla medesima voglia di distruggere chiunque non sia allineato alla sua visione del mondo?
Domande da horror rurale, o da western revisionista, a cui la Colt di Tex fornisce la sua risposta nel confronto finale, senza però poter dissipare i dubbi. Del resto, come lui stesso afferma, non gli spetta il compito di giudicare, quanto di proteggere i più deboli. E, infatti, anche stavolta, ha combattuto non tanto per difendere interessi consolidati, rappresentati dall’untuoso capo mormone Jakob, quanto le vittime indifese della situazione, come il piccolo apache Toby, emarginato alla stessa maniera tanto dagli urbanizzati abitanti di New Hope quanto dalla sua efferata famiglia adottiva.
Tex n.776 “New Hope” – da pag. 75
Tex n.777 “I dimenticati”
di Gianfranco Manfredi, Carlos Gomez
16×21 cm, 96 pagine, b/n, 5,80 €
Sergio Bonelli editore, giugno – luglio 2025