Con La morte della famiglia torna Cani Sciolti, la serie creata da Gianfranco Manfredi per Sergio Bonelli editore nel 2018 e pubblicata prima con una collana in 4 volumi cartonati e quasi contemporaneamente con una serie da edicola in 14 numeri nella linea Audace, interrotta anticipatamente a dicembre 2019 con la vaga promessa di una ripresa delle 6 storie mancanti nella collana da libreria. La chiusura della serie fu la testimonianza, una volta di più, della scarsa fortuna attuale del fumetto popolare nelle edicole italiane e dell’etichetta bonelliana Audace in particolare.
Dopo due anni e mezzo, a dimostrazione – una volta di più – della serietà della casa editrice, ecco arrivare La morte della famiglia, volume che contiene due storie sceneggiate da Gianfranco Manfredi e illustrate da Sergio Gerasi (già disegnatore dell’ultimo volume uscito in libreria nel novembre 2020, Milano spara).

Come già raccontato nell’articolo Una serie troppo Audace, Cani Sciolti racconta le avventure di un gruppo di giovani milanesi a partire dal 1968 fino al 1988, ripercorrendo alcuni degli eventi storici che hanno contrassegnato la società italiana.
Nelle due storie contenute in questo volume siamo nel 1974: nel primo episodio, Genitori e figli, il cantante Milo si arrabatta per proseguire la sua carriera musicale, affidandosi malvolentieri ai consigli della madre, fino ad arrivare a scoprire l’identità del padre, un musicista jazz americano tossicodipendente. Tutto l’episodio è incentrato sui rapporti tra i protagonisti e i loro genitori, mettendo in scena i contrasti generazionali tipici dell’epoca. Come di consueto per questa serie, emergono nella narrazione anche altri aspetti, ad esempio la particolare visione della sessualità, con il padre di Armando che accompagna il figlio in un bordello.

Più approfondito il percorso di Turi, che accompagna il padre in Sicilia per il funerale del nonno paterno che non ha mai conosciuto. Il padre e il nonno di Turi smisero di parlarsi a causa dell’atteggiamento omertoso del secondo verso la mafia degli anni ’20, quando neppure le retate del celebre prefetto Mori riuscirono a interrompere i legami tra le cupole e lo stato fascista. Le scelte dei genitori, coraggiose o meno, influiscono sulle vite dei figli anche negli anni ’70: stupisce in ogni caso la capacità di Manfredi, ben assistito dall’elegante Gerasi, nel riuscire – in poche pagine – a immergere il lettore in dinamiche così lontane nel tempo.
Con un repentino cambio di stagione ci spostiamo poi a dicembre, con l’episodio La morte della famiglia, titolo che cita il saggio dello psichiatra sudafricano David Cooper (letto da Lina) sulla teorizzazione della contestazione della famiglia tradizionale. Da un lato la ricca borghese Marghe decide di sbarazzarsi dei vestiti della sua defunta madre, immergendoci in una rapida incursione nel mondo della moda dell’epoca, in pieno contrasto con i movimenti giovanili: la giovane ereditiera decide di mettere all’asta i preziosi abiti a beneficio di Soccorso Rosso, l’organizzazione creata da Franca Rame che assisteva i detenuti politici dell’epoca. L’evento organizzato da Marghe e Lina richiama l’attenzione non benevola di un delinquente di mezza tacca, che organizza un ricatto che finisce inevitabilmente in farsa.

Turbata dagli eventi e in lite con lo storico fidanzato Paolo, Lina torna a Bormio per le festività di Natale, che festeggia con i suoi familiari (decisamente tradizionali). Inevitabili gli scontri tra la cittadina Lina e il resto della sua provinciale famiglia, legati soprattutto alle divergenze sul ruolo della donna in casa. Curiosa la visione di C’eravamo tanto amati, film classico di Ettore Scola (all’epoca in programmazione nei cinema), ma anche la diretta televisiva della messa di Natale del 1974 alla basilica di San Pietro, con i calcinacci sul Papa durante la funzione.
Basilare l’articolo finale di approfondimento di Manfredi, “Questa casa non è un albergo”, che illustra sapientemente il clima culturale e sociale dell’epoca che hanno ispirato le due storie di questo volume, dalle scelte politiche ereditarie all’affermarsi della musica Jazz in Italia.
Nonostante il periodo di tempo passato tra l’ultima uscita in edicola e questo nuovo volume, è facile ritrovare il filo della narrazione e la complicità con i vari personaggi, grazie alle capacità narrative di Manfredi che ha costruito un cast di protagonisti che si sono imposti poco a poco, catturando l’attenzione dei lettori che si sono affezionati alle avventure – in fondo minimaliste e di basso profilo – dei suoi Cani Sciolti, ottima occasione per raccontare la società italiana di quegli anni, in fondo non così distante dalla nostra nonostante i cinquant’anni passati.