Alla fine degli anni Ottanta la collana di Tex staziona, ormai, in acque tranquille. L’emorragia di vendite del principio del decennio si è arrestata, i numeri forniti dai distributori sono, se non travolgenti, almeno confortanti e persino i lettori sembrano aver accettato di buon grado il nuovo corso della testata. L’anziano demiurgo G. L. Bonelli, dopo decenni di dominio in esclusiva per la scrittura degli episodi, ha passato ufficialmente le consegne al suo erede Claudio Nizzi. Quest’ultimo, dal canto suo, assicura l’omogeneità della serie occupandosi, salvo rare eccezioni, della stesura di ogni singolo albo. E, in ogni caso, a garantire la fedeltà ai parametri imposti dal creatore del personaggio c’è la supervisione dell’editore Sergio Bonelli e del Direttore Generale Decio Canzio.
Insomma, la situazione appare consolidata a prima vista ma uno sguardo più attento riesce a scorgere le prime crepe in un muro che viene fatto credere solido. È vero che i lettori continuano a recarsi in edicola per seguire le avventure del ranger ma, per la maggioranza di loro, non c’è più l’identificazione fideistica totale con il personaggio. È vero anche che Sergio Bonelli vigila sulla sorte della creatura di suo padre ma assolve ai suoi doveri con l’attenzione di un precettore tanto diligente quanto bonario. È fin troppo sollevato all’idea di non avere più la responsabilità diretta dell’ideazione delle nuove avventure texiane, fin troppo lieto di lasciare le briglie sciolte al suo rimpiazzo. Si è defilato da ogni ruolo creativo, senza neanche tentare di mettere al vaglio eventuali soluzioni alternative a Nizzi. E questa miscela di distacco emotivo e mancanza di programmazione non lascia molto spazio all’ipotesi di un futuro senza scosse.
Ben presto, infatti, il solo scrittore rimasto in forza alla serie comincia a dare segnali di stanchezza. Nizzi ha l’incarico di gestire tutti i disegnatori presenti nello staff e di rifornirli regolarmente di tavole da realizzare. Non si tratta solo di concepire trame e metterle nero su bianco, ma anche di scegliere l’artista più adatto al tipo di racconto, stimolarne l’estro creativo con soluzioni su misura, supervisionare il lavoro che concretizza. Un lavoro di coordinamento e cura redazionale gigantesco che solo in parte può essere svolto da Bonelli e Canzio. Dopo un certo periodo lo stress prende il sopravvento su Nizzi e determina un progressivo inaridimento delle sue storie, che procede in parallelo con il deteriorarsi dei rapporti con i colleghi di lavoro.
Il caso più grave è quello che riguarda Guglielmo Letteri. L’artista romano, classe 1926 e al servizio di Tex sin dalla prima metà degli anni Sessanta dopo esperienze lavorative in Argentina ed Inghilterra, non riesce proprio a sintonizzarsi con il nuovo sceneggiatore. Le accuse sono reciproche (Letteri rimprovera a Nizzi di costringerlo a disegnare personaggi ed ambienti non adatti a lui, quest’ultimo gli rinfaccia uno scarso impegno nello sviluppare graficamente le sue trame), le lamentele da ambo le parti all’editore sono all’ordine del giorno. Sergio Bonelli è tra l’incudine e il martello: da un lato non può privarsi dell’apporto dell’unico sceneggiatore della collana, ma neanche può consentire che venga mortificato cosi il talento di una colonna portante della serie. Per risolvere il problema si decide di continuare a farli lavorare entrambi ma separatamente.
L’idea è quella di assicurare il lavoro a Letteri, rispolverando alcune vecchie sceneggiature di G. L. Bonelli in un primo tempo scartate a favore di altri episodi ritenuti più meritevoli. Con un lavoro di rifinitura ed integrazione ad opera del redattore tuttofare Tiziano Sclavi sono pronte per il tavolo da disegno dell’artista romano. Tutto come previsto, salvo la ben nota velocità di esecuzione del disegnatore. Letteri è una macchina da guerra, capace di macinare anche trenta tavole al mese. È subito chiaro che il materiale tirato fuori dall’archivio di redazione non basterà a tenerlo impegnato a lungo. E, una volta accertato che c’è bisogno di più di trecento pagine di sceneggiatura all’anno per non sprecare la sua inarrestabile vis creativa, è evidente anche che c’è l’immediata necessità di trovare un’altra penna in grado di scriverle.
Ma, questa volta, la ruota della fortuna gira a favore della casa editrice di Sergio Bonelli. Giancarlo Berardi, genovese classe 1949, autore che vanta un notevole talento ed un fedele ma poco nutrito séguito di appassionati, in quel periodo è reduce da una sfortunata avventura editoriale in proprio con il suo eroe western anticonformista Ken Parker. Si trova senza proposte di lavoro e con una gran voglia di tornare al più presto in pista, con un progetto che sia all’altezza delle sue ambizioni. I contatti con il suo vecchio editore sono ben presto riallacciati, non ci vuole molto per mettersi d’accordo. Una stretta di mano sancisce l’impegno di Berardi a scrivere una lunga sceneggiatura per la serie regolare di Tex. La matita scelta per illustrarla è, date le premesse, ovviamente quella di Letteri.
Se l’esperimento avesse un felice esito, Sergio Bonelli prenderebbe due piccioni con una fava. Da un lato potrebbe ancora fare affidamento sulla formidabile produzione annuale di tavole assicurata da un rimotivato Letteri, dall’altro si ritroverebbe in casa un’ottima alternativa a Nizzi, in grado di sgravarlo da una buona parte del lavoro. Lo sceneggiatore ligure non sembra avere timori reverenziali nei confronti del personaggio né incertezze nello scriverlo. Scelto un soggetto ed avuta l’approvazione della redazione Bonelli si mette all’opera. Letteri riceve puntualmente le tavole da disegnare e le realizza con l’entusiasmo dei tempi migliori. Nel giro di poco più di un anno la storia, di ben 348 pagine, è pronta per la pubblicazione.
Nel dicembre 1991 i lettori di Tex ricevono un regalo inaspettato: un albo supplementare, nel classico formato bonelliano ma di foliazione molto più consistente. È proprio la storia di Berardi e Letteri, pubblicata fuori dalla serie regolare come numero extra. È la stessa soluzione adottata tre anni prima, in occasione dell’uscita del primo Texone: un’uscita in edicola, ma sotto forma di evento speciale. Le motivazioni? Sono le stesse: allora erano i disegni di Buzzelli, ritenuti troppo distanti dai consueti standard della collana, adesso sono i testi di Berardi.
Sergio Bonelli, nell’editoriale di presentazione dell’albo speciale, prova a spiegare i motivi della sua decisione. Conferma che ha commissionato lui la storia all’autore, chiedendogli di cimentarsi con il ranger ma presentando il tutto come una sfida lanciata al talento dello scrittore genovese. Ha parole di miele per lui, lo definisce “il poeta dei fumettari” e fa partecipe il pubblico del suo dubbio amletico: la poetica berardiana, che ha fatto grande l’eroe anti-eroe Ken Parker, avrebbe funzionato anche con l’eroe-eroe Tex Willer? Il tutto come se non fosse lampante che l’insolita collocazione della storia già racchiudeva la risposta al suo quesito. In altre parole, una chiara bocciatura per l’autore.
Eppure, quello che emerge dalle pagine di Oklahoma! (questo il titolo del maxi albo speciale) è un autentico Tex. Anzi, per usare le parole dell’allora giovane redattore bonelliano Mauro Boselli, è non solo “un bellissimo Tex ma un purissimo Tex”. Come non essere d’accordo? Sullo sfondo di un reale evento storico della storia del West, la Oklahoma Land Rush (una gara di corsa con i carri bandita per assegnare degli appezzamenti di terra), il nostro ranger incrocia la pista di alcuni umili pionieri in cerca di una vita migliore e prende le loro parti in contrasto con i loschi interessi del bieco affarista di turno. Berardi cattura l’essenza dell’eroe-eroe di G. L. Bonelli e riesce a riprodurlo in toni pressoché simili all’originale.
L’enfasi del racconto è travolgente, l’aura carismatica del protagonista è magnetica, l’intesa con Carson perfetta, il ritmo dell’avventura sempre tarato sul coinvolgimento del lettore, dall’inizio alla fine complice, spettatore e sostenitore del suo beniamino che domina la scena ed è risolutivo in ogni circostanza, ma sa anche lasciare spazio ai comprimari e alle loro storie personali. Oklahoma! – oltre ad essere una magnifica vicenda western con protagonista il vero Tex – è anche un sentito racconto di formazione di un ragazzo che diventa uomo dopo aver capito i suoi sbagli, una delicata storia d’amore interrazziale che diventa l’elegia della comprensione reciproca e una tormentata rievocazione di un passato di violenza che si vorrebbe dimenticare.
Non è sufficiente? Berardi riesce a metterci dentro anche la voglia di riscatto di un anziano giornalista che vorrebbe improvvisarsi allevatore prima di tornare sui suoi passi con la fondazione del primo quotidiano della nuova comunità. Anche lui, come gli altri, alla ricerca di una nuova identità, oltre che di una nuova vita riesce nel suo intento grazie al salvifico incontro con Tex e Carson. Quest’ultimo, oltre che partner alla pari ogniqualvolta c’è da darsi da fare con le pistole o i pugni, è l’insostituibile spalla del nostro in ogni circostanza. Tra uno sfottò e l’altro, lo vediamo, oltre nella consueta veste di procacciatore di selvaggina, anche come smaliziato conducente di carri nonché abile carpentiere. Senza farsi (e farci) mancare anche la sua proverbiale ed irresistibile galanteria da vecchio gentiluomo con le rappresentanti del gentil sesso, anche quelle un po’ stagionate.
L’autore genovese non tralascia nulla nella sua acuta riproposizione dei topoi della serie. Il duello conclusivo nella main street? C’è, e contro ben due avversari. La punizione finale decisa dal Destino per il machiavellico malvagio? C’è anche quella e anche in una versione inedita, con la caduta di un mucchio di tronchi dal binario ferroviario a fare da giustizia divina. I due ranger che si lanciano verso nuovi orizzonti dopo il congedo dai loro beneficiati? Ovviamente non può mancare e lascia il lettore con la sensazione di aver ritrovato, finalmente, un vecchio amico.
Sulla base di questo esempio, dunque, come sarebbe potuto essere un Tex by Giancarlo Berardi? Di certo, se l’autore genovese fosse stato arruolato da Sergio Bonelli in pianta stabile avrebbe dato un contributo notevole alla testata sia dal punto di vista quantitativo che, soprattutto, qualitativo. In Oklahoma! compie un prodigio di mimesi narrativa e, con genuino piglio glbonelliano, si impadronisce dell’anima del personaggio e cavalca a suo fianco assieme al lettore. Nello stesso tempo incastra alla perfezione nel puzzle del racconto gli altri pezzi fino a farli combaciare con naturalezza. Se qualcuno ha visto, dentro questa storia, una esagerata riproposizione degli “stilemi kenparkeriani” c’è da pensare che sia affetto da una buona dose di miopia oppure sia in malafede.
Tuttavia, ci sentiamo di escludere che Sergio Bonelli, in qualità di primo lettore della storia in questione, rientrasse in uno di questi due casi. Impossibile che il suo leggendario fiuto da editore (fu lui, nel 1974, il primo a dare fiducia ai giovanissimi Berardi & Milazzo per fare di Ken Parker una serie) avesse fatto cilecca oppure volesse deliberatamente impedire all’autore genovese di lavorare alla testata. Probabilmente, in questa circostanza, a tradirlo fu la sua proverbiale (ed auto dichiarata) prudenza nell’approcciarsi alla creatura del padre con criteri anche solo parzialmente innovativi. E il peggio, sia per Tex che per lui, doveva ancora arrivare.