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No Manga No Life vol. 1

In cerca d’ispirazione, le tergiversazioni pseudo-filosofiche di un mangaka "relativamente impopolare"

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7/10

Minetarô Mochizuki, mangaka che fu famoso con Dragon Head e la cui produzione successiva (tutta edita in Italia, tra cui l’adattamento de L’isola dei cani di Wes Anderson), benché lodata dalla critica, non ha trovato lo stesso riscontro di pubblico, diventato padre e superata la soglia dei cinquant’anni ci offre uno spaccato di vita alla ricerca d’ispirazione.

L’introspezione autobiografica tinta di humour è un esercizio consolidato in campo fumettistico, quasi le nuvolette si prestassero a visualizzare la distanza tra pensiero e azione: basti pensare ad Adrian Tomine o ai «petits riens» (facezie) di Lewis Trondheim.

No Manga No Life (primo albo di un dittico) non ci fa entrare nel mondo giapponese, anzi: per gustare appieno le disavventure del doppio dell’autore (con cambio di due sillabe, Minezuki Mochitarô), come ad esempio assaporare un’esperienza kawai ad un afternoon tea a base di fragole, o capire il brontolio della moglie di fronte al taglio di capelli di giovani scapigliati, una certa cultura nipponica bisogna averla. È l’universalità del suo interrogarsi che rende i racconti gustosi.

E il tratto, unico nel panorama manga: una linea chiara e una costruzione della tavola europee nel pensiero ma giapponesi nella realizzazione.

L’assenza di mezze tinte (un bianco e nero nel quale lo spessore della mina – digitale – rende il movimento e i volumi) avvicina il segno a produzioni grafiche pubblicitarie senza però ridurle a icone. Al contrario: è la sequenza disegnata che rende le immagini vive e partecipi della narrazione, confermando l’individualità – e la bellezza – del tratto autoriale di Moshizuki.

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Vasco Zara

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