Il Mister No di Tiziano Sclavi

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I primi due anni di vita editoriale di Mister No videro al timone delle storie il solo Sergio Bonelli alias Guido Nolitta, creatore del personaggio.

In séguito, il contemporaneo impegno di editore e l’improvvisa incombenza nell’affiancare il padre per le sceneggiature di Tex lo costrinsero a cercare l’aiuto di altri collaboratori.

Per primi, iniziarono ad occuparsi della collana Alfredo Castelli ed Ennio Missaglia. Se quest’ultimo accentuò maggiormente il lato avventuroso del personaggio, facendo perdere però al pilota amazzonico gran parte della sua verve e della sua carica ironica, Castelli consegnò invece ai lettori storie memorabili e un personaggio pienamente conforme a quello ideato dal suo creatore, esaltandone lo spirito tormentato e ribelle.

Il tutto nel più rigoroso anonimato dato che, quando le storie non erano firmate Nolitta, nell’albo non figurava il nome dello sceneggiatore: lo stesso accadde per un paio di storie scritte da Claudio Nizzi, prima del suo esordio su Tex.

Tiziano Sclavi – approdato in Bonelli all’inizio degli anni ‘80 sceneggiando alcune storie di Zagor – esordì su Mister No nel novembre 1982, con la storia che inizia nell’albo n.90 dal titolo Gli occhi del mostro.

Il suo è uno stile di rottura rispetto a chi lo ha preceduto, con le caratteristiche già proprie dell’autore e che verranno sviluppate successivamente in modo più compiuto nella sua creatura più celebre, ovvero Dylan Dog.

Prevale un taglio squisitamente cinematografico, con innumerevoli riferimenti a pellicole care allo sceneggiatore, sequenze mute dove viene data parola alla tavola, dramma che si confonde con il ridicolo, con quella punta di follia sempre in bilico tra grottesco e orrore puro.

Sclavi riprende soprattutto le tematiche fantastiche da tempo assenti nella serie, donando alle storie una sottile inquietudine che diventerà uno dei suoi marchi di fabbrica, facendo esplorare al piper del pilota amazzonico cieli precedentemente sconosciuti.

La caratterizzazione di Mister No non si discosta molto da quella che i lettori hanno imparato a conoscere: anziché stravolgere un personaggio che funziona a meraviglia viene confermato il suo spirito scanzonato e allegro, ma accentuando al contempo il suo lato più malinconico e inquieto.

In un certo senso si possono inquadrare le sue storie di Mister No come una palestra per elaborare temi a lui cari come la follia umana, l’emarginazione dei derelitti, il sovrannaturale che seduce ed inquieta, senza far mancare quel pizzico di ironia che stempera i forti toni drammatici.

Per Mister No Sclavi scriverà otto storie: possono sembrare poche ma il loro peso nell’economia della collana sarà enorme, sia per la loro qualità che per il significato profondo che contengono.

D’altra parte è lo stesso Sclavi a dichiarare il suo feeling con il personaggio creato da Guido Nolitta, in un’intervista del 1996 alla rivista “Tutto”:

Tra i bonelliani ho una predilezione per Mister No […] Avventure come “Il fantasma dell’opera”, “Alien” e soprattutto “Ombre rosse” immodestamente non mi dispiacciono”.

“Ananga!”
Mister No n.90-91-92

Ananga deriva da Ayua, che vuol dire male e da Anga, anima, quindi spirito del male…un Dio malvagio… la morte!

La presentazione della misteriosa e maligna entità amazzonica è affidata al “professore”, un habitué dei bar di Manaus, un’anima persa nell’alcol ma che teme e rispetta la leggendaria figura adorata dagli indios.

Mister No si trova suo malgrado ad affrontare questo Dio sanguinario, capitato casualmente sulla sua strada; qui Sclavi dimostra di aver studiato bene il character nolittiano, in quanto spesso sono i guai che cercano Mister No piuttosto che il contrario.

Dopo l’ennesimo omicidio della belva sanguinaria, il pilota amazzonico capirà che c’è un destino scritto a cui non può sfuggire, che non c’è nulla di casuale nella vicenda: Ananga lo ha scelto, non può esimersi dall’affrontare il demone della giungla e provare ad interrompere la scia di sangue che si trascina da tempo.

L’autore compie un’impresa rara, ovvero quella di debuttare nella serie con quello che si può definire un autentico capolavoro, per la trama avvincente che ha saputo ideare, per i dialoghi che sposano perfettamente il dramma narrato e per personaggi caratterizzati alla perfezione.

Per tacere dell’ambientazione, una giungla che ha ben poco del realismo nolittiano, custode di innominabili misteri ancestrali e capace di ghermire gli incauti esseri umani che decidono di avventurarsi in essa. Alla pari di altri scenari che saranno cari all’autore di Broni in Dylan Dog, come la notte, la pioggia e la nebbia, la giungla è essa stessa incarnazione del mistero, non è sfondo ma parte integrante della creatura demoniaca che cela al suo interno.

Tanti i momenti indimenticabili all’interno dell’albo: già la scena iniziale del brutale omicidio del vecchio Paco è confezionata da manuale, con un taglio cinematografico rappresentato perfettamente da un ispiratissimo Fabio Civitelli, disegnatore che si cala come meglio non si potrebbe nella sceneggiatura sclaviana.

Colpisce anche l’epilogo della sfortunata Abigail, che Mister No non si rassegna a veder soccombere allo spirito del male (“ci deve essere un modo di curarti” le urla in faccia), salvo capire che ormai non può più far nulla perché Ananga può essere curato solo con la morte.

Una storia praticamente perfetta, in cui ogni inquadratura è studiata nei minimi particolari, nessuna vignetta in meno o in più, dove risalta lo splendido lavoro del già citato Civitelli.

Una storia che – come pensa Mister No nel finale, sorvolando la foresta verso il sole che brilla all’orizzonte – “è stato il vento della giungla a scrivere”.

“Il fantasma dell’opera”
Mister No n.97-98

Il fantasma dell’opera ripropone i temi dell’amore e della morte in un racconto che questa volta esalta altre peculiarità dello storytelling sclaviano, ovvero la follia, la comicità al limite del surreale, la misera e meschina realtà dietro il mistero più inspiegabile.

Più che la storia in sé – fondamentalmente un giallo comunque costruito benissimo – a colpire sono i personaggi che si muovono all’interno della vicenda.

In primis Maria Arghidas, la diva dell’opera, donna vanesia e pure un po’ svampita, nonché dotata di un notevole cinismo, come testimonia l’elogio funebre al marito appena morto tragicamente: “Addio mio sposo. Non ti ho mai amato, eri troppo stupido, e anche un pessimo tenore”.

Dietro questa apparenza però emerge il suo lato più debole, quello legato ad un doloroso passato che ritornerà con tutto il suo pesante carico di dramma, sepolto proprio nelle fondamenta del teatro di Manaus in cui la diva farà la sua ultima esibizione.

Erik Maelstrom, colui che incarna il fantasma del titolo, assetato di vendetta ma ancora folle di amore per la bella Maria, è una di quelle figure tragiche ma nello stesso tempo romantiche che faranno le fortune di Dylan Dog.

Un personaggio che, riuscito miracolosamente a sfuggire alla morte, compirà il suo destino portando con sé tra le fiamme la propria amata, in una scena davvero di grande effetto, in cui l’orrore si sposa perfettamente con la poesia.

Anche comprimari come lo spiantato e un po’ folle Olinto Righetti (convinto di essere stato un famoso baritono del passato), lo sfuggente direttore d’orchestra Hauser, il vecchio profetico Isidro sono tutti caratterizzati benissimo e perfettamente funzionali alla storia.

Inoltre Sclavi – riprendendo uno dei temi cari a Nolitta – è bravo a dipingere il clima di decadenza di Manaus, i cui i gloriosi “anni della gomma” dove “il denaro scorreva come un fiume impetuoso” sono mutati in un presente fatto di sbiaditi ricordi e mausolei del passato, come appunto il faraonico teatro dell’opera.

Accompagna Sclavi in questa avventura Roberto Diso, autore di una grande prova che rende perfettamente l’atmosfera sinistra della vicenda.

Una storia perfettamente riuscita, il cui tema ricorda quello di un felice episodio di Dylan Dog, quel “Grand Guignol” dove realtà e finzione si sovrappongono in continuazione all’interno di una vicenda folle e tragica.

“Giungla!”
Mister No n.100

Se nelle prime due storie il nome di Sclavi non era indicato come autore dei testi, nel numero 100, intitolato proprio Mister No 100 (ma conosciuto anche come Giungla!), addirittura appare quello di Nolitta al posto del suo!

La stessa cosa era già successa con il numero 200 di Zagor, altra creatura nolittiana, in cui i credits riportavano il nom de plume di Sergio Bonelli anziché il reale autore dei testi. Probabilmente, essendo un numero centenario, si voleva dare un segno di continuità riportando il nome del creatore del personaggio anziché quello di uno per lo più sconosciuto ai lettori.

Anche se nel tempo l’equivoco verrà chiarito dando a Sclavi la paternità della storia, era già evidente all’epoca che lo stile narrativo fosse proprio il suo, per via delle lunghe sequenze mute, i dialoghi scanzonati e brillanti, gli indios privi delle classiche caratteristiche nolittiane.

L’impianto narrativo è nello stesso tempo semplice e solido e, nonostante la brevità dell’episodio, tutti gli elementi sono snocciolati nella giusta dose, tanto che non si avverte la sensazione di aver compattato troppo la narrazione o di aver lasciato dei punti in sospeso.

Essendo un numero celebrativo, al fianco di Mister No troviamo due dei personaggi più amati dai lettori: la bella archeologa Patricia e il fidato Esse Esse. Storia che si può anche definire minore tra quelle sclaviane, ma che risulta divertente e ben fatta: una piacevole lettura che non annoia mai e assolve bene al suo compito di numero centenario.

I disegni sono di un Roberto Diso in ottima forma, con Jerry Drake ritratto sempre più a sua immagine e somiglianza. Bravissimo sia nei primi piani di personaggi ormai identificati dai lettori proprio dal suo segno, sia nei particolari, specie in quelli del maestoso Douglas DC-3 disperso nella giungla.

La colorazione – ad opera dello staff di IF – non sempre riesce ad esaltare il tratto del disegnatore, risultando spesso troppo squillante e in alcuni casi anche disattenta, specie quando in due vignette consecutive l’abito di Patricia cambia magicamente di colore.

“La casa di Satana”
Mister No n.104-105

Nel gennaio 1984 esce La casa di Satana, prima di tre storie consecutive di Sclavi per la collana. Già il titolo è indicativo di quanto questa storia contenga in nuce le atmosfere del futuro Indagatore dell’incubo, con una dose di splatter mai vista prima.

Lo stesso protagonista, Francisco Cabral (l’uomo che, per via dei suoi incredibili poteri ESP, vale un miliardo di dollari), è una delle figure tipiche dell’universo sclaviano: emarginato ed etichettato come un mostro solo perché diverso dagli altri, anziché servirsi del suo potere lo subisce come fosse una vera e propria maledizione.

Una figura tragica che cercherà di porre rimedio alle sue sofferenze terrene cercando il luogo della propria infanzia, generatore di quel suo tremendo quanto indesiderato potere. Sarà un ritorno in un passato grondante sangue e sofferenza, in cui Francisco capirà di essere destinato a scontare le terribili colpe di cui si è macchiato il padre.

Una storia che si mantiene su binari altamente drammatici, senza le divagazioni umoristiche e le battute brillanti che avevano caratterizzato i precedenti lavori su Mister No.

Un difetto imputabile alla sceneggiatura è quella di rifarsi troppo spesso ed in modo troppo evidente a “Scanner”, la pellicola di David Cronenberg uscita poco tempo prima della lavorazione dell’albo e indubbia ispirazione per Sclavi.

Ai disegni troviamo Bruno Marraffa, che si dimostra abile nel rappresentare con uno stile decisamente cupo le tenebrose atmosfere della storia. Di grande effetto le scene più cruente come teste che esplodono, arti che si disintegrano e corpi divorati dalle fiamme.

“Ombre rosse”
Mister No n.105-106-107

Nella storia successiva, finalmente compare nei crediti dell’albo il nome di Tiziano Sclavi. Evidentemente Sergio Bonelli aveva ritenuto maturi i tempi – e forse anche i lettori – per inserire il nome di uno sceneggiatore diverso da Guido Nolitta. D’altra parte in questa Ombre rosse emerge con prepotenza il personalissimo stile dell’autore, per cui celarne ancora l’identità sarebbe stata impresa ardua.

Una storia decisamente originale, imprevedibile, che fa divertire nella sua irrefrenabile follia. Qui Sclavi pigia forte sul pedale dell’acceleratore e mette in scena gran parte del suo arsenale: realtà che si confonde con la finzione, personaggi immersi in un perenne e surreale set cinematografico, dialoghi fulminanti con alcuni tormentoni che strappano un sorriso anche dopo la decima riproposizione. L’amore per le citazioni questa svolta sconfina nell’omaggio vero e proprio, quello al western più classico, partendo proprio dal capolavoro di John Ford celebrato nello stesso titolo dell’albo.

Magistrale la scena iniziale, con Mister No catapultato all’interno di una diligenza del vecchio West e costretto a difendersi dall’assalto dei “diavoli rossi” prima dell’arrivo dello squillo salvifico della cavalleria con le giacche blu.

Memorabili i tanti protagonisti della storia: in primis il vecchio burbero – ma tutt’altro che stupido – sceriffo Ford, con i suoi rituali immutabili come colazione, pranzo e cena sempre a base di fagioli e l’uso del solo cavallo come mezzo di trasporto.

E poi fiero e disilluso capo indiano Piuma rossa, che ha chiamato tutti i sette figli con l’impersonale nome Billy Jack perché “tanto i loro veri nomi apache nessuno li capirebbe” e che non si sorprende delle ricostruzioni posticce del vecchio West fatte ad uso e consumo dei turisti, perché “tanto sembra che tutto sia falso oggi”.

Ma la figura più indimenticabile è quella di John Trevor, un fanatico del vecchio West, il più dissennato della sua scombinata famiglia, colui che ha costruito ghost town artificiali, falsi assalti indiani, duelli nella main street con animatroni con le sembianze di Yul Brinner, addirittura riproponendo nella sua missione di riscoperta delle radici della sua Arizona i suoi più antichi abitanti, i dinosauri!

E lo fa perché sono “grandi, grandi come l’America”.

La caratterizzazione grafica è quella di Ronald Reagan – presidente degli Stati Uniti all’epoca dell’uscita dell’albo – non solo identificato come un folle che vive in una realtà del tutto personale, ma anche come un guerrafondaio, sempre pronto ad impugnare la colt per sfidare chiunque.

Il Mister No di questa storia è senz’altro diverso da quello di Nolitta, ma riesce a mantenere pienamente lo spirito originario del personaggio.

Ai disegni torna Roberto Diso, ancora più efficace del solito, forse perché a suo completo agio anche in una storia così anomala per il pilota amazzonico.

Da una sua intervista di anni fa: “Devo dire che, pur se relativamente poco aderenti allo spirito di Mister No, le sceneggiature di Tiziano Sclavi mi hanno sempre molto divertito per la loro impostazione di tipo cinematografico con colpi di scena ad effetto che normalmente non si ritrovano nelle storie di tipo classico“.

Un episodio tra i più riusciti di Sclavi e dell’intera collana con protagonista Jerry Drake.

“Alien!”
Mister No n.107-108

Non è da meno l’episodio successivo, che inizia nel numero 107 con il titolo Ufo ma che sarà meglio conosciuto con quello del successivo, Alien!

Un episodio breve ma che condensa una delle storie di amicizia più belle comparse nell’intera saga. Un’amicizia nata perché il caso – o chi per lui – ha fatto incontrare nel bel mezzo della giungla amazzonica il piper del pilota americano con la navicella spaziale del pilota russo Arkady.

Sclavi racconta a modo suo la guerra fredda che vede fronteggiarsi nella realtà e in un clima sempre più teso le due più grandi potenze mondiali.

Solo pochi mesi prima il presidente Reagan aveva definito pubblicamente l’Unione Sovietica come “l’impero del male”, ravvivando quel pericoloso clima di diffidenza e incomprensione tra le due superpotenze.

In questa storia, quel clima si distende grazie al tentativo dell’irascibile Mister No e del più pacato Arkady di capirsi e parlarsi, superando i propri pregiudizi e le inevitabili barriere create da due culture all’opposto.

Una sintesi di ciò che l’autore di Broni – nel suo piccolo – suggerisce all’umanità intera.

Grazie a dialoghi brillanti e ad una trama ben congegnata, Sclavi riesce a non cadere nella trappola della banalità e della facile retorica, costruendo due personaggi che litigano, si deridono, arrivano persino alle mani ma che non smettono mai di confrontarsi e di avere un ammirevole rispetto di fondo.

Emblematico il dialogo in cui il cosmonauta russo tenta di spiegare a Mister No la guerra in atto tra i due paesi:

Oh, no guerra vera, guerra fredda. Stati Uniti è cattivo capitalista, Unione Sovietica è buono socialista. Nemici, tu capisce?

No Arkady, io non capisco”.

Neanche io…

E quel finale magico, dove fa capolino un’altra delle amate citazioni cinematografiche (questa volta, “ET – L’extraterrestre”), aggiunge una nota di poesia che riesce a distendere la drammaticità delle ultime tavole.

Non solo una delle storie più belle dell’autore, ma anche una delle più significative e alla quale si può perdonare pure qualche svista, come la data di morte di Stalin, indicata erroneamente come il 5 aprile 1953 anziché quella reale avvenuta esattamente un mese prima.

I disegni di Fabio Civitelli – qui alla sua ultima prova nella collana prima di passare su Tex –  sono una gioia per gli occhi, soprattutto nelle splendide ed evocative scene in notturna, dove l’artista toscano si sbizzarrisce con alcune tavole di grandissimo impatto.

“L’orrenda invenzione”
Mister No n.138-139

La successiva storia di Sclavi vede la luce nel novembre 1986, in contemporanea con l’uscita in edicola dei primissimi numeri di Dylan Dog.

L’episodio inizia nell’albo n.138 con il titolo La notte dei mostri per concludersi nel successivo n.139 L’orrenda invenzione.

Il tema è uno di quelli carissimi all’autore, ovvero i diversi, i più sfortunati perché dalle sembianze mostruose, emarginati da una società che li rappresenta come fenomeni da baraccone oppure preferisce non accorgersi di loro.

Sono gli stessi freaks dell’omonimo film di Tod Browning, uniti nella loro diversità, in questo caso relegati nelle fatiscenti favelas da cui sono esclusi tutti coloro che non appartengono al loro mondo.

Mister No ne farà la conoscenza nell’ultima notte del povero carnevale di Manaus, provinciale imitazione di quello ben più noto di Rio, trascinato suo malgrado in una vicenda tragica e dolorosa, in cui l’antieroe nolittiano darà ancora dimostrazione della sua grande umanità che distingue le persone solo per la loro bontà e non per le caratteristiche fisiche o di razza.

Sclavi è bravissimo ad inserire nella storia momenti di distensione con i battibecchi tra lo stesso Mister No, uno scatenato Esse Esse e il simpatico stregone indio Taiku, in modo da alleggerire il drammatico clima del racconto.

La sterzata finale nell’horror fantascientifico banalizza un po’ il tutto, anche se va riconosciuto all’autore che la realizzazione è di grande effetto: merito anche di una grande prova grafica dell’indimenticabile Franco Bignotti.

“L’oro del fiume”
Mister No n.159-160-161

L’ultima storia firmata Tiziano Sclavi esce nell’agosto 1988 nel n.159 con il titolo Coma profondo e proseguirà anche nei successivi due albi, L’oro del fiume e Il nemico senza nome.

Nonostante l’inizio altamente drammatico con Mister No ridotto in fin di vita, il racconto prosegue con un lunghissimo flashback in cui è la commedia a farla da padrona. I toni sono quasi scanzonati, con eventi spassosi che si susseguono in rapida successione. La stessa protagonista femminile, la bella e svampita Audrey, è un concentrato di comicità spesso involontaria, con la capacità di mettere il pilota amazzonico in situazioni assurde e grottesche.

Nel suo sviluppo, la storia assume sempre più i toni del giallo, con un misterioso tesoro da localizzare e recuperare, in cui ogni componente della variopinta spedizione dubita dell’altro.

Man mano che ci si avvicina alla soluzione del mistero, i toni della vicenda mutano di nuovo, tornando al dramma vero e proprio con omicidi efferati e brutali aggressioni che azzerano ogni velleità umoristica.

Il doppio colpo di scena finale riporta ordine nell’avvincente trama partorita dall’autore, chiarendo tutti i punti oscuri e generando una sorta di happy end.

Ancora una volta Sclavi si diverte a giocare con il lettore, dando ai suoi personaggi volto e nome di famosi attori del cinema: l’affascinante Audrey assume le sembianze di Audrey Hepburn, l’incendiario Klaus è Klaus Kinski, il vecchio compagno d’armi Boris non è altri che Boris Karloff.

Caratterizzazioni grafiche che si inseriscono benissimo nell’ottima prova ai disegni del civitelliano Marco Bianchini, già in passato al lavoro proprio su un personaggio sclaviano – Kerry il trapper – e futura colonna della saga di Jerry Drake.

Da qui in poi le strade di Tiziano Sclavi e di Mister No si divideranno, lasciando qualche rimpianto ma anche la consapevolezza di come l’autore abbia saputo rinnovare le storie del pilota amazzonico senza stravolgerne l’essenza.

E nelle ultime tavole di questa avventura le parole di Mister No sembrano proprio il commiato dell’autore di Broni al personaggio:

Morale della storia: l’unico che non ci ha guadagnato niente, come al solito, sono io. Ma che mi importa in fondo? Non ho rimpianti, anzi, quasi mi dispiace che l’avventura sia finita.

Oh when the saints go marchin’ in….

Stefano Paparella

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