Il 1992 è l’anno della svolta per Tex e la Bonelli. In senso negativo. Claudio Nizzi, ormai sfibrato dal ritmo infernale della scrittura di (quasi) tutte le sceneggiature necessarie alla prosecuzione della serie, accusa i sintomi di una crisi dovuta allo stress da superlavoro e chiede di essere sollevato temporaneamente dall’incarico. L’editore acconsente a concedergli un anno sabbatico di riposo, nella speranza che serva a rimetterlo in sesto. E si prepara a colmare in qualche modo il buco nella programmazione provocato dalla sua assenza.
Stavolta non si tratta di proporre ad un singolo autore di cimentarsi con il personaggio come test d’ingresso in vista di una possibile, futura collaborazione alla testata. L’intento di Sergio Bonelli è soltanto quello di creare una squadra speciale d’emergenza per superare il momento difficile senza troppi scossoni e tenere botta fino all’auspicato ritorno in sella di Nizzi. Tutti i componenti della squadra sanno che probabilmente sarà un incarico temporaneo ma qualcuno di loro è intenzionato a fare del suo meglio per ribaltare il pronostico.
Per prima cosa, l’editore riveste i panni del suo alter ego Guido Nolitta e scende in campo in prima persona. Il ruolo di sceneggiatore texiano gli sta scomodo come sempre, ma il suo senso del dovere gli impone di mettere ancora una volta la sua penna al servizio del personaggio. A dargli man forte interviene anche il suo fedele braccio destro, il direttore generale Decio Canzio, un remoto passato come autore del Piccolo Ranger e, sporadicamente, di Zagor ed esordiente di lusso sulla collana. Entrambi staranno alla macchina da scrivere giusto il tempo di surrogare alla meglio Nizzi e poi torneranno alle loro mansioni abituali.
Completano lo special team altri quattro sceneggiatori: in ordine d’anzianità anagrafica sono lo spagnolo Antonio Segura, Gianfranco Manfredi, Mauro Boselli e Michele Medda. Il primo, classe 1947, nativo di Valencia, rappresenta per Sergio Bonelli un’autentica scommessa. per un autore straniero dovrebbe essere impossibile catturare lo spirito di un’icona del fumetto di casa nostra. Tuttavia la sua esperienza nel campo e la sua intraprendenza nel proporsi come scrittore texiano hanno convinto l’editore a dargli una chance e inserirlo nel gruppo degli aspiranti.
Poi c’è Manfredi. Classe 1948, marchigiano di origine e milanese di adozione, è giunto al fumetto relativamente tardi dopo svariate esperienze come autore di canzoni, sceneggiatore cinematografico e scrittore di romanzi. Sta per varare una sua collana western per la Bonelli e ha chiesto di cimentarsi con Tex per fare esperienza nel genere prima di affrontare la nuova avventura. Entrambi esordiranno poi negli anni successivi.
Quindi c’è Mauro Boselli. Milanese, classe 1953 e già redattore bonelliano di lungo corso oltre che sceneggiatore di Zagor. È l’unico del gruppo che possa vantare una conoscenza diretta di G. L. Bonelli, visto che ha lavorato un paio d’anni nel suo studio come segretario e assistente. Ha già al suo attivo una sceneggiatura del personaggio, concepita assieme al suo amico d’infanzia Giorgio Bonelli – figlio di secondo letto del creatore di Tex – e poi realizzata in collaborazione con suo padre.
Infine, il più giovane del gruppo: Michele Medda, classe 1962 di Cagliari, già in forza alla Bonelli come sceneggiatore del fantascientifico Nathan Never nonché creatore dello stesso assieme ai colleghi e conterranei Antonio Serra e Bepi Vigna. Tuttavia, non è stato il suo – pur pregevole – lavoro sulla collana dedicata all’investigatore del futuro a fruttargli l’ingresso nello special team d’emergenza approntato da Bonelli e Canzio. L’occhio acuto dell’editore e del Direttore Generale hanno valutato un paio di sue storie sulla serie poliziesca Nick Raider. Storie scritte da solo, senza l’apporto degli altri due sardi. Entrambe (Un ranger a New York e Linea di confine) sono dei western moderni, in cui le tematiche tipiche del genere sono declinate in maniera realistica ed amara, con in sottofondo il costante rimpianto di un mondo e di personaggi che non esistono più.
È evidente, soprattutto dalla prima storia, che Medda ha un nostalgico affetto da vecchio lettore per Tex e desidera misurarsi con il suo mito per darne la sua personale versione. I vertici Bonelli gli danno la grande occasione, sta a lui dimostrare di essere qualcosa di più di un rimpiazzo momentaneo. Il disegnatore che gli viene affidato per primo è lo spagnolo Jesus Blasco. Ha finito le tavole dell’ultima storia di Nizzi assegnatagli dalla redazione ed è in attesa di nuovo lavoro. Lo sceneggiatore sardo si mette all’opera, i frutti della loro collaborazione arrivano in edicola nel maggio del 1994, quando viene pubblicato Bande rivali.
Sin dalla prima lettura è chiaro che il West di riferimento dell’autore sardo non è quello classico alla John Ford, quanto piuttosto quello crepuscolare di Sam Peckinpah. La feroce rivalità tra due famiglie di rapinatori, gli Hadley e i Chase, è al centro dell’incipit del racconto e lo resterà fino alla fine. Ma quello che stupisce è il taglio narrativo impostato da Medda. Il suo stile è duro, tagliente. La messa in scena non fa alcuno sconto alla sensibilità del lettore. Il massacro iniziale nella ghost town, con la brutale fine dell’anziano Josh (il patriarca capobanda degli Hadley), non è affatto una vittoria per gli autori, gli uomini della banda Chase. Il bottino arraffato dai primi nel corso della loro ultima rapina ad un treno è soltanto un mucchio di cartaccia da giornale. Entrambi i gruppi di banditi sono stati crudelmente beffati, più che dai loro avversari da un Destino tanto sarcastico quanto implacabile.
Lo stesso Destino che gli fa incontrare, sul luogo dello scontro, il giovane giornalista Herbert G. Addison, ambizioso cronista con velleità di far carriera iniziando con un’intervista ai banditi. Immediatamente sequestrato, viene portato al covo dei Chase con lo scopo di estorcere denaro per il suo riscatto al ricco genitore, candidato alla carica di Governatore dell’Arizona. Quest’ultimo, in piena campagna elettorale, appare molto più preoccupato del prosieguo della sua carriera politica che della salvezza del figlio. Al punto che a Tex e Carson, giunti sul posto per iniziare le indagini sul caso su richiesta dell’Agenzia investigativa Pinkerton, viene chiesto di agire con discrezione e, soprattutto, di non “essere d’intralcio” a chi è ufficialmente incaricato dell’inchiesta, l’arrogante agente federale O’Bannon. Anzi, un loro eventuale intervento potrebbe essere addirittura “controproducente” ai fini di un felice esito della vicenda!
Si evince chiaramente che Medda si sta divertendo a smontare il giocattolo per metterne a nudo il meccanismo di funzionamento e togliersi poi lo sfizio di rimontarlo a modo suo. Qui non c’è una distinzione netta tra buoni e cattivi, in modo che il lettore possa identificare subito per chi deve parteggiare e chi, invece, deve detestare. È tutto molto più incerto, sfumato, ambiguo. A partire dai personaggi: nessuno è esente da pecche, anzi. La stessa vittima, il giornalista rapito Herbert, si trova nei guai perché ha dato la prevalenza alle sue aspirazioni e, al contempo, sottovalutato le difficoltà del suo essere uno yankee in una zona dominata da avvelenati reduci sudisti. Gli Hadley non sono soltanto degli avidi rapinatori, ma anche e soprattutto delle persone a cui la vittoria nordista nell’appena conclusa Guerra di Secessione ha tolto risorse, orgoglio, persino la dignità.
Una volta apprezzata la cura con cui lo sceneggiatore ha strutturato lo scenario e cesellato la psicologia dei personaggi, è naturale passare ad esaminare in che modo ha inserito i due ranger in un contesto ordinario, ma presentato con coordinate inusuali. E qui l’esordiente Medda si comporta da veterano. Il suo Tex ha i tratti dell’eroe immaginato da G. L. Bonelli agli albori della pubblicazione, anche se rivisitato in ottica contemporanea. È duro come la roccia ma indulgente con chi merita; si muove con piglio decisionista ma sa anche pianificare tattiche e strategie; ha rapidità di pensiero ed azione ma è perfettamente in grado di calcolare i tempi dei suoi interventi. E Carson è la spalla ammirata ai vecchi tempi: tanto divertente ed arguto nei siparietti (spesso al ristorante) quanto letale negli scontri a fuoco.
Anche il ritmo della narrazione è scandito in modo eccellente. La cabina di regia meddiana sa scandire i tempi del racconto, rispettando l’ortodossia texiana ma introducendo un nuovo modo di gestire gli stacchi tra una sequenza e un’altra. Tecnicamente ineccepibile ma di sicuro un po’ straniante per il lettore medio, non abituato a decodificare un alternarsi delle scene gestito in abolizione delle tradizionali didascalie. Altrettanto spiazzante è il soffermarsi dell’autore su certe situazioni mai trattate prima all’interno della serie, come la scena ambientata nel bordello cittadino di Twyn Rocks, dove trovano la morte gli ultimi due membri superstiti della banda Hadley.
Un luogo e una categoria professionale, quella delle prostitute, che trova spazio anche nella seconda ed ultima storia a firma dello scrittore sardo per la serie – Orrore! – pubblicata a partire da dicembre 1994. Stavolta il pard di Medda ai disegni è uno dei decani in forza alla testata, l’instancabile Guglielmo Letteri. L’illustratore romano è noto per la sua velocità di esecuzione (trenta e passa tavole al mese realizzate) e per il suo carattere burbero. Una collaborazione che si palesa, quindi, come una notevole sfida professionale per il giovane sceneggiatore. Si tratta di saper stimolare l’estro artistico di una delle matite più celebri dello staff e, allo stesso tempo, di sapersi sintonizzare sulla sua stessa lunghezza d’onda. Tuttavia, a dispetto delle non facili premesse, il rapporto tra i due è disteso durante la lavorazione della storia e Medda ha anche il piacere di ricevere alcune cordiali telefonate dal più anziano collega. Il laconico Letteri supera il suo riserbo e si premura di far sapere al suo compagno d’avventura che la sceneggiatura che sta disegnando gli piace e sta facendo un ottimo lavoro.
Non sono solo le prostitute a ricomparire: c’è anche il ritorno del giornalista Herbert G. Addison. Un po’ più scafato, ma sempre a caccia di scoop. Stavolta, oltre che al giornalista, gioca anche a fare l’investigatore. Una sua teoria l’ha portato fino a Gleenwood, una cittadina del Colorado di recente teatro di una strana serie di omicidi: il colpevole si accanisce solo sulle donne, infierendo sui loro corpi. E le vittime sono tutte ragazze da saloon. Ad una ragazza del posto il giovane reporter riferisce la sua tesi: l’assassino è lo stesso che qualche tempo prima agiva ad Edimburgo, in Scozia, e il suo metodo gli è valso il soprannome di Sventratore.
Atmosfera da giallo, dunque, con anche degli inserti hard boiled: un serial killer che odia le donne e il duo Herbert-Tex (nelle vesti di sceriffo pro tempore di Gleenwood) sulle sue tracce. Il genere è una passione dell’autore, la sua tesi di laurea in Lettere aveva come argomento il romanzo poliziesco italiano. Innestare con successo gli stilemi paradigmatici del filone nel West del ranger costituisce per lui una prova molto difficile da superare. Eppure ci prova lo stesso: imbastisce un intreccio complesso, si esibisce in svariati virtuosismi di sceneggiatura per depistare il lettore, conclude persino con un elaborato doppio finale.
Il risultato finale non è convincente, almeno non per tutti. I lettori sono perplessi, l’editore ancora di più. Sergio Bonelli, da sempre attento agli umori dei lettori, è piuttosto infastidito da alcune missive in cui ci si lamenta dell’eccessiva presenza delle prostitute, presenti per ben due volte nelle ultime uscite mensili della collana. E, guarda caso, in entrambi i casi l’autore è sempre lo stesso. Medda, già sotto osservazione per la scena del bordello nella storia precedente, è di nuovo nel mirino della critica e tutto questo non è sicuramente estraneo alla sua decisione di lasciare la serie.
Colpa del bigottismo di una certa parte del tradizionale parco lettori texiano o c’è altro alla base del suo abbandono? Di sicuro a Medda non è mancata l’audacia nel proporsi, non solo nelle tematiche ma anche nello stile. Tuttavia, al di là della sua spericolatezza nell’affrontare certi argomenti o imbastire determinate situazioni o del suo asciutto storytelling, è innegabile che – almeno per larghi tratti – è riuscito, cosi come aveva fatto Berardi in precedenza, a catturare lo spirito autentico del Tex di G. L. Bonelli. E forse l’ha fatto in maniera talmente efficace da disorientare un pubblico ormai abituato alle versioni apocrife fornite da altri autori.